Velluto di Huzama Habayeb

Recensione di Federica Pistono

 

Velluto è il terzo romanzo di Huzama Habayeb e segna un punto culminante nella sua carriera di scrittrice. Il romanzo, premiato con la medaglia Nagib Mahfouz per la letteratura nel 2017, è stato salutato dai giudici come “il nuovo romanzo palestinese” perché tratta della “realtà umana attraverso la rappresentazione della condizione femminile”.  

La storia si svolge nel corso di una giornata nella vita di Hawwa (Eva), una sarta palestinese di mezza età, che passa al setaccio i suoi ricordi: le storie della sua famiglia, della sua infanzia e della sua amata maestra, Sitt Qamar, che le ha insegnato a cucire e, soprattutto, a valorizzare se stessa. È la storia della resilienza di una donna, dei soprusi che ha subito e dei legami duraturi che le hanno reso sopportabile la vita.   

La vicenda segue la storia d’amore, vissuta nella mezza età, di Hawwa e Munir, rifugiati palestinesi che vivono nel campo di Baqa’a, in Giordania, anche se l’autrice getta uno sguardo più ampio al mondo che li circonda, smontando abilmente i miti della maternità e dell’esilio.  

La storia non è raccontata dalla protagonista, ma da un narratore onnisciente, aspetto che conferisce al romanzo grande profondità e spazio per descrivere passioni e sensazioni. In questo modo, l’autrice offre al suo personaggio la libertà di pensare, sognare, immaginare, reagire, osservare, e al lettore la possibilità di apprezzare le sue emozioni contrastanti, in un modo che non sarebbe possibile se la vicenda fosse narrata in prima persona.  

Il titolo, Velluto, è un indizio del fatto che i sensi, tatto e olfatto, udito e vista, siano sempre ben focalizzati e fondamentali per comprendere il personaggio di Hawwa. In tutto il romanzo, che segue la protagonista in una giornata molto particolare della sua vita, il flusso dei ricordi, evocato con la tecnica del flashback, descrive nei minimi dettagli la vita quotidiana, dura e miserabile, che Hawwa ha vissuto fin dall’infanzia, nel campo profughi di Baqa’a. Ad accompagnare le memorie, lungo tutto il romanzo, ci sono i brani delle canzoni della cantante libanese Fairuz, i cui testi e le cui melodie hanno dato forza a Hawwa, aiutandola a non soccombere alla brutale violenza dell’ambiente familiare.  

Tema centrale del romanzo è dunque la condizione femminile all’interno del campo: le donne sono infatti generalmente considerate animali da lavoro, ma anche oggetti sessuali in qualunque momento a disposizione degli uomini. Nel corso della sua esistenza, tuttavia, Hawwa riesce a elevarsi al di sopra della crudeltà, della brutalità e della prepotenza, per trovare gioia e amore, imparare a sentirsi umana e a esprimere le sue emozioni nonostante la miseria della situazione in cui vive.  

I ricordi riportano Hawwa all’infanzia e all’adolescenza, trascorse nel campo profughi, con i genitori, tre sorelle e due fratelli. La sua famiglia vive in una terribile povertà, ma la cosa peggiore è la bestiale violenza inflitta quotidianamente alle figlie dal padre, che picchia le ragazze con la cinghia e le violenta a turno. Dopo aver stuprato per anni le sorelle maggiori, dopo il loro matrimonio si concentra su Hawwa, la cui madre Rabia è debole e incapace di fermare il marito. Hawwa riesce a sopravvivere prendendosi cura del fratello minore malato, Ayid, che bagna il letto quasi tutte le sere, proteggendolo dalla la cinghia del padre e prendendo su di sé le percosse.  

All’età di tredici anni, Hawwa riesce, in parte, a evadere dal degrado familiare, cominciando a lavorare a Sweileh, un sobborgo di Amman, nella sartoria di Sitt Qamar, una sarta dalla quale impara tutto sulla creazione di modelli, su taglio e cucito. Hawwa lascia il campo ogni mattina per andare a Sweileh, immergendosi in un’altra vita, in un altro mondo, e diventando un’abile sarta nel corso degli anni. Sitt Qamar rappresenta una figura antitetica a quella della madre, perché ha sempre lottato per ottenere l’indipendenza economica e il rispetto, è considerata una donna vincente, e diventa così un punto di riferimento e un modello per Hawwa.  

Risuonano echi del romanzo di Sahar Khalifah La porta della piazza nella scena in cui la casa di Sitt Qamar diventa un rifugio per un combattente fedayn.  

A casa di Sitt Qamar, Hawwa incontra un giovane ingegnere, di cui si innamora. Ma la famiglia combina il suo matrimonio, contro la sua volontà, con un estraneo scelto dalla nonna paterna, Naifa, una donna brutale che s’impone con le grida e le percosse. Il marito, Nazmi, è un uomo ripugnante, un macellaio rozzo, sporco e puzzolente e, per sopportarlo, Hawwa si rifugia nell’unico modo in cui può affrontare la sua vita di dolore e disumanità, quello della fantasia, che la porta in luoghi gioiosi che profumano di gelsomino.   

La vita coniugale di Hawwa non si rivela migliore di quella vissuta con la famiglia di origine. Continua però a lavorare con Sitt Qamar, che le insegna a distinguere i tessuti associandoli agli odori: l’incenso con il velluto, i gigli, le rose e il gelsomino con la seta, il raso e lo chiffon, la frutta secca con l’organza, le caldarroste con il panno e il tweed.  

La maternità le offre poco e le porta via molto. I figli di Hawwa, crescendo, diventano infatti persone mediocri che le si rivoltano contro. Anche il fratello Aiyd, da lei protetto durante l’infanzia, l’abbandona.  

Dopo aver ripercorso gli anni dell’infanzia e della giovinezza, la protagonista torna al presente. Oggi Hawwa è divorziata dal marito odioso, è nonna, e ha sposato Munir, un vedovo con tre figlie e otto nipoti. Nella mezza età, ha finalmente trovato l’amore e la lotta sembra aver lasciato il posto a giorni più facili e al matrimonio felice con Munir. Ma la violenza familiare attende al varco la protagonista ancora una volta, e il finale è tanto inatteso quanto drammatico.      

L’Autrice

  Huzama Habayeb è una scrittrice, traduttrice e poetessa palestinese, nata nel 1965 in Kuwait, paese in cui è cresciuta e ha studiato, laureandosi in Letteratura inglese nel 1987. Ha vinto numerosi premi come il Mahmoud Seif Eddin ِAl-Erani Award for Short Stories, il Jerusalem Festival of Youth Innovation in Short Stories, e la Medaglia Naguib Mahfouz per la letteratura. È membro sia della Jordanian Writers Association che della Arab Writers Federation. Attualmente vive negli Emirati Arabi Uniti.   Dopo quattro raccolte di racconti, Habayeb ha pubblicato il suo primo romanzo, L’origine dell’amore, edito da AIRP nel 2007. Il romanzo ha provocato una tempesta di polemiche a causa degli espliciti riferimenti alla sessualità.  Del 2011 è il secondo romanzo Prima che la regina si addormenti, storia di una donna che racconta la propria vita alla figlia, in procinto di partire per studiare all’estero.   Questo romanzo, che affronta la questione palestinese, figura nella lista dei ” Libri dell’anno 2012 ” del The Guardian, scelto da Ahdaf Soueif. Il critico Mohammed Baradah, in un articolo sul quotidiano Al Hayat, ha elogiato la “forma artistica attraente, il linguaggio, la fluida capacità descrittiva e l’umorismo cinico” dell’autrice.  Velluto (Maḫmal) è il terzo romanzo dell’autrice.            

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