Il cavallo e il poliziotto, un racconto di Zakariyya Tamer

 Traduzione di Federica Pistono

  Abu Mustafa fermò il carro accanto al marciapiede, con la grande mamo screpolata diede un buffetto alla testa del cavallo, poi si diresse verso una bottega vicina, e cominciò a caricarsi sulla schiena le casse piene di legna e a trasportarle sul carro.

  Il cavallo era irritato senza un motivo particolare, la sua rabbia sbollì un poco quando trovò un pezzo di scorza di anguria, che prese a sgranocchiare in silenzio.

  D’un tratto, si accorse di un ragazzino che, fermo a breve distanza da lui, lo fissava sorridendo.

  Il cavallo disse tra sé:

  «Non lo conosco. Se si avvicinerà, gli assesterò un calcio. Un calcio così forte da fracassargli la testa».

  Il cavallo smise di masticare la scorza di anguria, rendendosi conto che, purtroppo, non c’era più niente da mordere.

  Riprese a fissare con rabbia il ragazzino, mormorando tra sé: «Gli darò uno di quei calci…»

  In quel momento, Abu Mustafa era ancora impegnato a trasferire le casse di legna e a sistemarle sul pianale del carro.

  Il cavallo si sentiva molto stanco e brontolava: «Non c’è proprio più giustizia».

  Era un animale nato in città, aveva trascorso tutta la sua vita sulle strade asfaltate, non aveva mai lasciato il centro abitato. Sapeva che, anticamente, i suoi antenati erano vissuti, liberi e felici, nei campi sconfinati, laddove non esistevano né costruzioni né muri di pietra. Ma, ormai, i progenitori erano tutti morti.

  Nel frattempo, il ragazzino si chinò, raccolse la scorza di anguria che il cavallo aveva lasciato cadere, poi si accostò piano piano. Il cavallo cominciò ad arretrare, senza che il bambino si perdesse d’animo. Avvicinò la scorza di anguria alla bocca del cavallo, questi esitò un attimo, poi l’afferrò stupito, riprese a masticarla con rabbia, permettendo al ragazzino di accarezzargli il collo con la manina gentile.

  Abu Mustafa portò a termine il trasferimento delle casse di legna sul carro.

  Quando notò la presenza del bambino accanto al cavallo, gli gridò: «Allontanati, scimmia!»

  Con un colpo di frusta e un grido, ordinò al cavallo di partire, e quello s’incamminò, trainando lentamente il carro pesante.

  Il cavallo attraversò diverse strade, arrivando, poco dopo, in una via larga, fiancheggiata sui due lati da costruzioni in pietra.  Il carro aveva percorso quasi tutta la strada, quando un poliziotto bloccò il transito.

  Con voce soffocata, Abu Mustafa gridò al cavallo: «Fermo!»

  «Non sa che il passaggio dei carri è vietato, in questa strada?», domandò il poliziotto.

  «Lo so», rispose Abu Mustafa.

  «E allora, perché è passato di qua?»

  «Per via del cavallo…Guardi! È sfinito… Passando per questa strada, si risparmia un giro lunghissimo».

  Il cavallo si sentì sommergere da un affetto infinito.

  Ma il poliziotto disse: «Il transito dei carri è vietato, in questa strada. Soltanto le auto e i pedoni possono passare».

  «Lo so», ribatté Abu Mustafa.

  Si leccò le labbra e continuò: «Il cavallo è sfiancato. Se morisse, perderei di che vivere, morirei di fame e i miei figli con me…Ho quattro figli».

  «Torni indietro. Non le farò la multa per la sua infrazione al regolamento e alla legge».

  «Ho quattro figli che mangerebbero anche i sassi…»

  Abu Mustafa emise una risatina crudele, secca come una lama tagliente: «Voglio dirle la verità…Non ho paura tanto per i miei figli, quanto per la loro madre».

  «Perché?», domandò il poliziotto, incuriosito.

  La strada era fiancheggiata da alberi verdi, che innalzavano i rami più alti verso l’immensità del cielo blu.

  «Ho paura che i figli divorino la madre, se troppo affamati. Hanno denti aguzzi».

  Un’auto passò, sfrecciando ad alta velocità, il poliziotto fischiò, il veicolo non si fermò, ma l’uomo riuscì a leggere il numero di targa, prima che l’auto sparisse dal campo visivo, e ad annotarlo sul dorso di un taccuino. Poi si voltò verso Abu Mustafa, irritato, e gli ingiunse:

  «Andiamo, torni indietro».

  «Mi lasci passare, solo per questa volta».

  «Non ha sentito quello che ho detto? Indietro!», ringhiò il poliziotto, severo.

  «Una volta soltanto…»

  «Indietro! La legge è legge, non serve a niente supplicare».

  «Il cavallo è esausto».

  «Indietro, via!»

  «Dio la conservi a sua madre».

  «Dio non mi conserva. Eseguo gli ordini che mi vengono impartiti, e anche lei deve obbedire agli ordini».

  Abu Mustafa non pronunciò una parola, immaginò la legge come un mostro gigantesco dalle mille mani: la legge dava ordini al poliziotto e quello obbediva, il poliziotto dava ordini ad Abu Mustafa e lui avrebbe dovuto obbedire. Rimase un attimo esitante, mentre il poliziotto sbraitava:

  «Indietro! Se non arretra immediatamente, se ne pentirà!»

  Abu Mustafa si volse verso il carro, ma, in quel momento, la furia del cavallo raggiunse il culmine: la bestia raccolse le sue forze e, imbizzarrita, si scagliò in avanti, colse il poliziotto di sorpresa, scaraventando il carro su di lui. Il poliziotto cercò di balzare sul marciapiede, non ci riuscì, fu investito, cadde riverso sulla schiena. Il cavallo gli calpestò il petto con gli zoccoli, poi l’uomo fu travolto dalle ruote del carro, che si tinsero di sangue rosso.

  Il cavallo si stupì molto, quando vide che il suo padrone non si rallegrava affatto dell’accaduto, anzi, in preda alla costernazione e al terrore, prese a fuggire di corsa.

  Dopo qualche attimo, la gente cominciò ad accorrere numerosa, una folla circondò il carro, gli occhi degli astanti luccicavano di paura mista a una bramosia segreta, come se, al posto del poliziotto schiacciato, ci fosse il corpo di una donna bellissima.

  Il giudice si dimostrò imparziale: una mattina all’alba, il cavallo fu condotto sulla piazza principale, e l’animale pensò che la grande piazza fosse tutto ciò che restava dei campi sconfinati.

  Il cavallo si fermò, tutto contento, giacché, prima del suo arrivo, aveva attraversato una strada imponente che, prima di allora, gli era stato vietato percorrere. Ma la sua gioia fu di breve durata, dal momento che, poco dopo, vide il suo padrone penzolare dalla forca.  

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