Io e Hayim, il romanzo che non ti aspetti

Recensione di Antonino d’Esposito

Pubblicato in Algeria nel 2018 e selezionato per l’International Prize for Arabic Fiction l’anno seguente e vincitore, sempre nel 2019, del Katara Prize for Arabic Fiction, Io e Hayim è un romanzo che non ti aspetti, perché porta alla luce episodi della storia algerina del XX secolo che possono apparire assurdi e sui quali da sempre vige un silenzio omertoso, ma che sono quanto mai reali.

Al-Habib Sayah, autore di quattro raccolte di racconti e dieci romanzi, nasce nella provincia di Maskara nel 1950, studia a Saida e si laurea a Orano, per poi intraprendere la carriera di insegnante, che si coniugherà con quella di scrittore. Per molti versi questa traiettoria personale si sovrappone e si confonde con quella dei due protagonisti del romanzo, Arsalan e Hayim. Il testo, a un primo sguardo, potrebbe tranquillamente essere catalogato sotto la voce del romanzo di formazione. Con lo scorrere delle pagine, infatti, seguiamo la storia personale e formativa dei due protagonisti, attraverso la voce del narratore, che altri non è se non l’io del titolo. Arsalan è un ragazzo algerino musulmano di Maskara, Hayim è un ragazzo ebreo algerino della stessa città; entrambi vivono la stessa realtà, frequentano la stessa scuola e insieme giungeranno fino all’università di Orano, dove si divideranno solo per le ore di lezione, Arsalan sceglie la facoltà di filosofia, Hayim quella di farmacia. Ma, al di là di quest’aspetto di romanzo di formazione, che pure è evidente, ciò che colpisce chi legge è il dipanarsi della storia dell’Algeria che lo scrittore narra attraverso le vite dei due ragazzi. Provenienti, ognuno a proprio modo, da una minoranza (quella ebrea per Hayim e la ricca borghesia rurale per Arsalan), i due, nella prima parte del romanzo, che si svolge durante gli ultimi decenni dell’occupazione francese, vivono la tragedia dell’essere in bilico tra due o più mondi. Troppo autoctoni per essere francesi e troppi francesizzati per essere del tutto algerini, i ragazzi vengono investiti dal fermento rivoluzionario e si gettano a capofitto nella guerra di liberazione. È il momento in cui le atrocità di un confitto sanguinario vengono a galla, gettandoci in faccia anche l’uso di uno strumento di morte che la Francia ha utilizzato fino al 1977 particolarmente nelle colonie, la ghigliottina. E poi, la festa della liberazione, l’indipendenza tanto sognata, ottenuta dopo una dura guerra di liberazione dall’occupazione francese. Arsalan scende dalle montagne dove si era rifugiato e rincontra Hayim, che aveva collaborato segretamente con la resistenza. La gioia del ricongiungimento, la vita che ribolle nel sangue, si scontrerà con chi vuole uno stato diverso da quello sognato da due giovani della provincia algerina che, a modo loro, hanno fatto la storia della nazione?

Perché svelare l’epilogo? Forse lo leggeremo insieme

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