BRÛLEURS o Mémoires d’un harraga

Traduzione di Sabrin El Amrani

CAPITOLO II

La Harga

È quasi mezzanotte. Le luci di casa si spengono, le nostre pupille si dilatano. Tutti si dirigono lentamente verso l’uscita, in silenzio. Da qualche giorno, in Algeria c’è il coprifuoco dalle 18 alle 6 del mattino. Penso che siamo fortunati a partire in piena pandemia. Nessuna guardia costiera, nessun pericolo. El Mâalem e i suoi collaboratori hanno mandato tre macchine che ci condurranno al porto di Marsat El Hadjadj. Partiremo da lì. El Âssas ci restituisce i telefoni poi ci stringe la mano uno ad uno ripetendo «n’challah kheir[1]» come un automa. Non mi piace come persona ma ho

percepito comunque una leggera emozione quando, tra le altre cose, mi ha augurato buona fortuna. O forse mi faccio dei film e sono l’unico ad essere emozionato. Devo essere nel diniego di qualcosa, ho la sensazione di non rendermi conto di quello che mi sta succedendo.

Saltiamo alla cieca sulle macchine, mi ritrovo con Kamel, i suoi figli e il Minore. Il conducente ci saluta ed inizia ad attaccare bottone. Anche lui ha una voglia matta di partire. Ci racconta che sta ancora mettendo dei soldi da parte, che è una vera faticaccia oltrepassare le frontiere e che al giorno d’oggi costa sempre più andarsene da qui. Come al solito Kamel è taciturno, e io mi limito a sbiascicare qualche monosillabo, giusto per non lasciarlo parlare a vuoto. Vorrei che stesse zitto.

Ho bisogno di un viaggio mentale per ritrovarmi solo con i miei pensieri, almeno il tempo del tragitto. Le prossime ore mi segneranno a vita ma c’è sempre uno stronzo pronto a spiattellarti i suoi problemi. Ci si mette anche il Minore, con cui non ho mai avuto l’occasione di parlare, raccontandoci come ha racimolato i soldi per il viaggio.

– Ho venduto il telefono di mia madre, di mia sorella e qualche gioiello che ho trovato a casa. Avrei voluto vendere anche la televisione ma poi era troppo. Allora ne ho rubata una per poi rivenderla. Era una grossa televisione eh! Grazie a questo mi sono potuto persino comprare un bel paio di Air Max. Sono false, ma vedete, wallah che sono splendide splendenti!

A quel punto interviene Kamel:
– È molto grave quello che dici. Osi rubare a tua madre? Questo ragazzetto non si vergogna di niente!
Quindi, nessuno ha più il coraggio di parlare, persino il conducente evita di finire il suo racconto. Mi rimane ancora qualche secondo per pensare in santa pace alla prima persona che mi viene in mente, Abdou. Mi sarebbe piaciuto fare la traversata con lui. Ma come avrebbe sopportato queste notti atroci in compagnia di questi forsennati? Forse ha fatto bene a restare e a differenza mia a non voler mai partire, almeno non in questo modo. Quando penso ad Abdou, l’immagine di Mama appare per forza di cose tra i miei pensieri. Per evitarlo, decido di tirare fuori il telefono. Non ho ancora avuto il tempo di inserire la nuova scheda, mi accontenterò allora di ascoltare una vecchia playlist.

Mi metto gli auricolari e faccio partire ancora una volta la riproduzione casuale. Sarà Dounia di Soolking. La musica mi conforta nell’idea che i segni sono tutti lì. Questo pezzo, l’ho ascoltato a non finire quando iniziai a pianificare la partenza. Credo che tutto fosse scritto.

Dounia[2], mi incanta tutti i giorni

Come una donna a cui darei l’anima

Con lei accumulo i nemici

Con lei accumulo il haram

Dounia è l’Algeria che sto lasciando. Quella che mi ha cullato su un piano troppo instabile, quella che mi ha fatto crescere prima del tempo, quella che mi ha fortificato a suon di schiaffi. Eppure, amo Dounia di un amore incondizionato. E sai una cosa? È per questo che me ne separo, perché questo amore è nocivo, mi brucia a fuoco lento. L’Algeria è una donna splendida tradita dalla sua bellezza. Allora per amarla veramente, bisogna lasciarla. I miei pensieri si mescolano alle parole di Soolking.

La miseria mi uccide
E la ricchezza mi affascina
Certo entrambe non sono facili,
Devo restare lucido


Tutto ciò che dice riecheggia in me. Qui c’è carenza d’amore, è a senso vietato. E tu stai lì, a condividere le tue disavventure con quelli che vivono nella tua stessa miseria. Sogni l’opulenza e altre cose che non hanno alcun senso. Tra me e Dounia è una storia di amore e odio. Mi piace detestarla per tutto quello che mi ha tolto e tutto quello che non ha mai saputo offrirmi. Per cercare di trovare il sublime che è in lei, devo scappare.

Algeria mi Amor

Wladek getôo l’bhour[3]

Non hanno paura della morte

L’orgoglio viene prima

È arrivato il momento di andare via, di partire…
– Salim! Che fai? Siamo arrivati!
Omar è apparso dal nulla. Interrompe i miei pensieri bussando al finestrino della macchina, apre la portiera in un attimo e mi aiuta ad infilare lo zaino. Ero talmente sovrappensiero che non mi ero accorto che gli altri erano già scesi. Cazzo, ci siamo! I miei auricolari si intrecciano alla tracolla, li tiro un po’ troppo bruscamente. Si rompono.

– Ma porca puttana!
– Chi se ne frega. Prendi questo! Ti porto l’altro.

Mi passa una tanica di benzina, me ne dà un’altra e mi chiede di seguire il nostro trafficante Habib che cammina davanti. Attraversiamo un bosco con gli zaini in spalla, trasportando la benzina, le borse frigo e le bottiglie di acqua.

Dopo circa cento metri, arriviamo a Oued El Hammam, il fiume che ci porterà direttamente verso il mare. Lo percorriamo in silenzio fino a che Habib ci ferma sotto un ponte.

– Per quelli che non hanno avuto il tempo di farlo prima, il sacro bisogno si fa adesso oppure mai più!
Alcuni si imboscano dietro i cespugli, io ed Omar restiamo insieme. Mi osserva insistentemente e poi mi dice che il ponte è in realtà la vecchia strada nazionale che collega Orano ad Algeri.

– Non hai per caso una voce in testa che ti dice che il gioco non è ancora iniziato? Che possiamo ancora tornare indietro?
Alzo gli occhi e scuoto la testa in segno di disprezzo.

– Okay, okay, kho[4]…Ti prendo solo in giro.
Non mi prende in giro e lo sa. Al contrario, è serissimo. Perché anch’io, ho la stessa voce in testa che mi dice che posso ancora tornare a casa. Posso decidere adesso, subito, di abbandonare tutto. Ma tutti e due sappiamo che non succederà. Per orgoglio, per sdegno, oppure per avere il coraggio di andare dritto contro un muro. Se è necessario sparirò dai radar, morirò in mare, ma mai e poi mai rientrerò con la coda tra le gambe, sarebbe una sconfitta troppo grande. La harga non è un sogno ad occhi aperti sfumato. Almeno non la mia. Non cederò alla tentazione del rientro, sono qui per tagliare la corda e non me ne frega niente delle conseguenze.
– Omar non molleremo proprio adesso… Ce la faremo. Io e te andremo a Parigi e vinceremo la scommessa.
Una lacrima gli scende dall’estremità dell’occhio. L’asciuga velocemente e si giustifica senza lasciarmi il tempo di consolarlo.
– Ho preso due pasticche di Lyrica prima di partire. No…non è niente…Non ti preoccupare. Omar ha deciso di viaggiare sotto psicofarmaci, penso che sia per fuggire la realtà. Mi dispiace per lui.
Si allontana con due bidoni di benzina e supera il gruppo per raggiungere Habib che ci fa segno di rimetterci in cammino.

Io aspetto che tutti gli altri passino davanti, ho bisogno di trascorrere un ultimo momento da solo. Penso intensamente a mia madre e le chiedo perdono.

L’acqua del fiume si mescola con la sabbia, il che crea una sorta di suolo vischioso. Il mio piede è incastrato, non riesco più a rialzarmi. Forse è un ultimo segno che mi avvisa che devo rientrare a casa. Ma non capitolerò. Chiamo Omar che ritorna verso di me, appoggia le taniche e mi tira con tutte le sue forze per farmi uscire da questo impiccio.

– È certo! L’Algeria non vuole che tu parta!
– Non gliela darò vinta. Dai, andiamocene da qui! Raggiungiamo gli altri sulla spiaggia di El Mactaa.
Mentre Habib inizia a sistemare le nostre cose sull’imbarcazione, intravedo la Range Rover del big boss. Sempre accompagnato dal suo buttafuori dall’aria scocciata, El Mâalem viene per dirci addio.
– Ah, giovincelli, sono felice di offrirvi questa opportunità!
Come puoi notare, ha proprio una faccia tosta. Non ci offerto un bel niente. Ci ha sequestrati, rinchiusi, confinati e maltrattati.
– Prima di salutarvi, vorrei procedere ad un voto collettivo. Ci state?
A questo punto, Zak e Noor si avvicinano a lui. Omar ritorna indietro scherzando.
– Che cos’è questo casino? Diventeremo i presidenti della harga?
El Mâalem lo prende in giro.
– Tu presidente? Non credo proprio, caro mio, tu sei troppo buono.
Si accende un sigaro puzzolente prima di spiegarci la situazione. Qualche giorno fa, Zak e Noor hanno spiegato a El Âssas che erano troppo numerosi per salire a bordo dell’imbarcazione.

Bisognava dunque procedere all’eliminazione di due persone che partiranno al prossimo viaggio. El Âssas ha quindi trasmesso il messaggio a El Mâalem che si è lasciato convincere dalle loro argomentazioni. Secondo loro, un motore da 80 cavalli non reggerebbe dieci persone, i loro approvvigionamenti e i bidoni della benzina. Per cercare di convincerlo non hanno esitato a raccontargli la loro esperienza della harga.

In realtà, tutto era già pianificato. El Mâalem continua:
– Zak e Noor ci hanno parlato della loro paura di fallire un’ennesima volta. Sapete tutti che hanno passato sei ore in mare per compiere una decina di chilometri e che sono stati obbligati a tornare al punto di partenza. Non voglio che questo ricapiti, allora voterete uno ad uno e mi darete il nome delle due persone. Mettetevi in fila!

Con grande sorpresa, tutti sembrano pronti a stare al gioco. Io rimango senza voce, penso che siamo arrivati ad un grado di disperazione tale che solo i disillusi possono capire.

– Dai, dai, non siate timidi. Due nomi, a caso!
El Mâalem si avvicina a Noor che sta a capo fila, gli comunica la sua scelta senza un minimo di esitazione:
– Kamel e i suoi figli. Per me, sono i più vulnerabili.
Zak fa la stessa cosa e anche Omar. Il Nano, il Minore e la Spia, seguono tutti l’andazzo. Impotente osservo Kamel che stringe Samy a sé. Singhiozza. Kamel piange come un uomo che non ha mai pianto. Non è in grado di reagire, suo figlio dorme profondamente. Ci guarda disperato. Che cosa penserà di noi? Sicuramente che siamo degli incapaci, degli immondi, delle brutte persone, sleali, eccessivi, insensati, fifoni, irresponsabili, degenerati, meschini, pericolosi.

Dei bastardi individualisti, dei cacasotto, delle canaglie, dei furfanti, dei luridi, degli schifosi, dei viziosi, degli scapestrati, dei depravati, dei delinquenti, dei corrotti, dei buffoni, degli psicopatici, dei drogati, degli imbestialiti, degli isterici, degli squilibrati… Delle sottospecie di merde.

Poi tocca a me votare. El Mâalem aspetta una risposta. Sbotto:
– Che? Non è abbastanza per te? Non ti basta la cazzo di maggioranza?

– Credo nella democrazia, mio piccolo Salim. Vota! Ho voglia di distruggerlo questo halouf[1]. Mi obbliga a dargli dei nomi che non voglio dargli. Da solo, quest’uomo rappresenta tutta l’Algeria che odio. È fuori di sé, un pazzo furioso. Sa esattamente quello che dirò. Tutti lo sanno. E persino tu, eh? Tu lo sai già bene, che sono un traditore. Un abietto. I tipi come me, ne avrai incontrati a dozzine. Li giudichi, li disprezzi. In realtà, li ignori, te ne freghi della loro fottuta esistenza. A volte, ti fanno paura. Ma cazzo, guarda! Guarda cosa cosa sono costretti a fare, questi tipi. Abusano della gentilezza dei loro simili, rubano il posto a quelli che se lo sono meritati molto più di loro. Non fanno altro che mentire e deludere. Ingannano gli ingenui, affliggono i più fragili e distruggono il mondo intorno a loro. Guarda! Guarda bene! È quello che faccio anch’io.
– Kamel e i suoi figli…
– Eh bene bravo! Toufik sarà lieto di conoscere il tuo voto.
El Mâalem. Quel figlio di puttana. Se il mio destino non fosse nelle mani di questo pappone, mi sarebbe piaciuto spaccargli la faccia.
Kamel rimane immobile, le sue lacrime parlano per lui. Il capo gli chiede di seguirlo. Obbedisce, senza opporre resistenza.
Avrei preferito che me ne dicesse di tutti i colori, che mi dicesse che sono un cazzo di venduto. Ma Kamel non è come me.

CAPITOLO III

Signora Coraggio

Tutto è sinistro in questa stanza, tutto sembra lugubre, forse perché la vita lo è. Non c’è alcun segno di vita al di fuori del grido degli uccelli di tanto in tanto. Ho rubato qualche pasticca della Signora Coraggio e l’ho nascosta nelle mutande. La prendo quando la voglia mi assale. Grazie a lei, sono lì. Sono in vita nonostante il dolore che sopporto ogni notte. Tre pasticche o quattro, nell’arco di una sera. Non ti nego che a volte, le mando giù senza contare. Quando mi accorgo che non ce ne sono più, chiedo di vedere la guardia per cercare di intortarla. Se mi lascia fare visita agli altri detenuti, inizio le negoziazioni. Scambio delle paglie in cambio di qualche sostanza. È là che lo spettacolo comincia.

Lasciatemi tranquillo, stasera ho preso la Signora Coraggio
Lasciatemi morire, dopo tutto quello che ho visto alla mia età

Lasciatemi soffrire, la vita ha preso il mio cuore in ostaggio

Mi crederesti, se ti dicessi che non voglio mai più vedere il mare? Insinua in me dei pensieri che non riesco a controllare. Il mare mi consuma, mi ricorda tutto quello che rimpiango.

Per tanto tempo, sono stato suo figlio, ma se avessi saputo che la vita sarebbe stata così difficile qui, gli avrei chiesto di portarmi con sé verso altre rive, oppure verso il fondo.

Chiudo gli occhi e rivedo quel paesaggio, il cielo stellato, quella flouka[1], poi penso ai miei compagni di viaggio. Che cosa fanno? E Kamel? Me ne vorrà ancora? Toufik sarà sicuramente al corrente del mio tradimento.

Ho ancora il bigliettino che aveva infilato tra le banconote.
«Buon viaggio, h’bibi, non fidarti di nessuno eccetto di Kamel.»

Lo tengo nella tasca per ricordarmi che non ho tenuto la parola. Ho deluso Toufik, lo so perché non si è mai degnato di chiamarmi. Questa storia mi perseguita, ci penso in continuazione senza

riuscire a tirarla fuori dalla mia mente.
Altro che un disilluso, mi rendo conto di essere diventato un vinto. Sono un perdente perso non solo in una prigione sinistra e opprimente ma anche nei miei pensieri.

Il giorno del nostro arrivo ad Almeria, abbiamo preso una stanza d’albergo riuscendo a corrompere il receptionist per evitare di fornire i documenti. Ma evidentemente, la grazia divina che invochiamo con dei falsi pretesti non è durata a lungo. Gli sbirri ci hanno svegliato all’alba, di soprassalto. In quel momento abbiamo capito che gli impiegati dell’hotel ci avevano gettato nella fossa dei leoni. Siamo stati prima portati in commissariato. Manette, perquisizione fisica, anale, pugni in faccia e abuso di potere. Il pacchetto completo. Tra me e me ho pensato: «maâlich[1], tutti i harraga l’hanno vissuto prima di me, uscirò tra qualche giorno». Cazzate! Non si sono fatti scrupoli a trasferirci a Malaga, nel centro di detenzione di Capuchinos. Siamo stati accusati di possesso e fabbricazione di documenti falsi, tutto questo a causa di un errore di cui non ero neanche responsabile. Dei documenti falsi sono stati trovati tra le cose di Omar. Ho chiesto un avvocato, ho cercato di fare appello. Niente. Nessuna risposta. Allora per evadere, mi sono accontentato dello sballo.

Triste è la superficie, oscuro l’interno Vivere gli incubi, i sogni restano inferiori

Nelle fauci del lupo, nella gabbia del leone

Né forza di uscirne, né condivisione collettiva

Qui ho incontrato una marea di tipi come me. La maggior parte viene dall’Algeria o dal Marocco. Accolgono tutti a braccia aperte e sono molto affiatati. A nessuno di loro piace dare dei dettagli sulla traversata. Tutti dicono che vengono solo per vedere il paesaggio e prendere una boccata d’aria: «Io? Sono venuto come turista!» Fanno riferimento alla harga solo quando cantano, quando sono strafatti. La Signora Coraggio illumina le nostre serate. Senza di lei, non so cosa sarebbe stato di me. I suoi effetti mi regalano l’oblio. Amnesia profonda; sono il re del mondo.

Ma il picco non dura tanto e il momento della discesa arriva prima del previsto. La vita riprende il suo corso. Il paesaggio grigiastro e il pallore della mia pelle formano un duo da brividi. Quello dell’amarezza e della disillusione. La mia vita si riduce a questo. Come quella degli altri. Per respirare dell’aria fresca, ci accontentiamo di fare le nostre passeggiate. Vediamo uno squarcio di cielo blu e se siamo fortunati qualche raggio di sole si posa sull’asfalto del cortile interno. Nonostante questo briciolo di magia offerto dalla luce naturale, le braccia della Signora Coraggio valgono molto di più di questi svaghi; sono confortevoli, direi quasi rassicuranti. Perché le passeggiate sono solo delle parentesi nella vita che si siamo imposti.

Inizia tutto nelle nostre cellule. Siediti sul materasso con le spalle al muro, assicurati di essere in una posizione piacevole, chiudi gli occhi, fai un respiro e manda giù una prima pasticca. Per un effetto migliore, utilizza la saliva per farla scendere.

Adesso devi riuscire a svuotare la mente pensando a qualcosa che non ha molto senso -la forma senza il contenuto. I minuti diventeranno secondi, tutto andrà sempre più veloce. Ma fai con calma, segui il tuo ritmo, tu puoi controllare la cadenza…Allora? Lo senti? Sta salendo. Ed è in questo momento che i tuoi pensieri ti guideranno verso un universo sconosciuto che tuttavia ti sembrerà sempre un po’ familiare. Le montagne russe emozionali. Rischi di provare un pizzico di melanconia durante lo sballo ma, non preoccuparti, ci si sente sempre a casa quando la Signora Coraggio ci prende per mano. Lei non ci lascerà. No, mai. A volte dei medici vengono a farci visita. Una di loro si chiama Anà. Grazie a lei, i miei dolori ai piedi e le ferite sono guariti rapidamente. Si prende cura di me assicurandosi che la mia pressione sia normale e dandomi qualche quadratino di cioccolato. Ho l’impressione di essere suo figlio. Anà ha una sensibilità materna che mi tranquillizza, mi ricorda mia madre. Tra l’altro, qualche giorno fa, ho parlato con Mama al telefono. A quanto pare, durante tutto questo periodo di silenzio, le è giunta voce che facevo ancora parte di questo mondo. Ho sentito che le tremava la voce, Mama stava per piangere. Ascoltandola, mi sembrava di consumarmi; mi spegnevo.

La harga si riduce a questo allora? Cercare di dimenticare il passato e non riuscire più a versare neanche una lacrime? Penso che sia peggio della morte. Il mio viaggio mentale non ha più alcun sapore. Ho bisogno di toccare il fondo fino a sparire per sempre, voglio partire. E questa volta per davvero.

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