Articolo di Antonino d’Esposito
Sembra quasi che nella letteratura francofona contemporanea di matrice magrebina gli scrittori facciano prima un giro nelle scienze per poi dedicarsi definitivamente alle lettere. Accanto all’ormai noto Fouad Laroui, marocchino che da svariati anni si è affermato nel panorama editoriale francese, un altro ingegnere, questa volta, tunisino, sta facendo sentire la sua voce già da un decennio: Yamen Manai. Classe 1980, figlio di insegnanti, resta fin da piccolo incantato dalla poesia araba, come lui stesso confessa in un’intervista a KoMaghreb: “L’attaccamento alla poesia viene dalla mia cultura araba. Nella sua epoca d’oro, questa poesia raggiunse una bellezza ineguagliabile, la ricchezza dell’arabo aiutava il poeta a sublimarsi e a raggiungere il sublime. Abu Nuwas, Al-Mutanabbi, Imru ‘l-Qais. Auguro a chi non conosce le loro poesie di leggerle un giorno. Secondo un filosofo tedesco di cui mi sfugge il nome, e con il quale sono completamente d’accordo: “Solo i poeti costruiscono ciò che resta”. I gioielli della cultura araba, e ciò che ha costruito universalmente sono in questa poesia che oggi molti dimenticano, purtroppo.” Dopo gli studi di ingegneria a Parigi, nella capitale francese l’amore per le lettere torna a fare capolino nella vita di Manai, che decide di iniziare a scrivere e di farlo in francese. I suoi romanzi, tutti ascrivibili al genere del conte philosophique, sono marcati da un forte impegno sociale e una spiccata propensione per una conclusione positiva che però non sfocia nella banalità del lieto fine. La prima pubblicazione è La marche de l’incertitude (Il cammino dell’incertezza, 2010), uscito, come tutti i suoi scritti, per l’editore tunisino Elyzad. Premiato col Comar d’or, il romanzo parte da un assunto semplice: il caso obbedisce a una legge, la casualità è un qualcosa di facciata perché, in realtà, segue dei percorsi simili ad equazioni matematiche. Il romanzo parte col personaggio di Christian Boblé che ha appena ricevuto il premio Nobel per la fisica per il suo lavoro sull’antimateria. La teoria scientifica rimanda alla teoria del romanzo: come identificare il casuale e l’inafferrabile e contenerli in leggi tangibili e calcolabili? La scienza illumina così la letteratura e viceversa perché tutte le trame che si intrecciano nella narrazione sono un prodotto del caso, una sorta di antimateria, ma scavando alla ricerca di corrispondenze tra di esse, si può identificare il loro comune punto di convergenza.
La sérénade d’Ibrahim Santos (La serenata di Ibrahim Santos, 2011, premio Alain-Fournier nel 2012), uscito all’indomani della rivoluzione dei gelsomini, sembra quasi un testo profetico. In una fantomatica repubblica delle banane sudamericana, la città di Santa Clara, dove si produce il miglior rum del paese, nessuno è al corrente della rivoluzione che il dittatore Alvaro Benitez ha messo in atto vent’anni prima. Gli abitanti vivono al ritmo delle serenate di Ibrahim Santos, musicista metereologo. Quando il dittatore si accorge di questa anomalia storica e invia prima le truppe rivoluzionarie e poi un giovane ingegnere agronomo per industrializzare la produzione del rum, le abitudini della cittadina verranno sconvolte. Prendendosi gioco del progresso tecnologico e parodiando i modelli dei regimi autoritari moderni, Yamen Manai si chiede, chiaroveggente, se la rivoluzione del 14 gennaio non sia il preludio a qualcosa di peggio, a una nouvelle souris manipolatrice.
La consacrazione di Manai scrittore avviene, però, con L’amas ardent (L’ammasso ardente) che, uscito nel 2017, fa incetta di premi: Prix des cinq continentes de la francophonie, Grand prix du roman métis, Comar d’or e Prix du livre Lorientales. Qui per scagliarsi contro il fondamentalismo e il terrorismo, lo scrittore usa come metafora una tecnica di difesa delle api, l’ammasso ardente appunto. La vicenda si svolge in una placida campagna tunisina in cui il Don, un apicoltore, vive quasi da asceta con le sue api finché un giorno inizia a trovare le sue arnie devastate e le api morte. Capisce che calabroni finora sconosciuti hanno attaccato il suo alveare. Gli animali alieni sono arrivati in casse importate, che “il partito di Dio” ha distribuito alla popolazione analfabeta in cambio di un voto alle prime elezioni libere del paese. Il popolino delle campagne, miserabile, dimenticato dai politici, invischiato nelle proprie tradizioni, si è trovato investito dai nuovi “pazzi di Dio” le cui prediche incendiarie che invocano la guerra santa trovano un’eco tra i più fragili. Il male venuto da lontano non è solo il calabrone asiatico contro il quale le api locali sono indifese, ma anche l’oscurantismo degli impostori religiosi (una sorta di calabroni umani) che facilmente si impadroniscono delle anime indifese. Un esempio è Toumi, uno dei giovani del villaggio, scomparso mesi prima e poi riapparso sotto le vesti di un sanguinario fanatico. Al Don non resta che intraprendere un lungo viaggio alla ricerca dell’antidoto ai nuovi calabroni che devastano le sue figlie.
Ultima uscita all’attivo dello scrittore tunisino è Bel abîme (Bell’abisso, 2021), romanzo che nel 2022 ha ricevuto il Prix de la Littérature arabe della Fondation Lagardère. Centro di questo romanzo è la gioventù tunisina che, completamente trascurata e abbandonata dal mondo adulto, frustrata e disperata, arriva a compiere gesti estremi. La storia d’amore tra un ragazzo e la sua cagna, Bella, raccolta per strada al ritorno da scuola, viene spezzata dal padre che fa scomparire l’animale. Lo choc psicologico che ne deriva porterà il ragazzo a vagare nella periferia di Tunisi in uno stato di semicoscienza.
La scrittura di Yamen Manai non è mai prolissa, i suoi romanzi, nel giro di qualche centinaio di pagine, riescono ad incantare il lettore per la profondità dei temi affrontati, una capacità analitica della società tunisina contemporanea che unisce engagement e letteratura in una prospettiva che ci fa ben sperare per il futuro della francofonia tunisina.
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