Le donne del vento arabo di Razan Moghrabi

  Recensione di Federica Pistono

  Razan Moghrabi, nata nel 1961, giornalista e scrittrice libica, è stata caporedattrice di una rivista culturale chiamata Horizons e ha pubblicato cinque raccolte di racconti e due romanzi. Ha lavorato come giornalista per varie testate libiche e arabe dal 1991.

 Nei suoi scritti ha documentato con grande passione la condizione della donna nel mondo arabo, e nella società libica in particolare. Il suo romanzo Nisa’al-rī (Le donne del vento, pubblicato in italiano con il titolo Le donne del vento arabo, Newton Compton, 2011, trad. G. Renna), è stato selezionato per il Booker Prize arabo del 2011.

  Le donne del vento arabo

 Il romanzo è ambientato a Tripoli, capitale di un Paese ricco di petrolio e soffocato da una brutale dittatura che sta per assistere alla propria fine. La città nasconde, nelle sue strade e nei suoi palazzi, vicende di discriminazione e chiusura sociale. L’autrice affronta non soltanto il tema della condizione femminile, ma racconta le sofferenze di un’intera nazione soggetta ai soprusi e alle prevaricazioni di un regime autocratico, dipingendo il ritratto di un popolo che non si rassegna al suo destino, ma continua a lottare per conquistare un futuro più dignitoso.

  Sullo sfondo della Libia incendiata dalla rivoluzione, il romanzo narra la storia di un duplice viaggio. Il primo è quello di Bahija, giunta a Tripoli dal Marocco nella speranza di raggiungere la Francia, passando per l’Italia, alla ricerca di un futuro decente. L’altro percorso si snoda all’interno delle vite di quattro donne libiche, unite da amicizie di comodo e da uno strano rapporto con la Scrittrice, voce narrante del romanzo, un personaggio che si insinua nella vita di ognuna, cogliendone la voglia travolgente di raccontarsi. Tra le mura del palazzo in cui abitano le quattro amiche, s’intrecciano storie di donne ripudiate, di seconde o terze mogli costrette a mantenere segreto il proprio matrimonio, di violenze e tradimenti inconfessati. Un mondo in cui le donne sono obbligate ad arrendersi alla doppia morale e sottostare alle regole imposte dagli uomini.

  Un doppio viaggio documentato da Bahija che, su un barcone della speranza, affida a un registratore, dono della Scrittrice, le sue memorie libiche e i suoi sogni di rinascita e libertà, che spera di realizzare in Europa.

  Nell’opera si individuano tre tematiche portanti: l’oppressione del popolo libico, schiacciato ma non piegato da decenni di dittatura; la condizione della donna libica, dominata da una morale arcaica; il tema della migrazione e del viaggio per mare, intrapreso da Bahija alla volta dell’Italia.

  La prima tematica, quella degli ultimi tempi del regime di Gheddafi, costituisce lo sfondo del romanzo: l’oppressione e l’ansia di libertà del popolo libico sono percepiti dal lettore, anche se l’argomento si sarebbe prestato a un maggiore approfondimento.

  Riguardo alla seconda problematica, concernente la condizione femminile in Libia, è la Scrittrice, protagonista misteriosa, senza nome né volto, a tirare i fili della vicenda: è lei a decidere quali e quante donne debbano intervenire nella storia per dar vita al suo romanzo corale, polifonico.

  La prima voce del coro è quella di Bahija: marocchina, poco più che trentenne, prima di emigrare in Italia, come molti connazionali, è già emigrata dal Marocco a Tripoli, considerata patria dei sogni, per sfuggire al rifiuto della famiglia, che non ha accettato la sua perdita della verginità al di fuori del matrimonio. A Tripoli, ha lavorato come cameriera nelle case dei ricchi, riuscendo a trasformare il ruolo di domestica in quello di confidente, amica e consigliera delle padrone di casa. Ciò che la spinge a partire di nuovo, però, non è l’umiliazione dei lavori domestici, ma “la sofferenza che vede intorno a sé e che spinge le donne a trattarla e a trattarsi male”.

  Sul barcone, mentre Bahija è esposta al rischio di annegare, la Scrittrice ascolta la sua voce dalla casa di Tripoli. Bahija conserva con cura il registratore perché quella memoria metallica rappresenta l’ultimo legame col passato, e vuole che diventi parte del romanzo ancora tutto da scrivere.

  In diretta dal barcone, tra gli odori nauseabondi di pesce marcio rimasto impigliato tra le reti, del cherosene e del vomito dei passeggeri, la ragazza registra le sue impressioni, attenta a non subire le molestie di qualche uomo che approfitti del sovraffollamento per allungare le mani, ben conoscendo le storie delle tante donne violentate durante la traversata sotto gli occhi attoniti di padri e mariti.

  Il viaggio di Bahija è simile a quello di migliaia di migranti che “vendono l’anima agli scafisti” per realizzare il sogno di giungere in Italia e proseguire poi per la Francia o il Nord Europa.

 Ritorna il tema della migrazione: chi sono i migranti lo spiega a Bahija un compagno di viaggio algerino, durante la traversata: “Nel Maghreb ci chiamano “incendiari” (harraga) perché bruciamo dietro di noi la nostra storia. Niente documenta più chi siamo, le nostre qualifiche, non siamo più niente. Entriamo in Europa come corpi vivi o morti, non fa differenza, siamo solo corpi che respirano, mangiano, bevono e fanno qualsiasi lavoro pur di restare in qualche tenda uguale a quella dei campi profughi. Dovremo dimenticare la nostra lingua e rinnegare le nostre tradizioni, altrimenti saremo solo emigranti clandestini o dei terroristi. Nulla è cambiato dai tempi in cui i nostri antenati, secoli fa, andavano nel profondo dell’Africa nera a scegliersi la merce, in genere ragazzi giovani. E pagavano per questo. Invece adesso siamo noi a pagare questi nuovi mercanti”.

  Diventare il personaggio di un romanzo, non è un desiderio solo di Bahija. Altre donne chiedono alla Scrittrice di essere inserite nell’opera letteraria. Come Yosra che le porterà dei “foglietti gialli scritti in bagno di nascosto del marito e dei figli, con annotati i suoi pensieri, il suo dolore, pur di diventare personaggio principale nel palcoscenico vuoto della vita”.

  Le quattro donne libiche abitano tutte nello stesso “palazzo sul mare”, una dimora in cui intessono una rete di ipocrisie, interessi, sotterfugi e rivalità, sotto il velo sottile di una falsa amicizia. La scrittrice ce le presenta, una alla volta: Yosra, che ha soltanto ventisei anni e già cinque figli, “dotata di grande femminilità” ma senza controllo sui propri sentimenti; Huda, seconda moglie segreta di Adil, il marito di Safà, donna ricca e viziata, “ossessionata dai capelli che teneva lunghi oltre la schiena come una ragazzina”. Safà è al corrente del matrimonio di Huda con il proprio marito, ma finge di ignorarlo perché consapevole di essere ricca mentre Huda è povera, pertanto destinata a restare per sempre “una seconda”: quando Adil viene ricoverato in ospedale non le permette neppure di vederlo. Huda, dal canto suo, è interessata solo ai soldi di Adil e non si vergogna di confessarlo. La stessa Scrittrice, del resto, è seconda moglie insoddisfatta di un uomo facoltoso e vive con lui “finché continuerà a firmare per lei assegni generosi”. Per distrarsi scrive romanzi traendo ispirazione dalle storie d’amore delle donne del palazzo.

  Intorno alle protagoniste si muove una folla di altre donne tristi, con storie di disagio e di amori non corrisposti. Ognuna di loro cela dei segreti, alcuni dei quali inconfessabili, come l’attrazione sessuale per un’altra donna.

  Emerge il ritratto impietoso di una società patriarcale, ipocrita, perbenista e conservatrice, in cui risulta netta la separazione tra ricchi e poveri, tra gli uomini ricchi e potenti, ai quali tutto è permesso, e l’universo femminile, tristemente ripiegato su se stesso.

  Le quattro protagoniste si nutrono infatti di sogni irrealizzabili, destinati a naufragare miseramente nell’invidia, nella vendetta, nel pettegolezzo, nelle bugie, nel ricatto; si affidano ora alla magia, ora alla lettura del futuro nei fondi di caffè; fuggono dal mondo reale e scelgono la finzione, il doppio gioco come stile di vita.

  La falsa amicizia “crollerà” insieme al palazzo, che sarà demolito per realizzare il piano della ricostruzione della città. Un edificio che sembra essere esistito unicamente per fare da cornice alle donne del romanzo, per poi sprofondare nell’oblio. Un palazzo a sua volta inquadrato nella cornice di Tripoli, terza protagonista dell’opera e specchio fedele delle storie delle donne: “una città fittizia, con due anime, l’una nascosta dentro l’altra, vera e illusoria, allegra e triste al contempo. Due città, una per il giorno e le faccende pubbliche e l’altra per la notte e le cose segrete. Meravigliosa città maltrattata dai suoi abitanti dal carattere mutevole e imprevedibile; seducente eppure abbandonata, che guarda da lontano con l’occhio di chi annega, lanciando lunghi lamenti”.

   Le donne del romanzo, presentate come emblema della femminilità araba, affrontano un universo per il quale sono solo ombre, niente altro che figure in cui si imbattono per caso gli uomini, ovvero i reali gestori della società, “piccoli dei” a cui tutto è dovuto perché sono in grado di plasmare a loro piacimento tanto il mondo esterno quanto il claustrofobico microcosmo femminile.

  Le Donne del vento arabo è, dunque, un romanzo sul tema del viaggio come rinascita, liberazione, ponte tra il passato da cancellare e il futuro da costruire, spostamento reale e psicologico da una cultura all’altra, da un mondo all’altro alla ricerca della felicità.

Il titolo originale del romanzo Nisa’al-Rī in arabo, ovvero “Le donne del vento”, allude dunque al vento del cambiamento, che spazza via la dittatura, ma anche i sogni e le illusioni, o al vento caldo delle coste africane che spinge le onde del mare e infonde, a chi trova la forza di intraprendere la traversata, il coraggio di proseguire il proprio cammino, anche con il vento contrario.

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