Traduzione di Federica Pistono
Il mio corpo fremeva, sotto la doccia. La pelle morbida era scaldata dalle mani delle massaggiatrici, che mi preparavano per il matrimonio. Avevo la sensazione che il mio peso si fosse dimezzato. L’olio di fico d’India lasciava scivolare l’acqua insaponata, che mi scorreva lungo i fianchi e le cosce. Il vaso, colmo di polvere di foglie di henné, brillava sullo scaffale, sul quale mia madre conservava i flaconi di polvere di carrubo e pasta aromatica, con il sapone al gelsomino.
Mia madre affermava che un velo di henné sul mio corpo sottile avrebbe reso più chiara la mia pelle bruna, un effetto che sarebbe durato per una settimana, dopo le nozze.
La prima dose di henné verde colò, rossa, nello scarico del lavabo. Una visione che mi provocò una vertigine. L’immagine vorticava, mi sentivo sul punto di svenire, come se un nastro blu mi circondasse la testa e gli occhi. In quel momento, le mani di mia madre e mia zia mi strapparono dal bagno, con un grido: «Nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso! Mi rifugio in Dio da Satana il maledetto!»
Il foglio giallo che fluttuava nella vasca d’argento aveva tinto l’acqua del colore dell’inchiostro di zafferano, utilizzato dal mutawwiʻ per copiare i versetti coranici. Mia madre me l’accostò alle labbra. Bevvi. Tremavo, il mio corpo bruciava di febbre. Mia madre mi coprì.
«Hissah, è il malocchio che ti colpisce, è Umm Abdel Rahman, che Dio la maledica!», sibilò mia zia.
Mia madre sussurrò degli scongiuri, mentre le sue dita si ammorbidivano, passando e ripassando sulla mia testa.
«Che cosa vuole, quella donna?»
«Il giorno in cui le ho annunciato le nozze di Hissah per il giovedì successivo, ha detto: “Ah!”, senza invocare la benedizione di Dio sul matrimonio. Mi ha detto: “Nuwayr, la ragazza è molto giovane. Disgrazia su di voi! Le ragazze invecchiano in casa, e Hissah si sposa, lei che non è neppure uscita dall’uovo!”»
«Non c’è altro Dio all’infuori di Dio! Mi rifugio nel Signore degli uomini dai jinn e dagli uomini! So perfettamente quello che intendeva dire: voleva parlare delle ragazze che hanno superato una certa età, e delle sue nipoti, ma come si può paragonare alle figlie di Umm Rahim la nostra piccola Hissah, che è bella come la luna? Umm Rahim, che Dio ti punisca!»
Respirando sotto la copertura, l’aria mi sembrava fuoco, riversato da un cielo scuro. Il primo spruzzo di henné era ancora rosso, sulla mia pelle. Osservandolo, scivolai nel ricordo.
Mio padre non somigliava agli altri uomini. Il suo cuore era tenero, come un fiocco di cotone bianco, staccatosi da un letto impregnato di profumo di Najd e aloe di Cambogia.
Mia madre era un cuore che si aggirava nei corridoi della casa, un cuore senza corpo, né natiche né petto: aveva soltanto due mammelle che emanavano un odore materno, da cui le nostre bocche succhiavano il latte.
Mia madre non era come le altre donne, né mio padre era come gli altri uomini. I miei fratelli e io eravamo bambini che non erano mai cresciuti. Non pensavamo neppure a crescere, convinti di restare imprigionati per sempre in quei piccoli corpi.
Mi sdraiai su un materasso freddo, steso sulla terrazza. Mia cugina Jawahir arrivò di corsa, allegramente, a gettarsi sul mio letto, che era diventato tiepido. Cinguettava come un uccellino: «La mamma mi ha accordato il permesso di dormire qui, stanotte».
Cominciammo a raccontarci storie e aneddoti infantili, la cui fonte erano i nostri giochi segreti con i ragazzini del quartiere. Ci sussurravamo i racconti all’orecchio, perché mia madre non potesse udirli. Non avremmo osato immaginare la sua reazione…
I nomi dei ragazzi scivolavano dalle nostre labbra, che si arricciavano, nominando Muhammad, o Salem, il giovane scapolo che abitava per conto suo: di sera, prendeva il libro e si dirigeva verso l’istituto presso il quale seguiva un corso serale.
Mio padre apparve, noi tacemmo, tirandoci la coperta blu sulla testa. La voce irritata di mia madre si levò all’improvviso: «Hassis, Jahir, non fate chiasso! Calmatevi!»
Ci avvolgemmo nella coperta. Eravamo nel mezzo della notte. I gioielli della luna brillavano nei sogni, poi la lune disparve.
Era un mormorio di voci confuse, anche se alte…Era stato quel suono a svegliarmi? O era stato il vento freddo di quella notte d’inverno a increspare di brividi i miei piedi nudi?
Le due voci erano vicine. Le riconobbi: erano quelle di mio padre e mia madre. Bisbigliavano in modo strano. Le udivo per la prima volta. Sporgendo appena la testa, gettai uno sguardo furtivo al loro letto, che si muoveva…
Al mattino, quando mi svegliai, mio padre somigliava al vicino scapolo, mia madre ai seni succhiati dai bambini. Per quanto mi riguardava, odiavo, ormai, dormire in terrazza.
La voce di mio padre suonò tagliente:
«Hissah, figlia mia, non sai distinguere fra gli uomini… Non c’è forza né potenza se non in Dio…»
«Che cosa manca a Rashid? È un giovane di buona famiglia, ed è istruito», gli rispose mia zia materna, il viso nascosto sotto un velo nero.
«Nuwayr», disse dolcemente mia madre. «Ogni anima ha i suoi peccati. Forse Hissah ha un’altra opinione».
«No, mio Dio, a turbarla è solo un’anima invidiosa, ma, grazie al Qarayah[1], Hissah starà meglio. Affidati a Dio, Hammud, lascia le cose come stanno…»
Mia zia si girò verso di me, affettuosa: «Mia piccola Hissah, figliola, tutte le ragazze sono spaventate, all’idea del matrimonio. Se soltanto mi avessi visto, il giorno in cui ho sposato tuo zio Fahd!»
La risata mi soffocava. La zia continuava a parlare di sé, mentre ridevo fino alle lacrime. Lacrime di gioia, paura, angoscia…
[1] Raccolta di versetti coranici.
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