Recensione di Federica Pistono
Fra le opere di narrativa palestinese pubblicate quest’anno in lingua italiana figura il romanzo autobiografico dello scrittore palestinese Odeh Amarneh, Memoria di un ragazzo di serie B (Calamus, 2023), un testo che presenta la peculiarità di essere scritto dall’autore in lingua italiana.
Già noto ai lettori italiani con la raccolta poetica Animo di viaggio (Billeci, 2021), grazie alla quale ha vinto il Premio internazionale Poetico Letterario assegnato dall’Associazione A.S.A.S. di Messina, l’autore, nato nel 1976 a Y̔a ̔ bad, paese vicino Jenin nel nord della Palestina, vive e lavora a Roma.
L’autobiografia narra le sofferenze, le difficoltà e le ingiustizie subite dal protagonista e dal popolo palestinese nei primi anni Novanta, ai tempi della prima Intifada.
Il romanzo racconta la vita di bambino e ragazzo allegro e sereno dell’autore nel suo paese in Palestina, prima che la sua infanzia fosse spezzata bruscamente dalla prima Intifada del 1987. La rivolta popolare divampa nei territori occupati da Israele vent’anni addietro, estendendosi da Gaza alla Cisgiordania, con scioperi, manifestazioni, scontri con le forze occupanti, azioni di disobbedienza civile. Bambini e ragazzi sono i grandi protagonisti dell’Intifada: divenuti improvvisamente adulti, abbandonano il pallone e prendono le pietre. L’esistenza tranquilla di un tempo è ormai un ricordo: l’esercito israeliano vuole punire i giovani, persino i bambini coinvolti nella lotta, ed effettua nei villaggi e nei quartieri delle città palestinesi continui rastrellamenti, fermi, perquisizioni.
Gli arresti notturni, le grida della madre, le fughe dei fratelli e dei compagni di lotta riecheggiano nelle pagine dell’autobiografia, vivida testimonianza di un protagonista dell’Intifada.
La prima Intifada dura sei lunghi anni, seguita da altre due, quella del 2000 e quella del 2015. Il significato della parola araba è quello di rivolta, sommossa, sollevazione, tentativo del popolo palestinese di liberarsi dall’occupazione militare israeliana in Palestina.
Odeh Amarneh è appena un adolescente quando, con i suoi amici, vive la “rivolta delle pietre” contro i carri armati israeliani. L’esperienza lo conduce in carcere, dove, pur essendo minorenne, sperimenta una durissima prigionia, fatta di stenti e torture inflittegli dagli investigatori per estorcergli i nomi dei compagni di lotta. Una reclusione che si protrae per diversi mesi, un periodo in cui il giovanissimo detenuto è privato anche del nome, sostituito da un numero. Cella di isolamento, cibo scarso, ingiurie, percosse e maltrattamenti perché il ragazzo firmi una confessione. Ma Odeh non firma, non confessa, e finalmente viene rilasciato.
L’autobiografia dello scrittore palestinese è, quindi, anche un testo di adab al-suğūn, quella letteratura di prigionia che costituisce un ricchissimo filone della narrativa araba. L’autore, descrivendo la vita detentiva nelle sue pagine, svela un mondo di violenze e di torture inflitte allo scopo di fiaccare la volontà dei prigionieri, di spezzarne la dignità e il senso di umanità. L’attenzione del lettore è focalizzata sulla brutalità del sistema penitenziario israeliano, che non si fa scrupoli nel perpetrare abusi nei confronti di bambini e ragazzi.
Il futuro scrittore, rinchiuso in una cella minuscola e buia, a volte segregato in un armadio dotato soltanto di una feritoia, abbandona la dimensione della quotidianità, della normalità, per addentrarsi in un’esperienza assolutamente nuova ed estranea a qualunque altra situazione mai sperimentata in precedenza, una “discesa negli inferi”, in cui il ragazzo si ritrova solo, a dover affrontare l’impatto con il carcere, la tortura, l’incertezza del futuro.
Nel narrare le memorie della lotta e della prigionia, la voce dell’autore esprime il dolore di un intero popolo dilaniato, privato dell’identità, della dignità, di un futuro decente.
Eppure, nonostante le esperienze crudeli del carcere e della tortura, comuni a tantissimi palestinesi della sua generazione e di quelle successive, il cuore di Odeh resta quello di un poeta, innamorato del suo Paese e libero di sognare la pace.
Chiunque volesse accostarsi a una testimonianza di prima mano sulle lotte del dimenticato popolo palestinese, dovrebbe leggere questa autobiografia.
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