Millénium blues (estratto) di Faiza Guène 

  Traduzione dal francese di Federica Pistono

                                  18 ANNI* «PORTA

                               DI CLICHY – 11 AGOSTO 2003»

  Una schiera di vecchi ci ha rimesso la pelle quell’estate. Non si era mai vista una cosa simile. Si diceva continuamente che stavamo vivendo un’estate “senza precedenti”. In televisione, su tutti i canali, si diramava la massima allerta. I comunicati del ministero della Salute ci chiedevano di prenderci cura dei “più fragili” fra noi. Dovevamo essere responsabili e idratarli: far bere loro litri d’acqua, immergerli in un bagno tiepido e spruzzarli, sempre e comunque, con i nebulizzatori (che si vendevano a milioni). Era la canicola.

  • Carmen, alza il climatizzatore!»
  • Va a tutta birra!
  • Sei sicura? Fammi vedere!
  • È al massimo, ti ho detto!
  • Lo sai che soffro di asma?
  • Cosa vuoi che me ne freghi? Non sono mica un medico.

  I camion dei pompieri ci sorpassavano regolarmente, filavano a tutta velocità, a sirene spiegate.

  • C’è gente che si sente male.
  • Che cosa ne sai? Magari si tratta di incendi.
  • Sono malori, ti dico, sono i vecchietti che cadono come foglie morte».
  • Che ne pensi? Con tutti i nonni che muoiono in questo momento, cambierà qualcosa nella riforma delle pensioni?

  Gli ospedali traboccavano. In ogni caso, per un motivo o per l’altro sono sempre pieni.

  Quand’ero piccola, dicevo a mio padre che mi sarebbe piaciuto diventare “dottoressa dei bambini”.

E lui, invece di prenderne atto, di dirmi qualche parola di incoraggiamento, del tipo: –  È una bella cosa, rispondeva: – Non sei abbastanza intelligente per quello. Tu, tu dovresti lavorare in una panetteria.

  Aveva idee disgustose. Come se tutti i fornai fossero bestie.

  • Carmen?
  • Cosa?»
  • Sei sicura che quel climatizzatore funzioni?  
  • Come sarebbe? Potresti anche guardare, no?
  • Te lo giuro su mia madre, se mi parli ancora del climatizzatore, tiro il freno a mano e ti faccio scendere  qui.
  • Va bene, come vuoi, come non detto.

Il traffico era bloccato.

  Era il tipo di ingorgo impossibile da prevedere. Pur tenendo conto dell’ora e del traffico abituale in quella zona, nulla avrebbe lasciato presagire una cosa simile. Inoltre, era il mese di agosto.

  • Probabilmente un incidente, si diceva. Carmen tuonava: – Non avrei mai dovuto passare di qua!

  C’era un buon numero di mezzi pesanti sulla strada, ci creavano zone d’ombra: era piacevole.

  Da bambina, sul pullman che ci portava ad Alicante per le vacanze, incollavo la fronte al finestrino e contavo le righe banche sull’autostrada.  Strisce regolari che, a fissarle intensamente, finivano per confondersi e formare un’unica, lunga linea fino al mare.

  D’un tratto, mio padre mi svegliava bruscamente. Aprivo gli occhi sussultando. I padri sono burberi. Potrebbero posarti la mano delicatamente sulla spalla o sulla guancia, sussurrando; invece no, questa è una cosa che fanno le madri.

  Mio padre, per quanto lo riguardava, mi afferrava per il braccio e mi scuoteva. Diceva: – Su, alzati, il bus sta per fermarsi, ti dico! Coraggio, svelta, va’ a pisciare, adesso o mai, poi non si fermerà più.    

  Lui si sgranchiva le gambe.

  Due gambe sottili e talmente lunghe che il busto non si notava neppure. Il resto del corpo non sembrava importante. Le gambe conducevano i vostri occhi direttamente al suo viso, come frecce. Guardandolo, si vedevano subito le gambe e, hop, quel volto scavato, quegli occhi scuri perduti nel cespuglio delle sopracciglia. E poi la mascella serrata, lievemente avanzata, che gli impediva di sorridere. Con la sigaretta in bocca, camminava lentamente, un po’ curvo, guardando a terra, attentamente. Aveva l’aria di un cercatore d’oro.

  Si sgranchiva dunque le gambe e, di tanto in tanto, si stiracchiava in modo ridicolo. Qualche balzo, quindi dei piccoli passi. E ancora, uno, due, tre balzi. Un’ultima cicca, poi risaliva sul pullman. Era sempre il primo a risalire a bordo.

  Non si curava mai di controllare che non mi succedesse nulla in quel tratto di autostrada. A undici o dodici anni, ero bel lontana dall’essere adulta. Non mi domandava neppure se avessi voglia di qualcosa (una rivista, un pacchetto di dolci, per esempio). Era, sempre e comunque, il primo a risalire sul pullman.

  • Meteo France Info, sono le ore 13. Ecco le notizie per domani.
  • Notizie di cosa?
  • Della temperatura.
  • Non diranno niente di nuovo, diranno che fa caldo, tutto qui. Nulla di più. Quaranta, quarantuno o quarantadue gradi, che cosa ci possiamo fare? Farà ancora più caldo della temperatura che annunceranno. Domani, avremo un assaggio dell’inferno.
  • Meteo France Info, ti dico, intende parlare anche degli uragani.

  Pulivo il cruscotto polveroso con la punta dell’indice. L’auto era una SEAT.  Il modello, non riesco a ricordarlo, ma rivedo con estrema chiarezza il portachiavi appeso allo specchietto retrovisore. Una graziosa bambolina che indossava un abito da flamenco. Andava e veniva, oscillando al ritmo delle frenate e delle curve. In realtà, rammento che mi dava l’impressione di danzare. Se il parabrezza di Carmen fosse stato pulito e l’orizzonte limpido, la piccola ballerina avrebbe potuto fendere il cielo. Danzava sulle nuvole.

  Il climatizzatore funzionava male, la piccola ballerina di flamenco volteggiava, mentre la voce preoccupata di quel giornalista diceva: – Da parte di Meteo France la vigilanza sarà massima, giacché la notte scorsa si sono verificati gravi danni, specialmente nel Sud-Ovest…

  E poi quello scooter, un 125 che si infilava nel traffico, procedendo a zigzag fra le auto. È arrivato in un lampo, credo che fosse grigio.   

  Carmen ha semplicemente notato che la corsia di destra si stava muovendo lentamente. Bloccata da un bel po’, ha sterzato istintivamente, senza riflettere.

  Una frenata brusca, quindi l’impatto. C’era sempre la voce di quel giornalista, non più preoccupata ma allegra. Era già passato a un altro argomento. In una frazione di secondo, aveva sfornato un’informazione, quindi un’altra e un’altra ancora.

  Carmen ha spento la radio e ha acceso le luci di emergenza, prima di portare le mani davanti alla bocca. Guardava alla sua destra, tremando come una foglia. Le luci di emergenza. Tic tac tic tac.

  Si è capito subito che la faccenda era grave. È pazzesco quando ci ripenso. È stato immediatamente ovvio.

  Rivedo chiaramente lo scooter accartocciarsi e proiettare un corpo disarticolato qualche metro più in là. Il corpo di una giovane, fragile donna che non si sarebbe alzata mai più. C’erano più di quaranta gradi. Indossava un vestito giallo a pois blu.

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