Recensione Arabia Saudita di Federica Pistono

Con questo romanzo, pubblicato da Atmosphere Libri, l’autore ci offre uno specchio in cui si riflette il Regno wahhabita: si tratta del monologo di un torturatore al servizio di un misterioso Padrone del Palazzo, in una Gedda sfigurata dalla corruzione e dal malaffare, allegoria di un paese svilito dalla sottomissione all’assolutismo. L’opera propone, dunque, una riflessione sui rivolgimenti sociali che hanno interessato l’Arabia Saudita negli ultimi decenni, attraverso una storia ambientata a Gedda, capitale economica e principale porto del Paese sul Mar Rosso.
La vicenda prende le mosse dai cambiamenti materiali che investono la città con l’arrivo della ricchezza portata dal petrolio. Scompare il modo di vivere tradizionale, a partire dalla pesca, per secoli principale fonte di sostentamento degli abitanti, i quartieri cambiano aspetto, sparisce buona parte della spiaggia, inghiottita dal cemento delle costruzioni di lusso, come il Palazzo in cui “lavora” il protagonista. Scompare l’attenzione all’accoglienza dei pellegrini, che ogni anno giungono a Gedda da tutto il mondo islamico per compiere il Pellegrinaggio alla Mecca.
Ma sono soprattutto i mutamenti politici e sociali a interessare l’autore, che solleva il velo dei pregiudizi e dei cliché che oscurano generalmente il nostro sguardo su questo Paese. Il romanzo offre una panoramica sconvolgente di queste trasformazioni, lungo una trama narrativa complessa, intessuta di continui salti temporali tra il presente e il periodo dell’infanzia e della giovinezza dei protagonisti, in un’Arabia Saudita e in una Gedda non ancora sconvolte dalla disuguaglianza sociale legata alla ricchezza prodotta dal petrolio e dalle violenza che questa ha portato con sé: violenza nei confronti dei poveri, ma anche verso le donne.
Il romanzo focalizza l’attenzione su una società che sempre più pratica la segregazione, l’esclusione dei più deboli, su una nazione che appare segnata dall’arbitrio politico e sociale, che si mostra caratterizzata da diverse forme di perversione morale, simbolo della disgregazione del tessuto sociale: perversioni sessuali, stupri, prostituzione forzata, omosessualità imposta, violenza contro la persona, omicidi, alcolismo e droga, speculazioni finanziarie e corruzione.
Uno dei punti di forza del romanzo è l’analisi dedicata alle divisioni interne alla società saudita, in cui gli stranieri presenti sono troppo spesso discriminati. L’abisso sociale che separa i ricchi dai poveri si materializza negli spazi interni della città, che, con i nuovi tempi, vede sorgere una barriera, tanto invisibile quanto invalicabile, tra l’Inferno, il quartiere più misero, e il Paradiso, sede dei ricchi, dove sorge il Palazzo.
Ai poveri, esclusi dai circuiti della redistribuzione del reddito e dell’accesso alla ricchezza, non resta che vivere nell’emarginazione, nella precarietà, nella miseria e nella disperazione. I giovani non hanno accesso al lavoro, sono privi di un futuro e costretti a subire un controllo sociale castrante e inquisitorio. L’unica via di fuga da questa realtà, è rappresentata dalla sottomissione ai potenti e alla rinuncia alla propria dignità e libertà. Questa scelta si risolve, dunque, in una nuova forma di alienazione.
E’ la scelta operata, durante la giovinezza, dal protagonista Tareq, che si lascia abbagliare dalle luci del Palazzo e dalla promessa di facili guadagni e di una vita migliore, e dai suoi due amici Osama e Issa. I tre sono ragazzi di strada, piccoli delinquenti dei bassifondi di Gedda, abitanti del quartiere Inferno, in cui vivono la loro adolescenza e giovinezza tra gli anni Settanta e Ottanta. Tareq, il narratore, viene assunto come stupratore professionista da un aristocratico senza nome, un principe della famiglia reale o, forse, addirittura lo stesso monarca, che regna sullo splendido Palazzo affacciato sul mare. Compito di Tareq è quello di punire i nemici del Padrone con la sodomia. Condannato a rimanere per tutta la vita complice di una corruzione e di una violenza che banalizza e sminuisce tutti i suoi crimini di gioventù, tra i quali lo stupro della fidanzata, per l’intera vita pagherà le conseguenze dell’errore giovanile, scendendo tutti i gradini della degradazione umana, percorrendo una strada costellata di delitti efferati e di contatto quotidiano con l’abiezione, perdendo, poco a poco, la propria umanità, fino alla rivolta e alla voglia di riscatto finale.
Il romanzo è dunque un noir, un affresco impietoso e sconvolgente dei vizi, accuratamente celati sotto un velo di perbenismo e di oscurantismo bigotto, della società saudita.
Importante la comprensione del titolo, in arabo Tarmī bi- sharar, tratto da un versetto coranico che descrive il fuoco dell’Inferno : tarmī bi-shararin kal-qaṣri/ kaʹannahu jimālatun ṣufrun ( Il fuoco “ lancia scintille grandi come palazzi, simili a cammelli gialli”). Il primo sintagma (lancia scintille) costituisce il titolo arabo del romanzo, che il lettore arabo colto identifica immediatamente come un’allusione coranica, e, al tempo stesso, la sua chiave.
L’interpretazione di questo versetto è problematica. L’esegeta coranico Tabari (839-923), menziona due significati possibili per il termine qaṣr (palazzo), in relazione alle scintille infernali. Da un lato il significato di “legna da ardere”, un’accezione beduina poco conosciuta nei contesti cittadini, dall’altro quello di palazzo, castello, torre. Questo secondo significato appare il più probabile, specialmente se legato al versetto successivo, in cui le scintille sono paragonate a cammelli dal pelame giallo, conoscendo la frequenza, nella poesia araba antica, dell’accostamento palazzo/cammello.
L’enigmatico versetto coranico sarebbe allora un paragone che evocherebbe le dimensioni gigantesche delle scintille infernali. L’esegeta medievale indica la propria preferenza per la seconda lettura.
Ma se il senso del termine poteva essere chiaro per i primi seguaci del Profeta, qual è il significato del “Palazzo” per i musulmani contemporanei, e per tutti i lettori, anche occidentali? Il Palazzo che sputa scintille, che nel romanzo è un luogo di torture sul quale regna un Padrone anonimo, sarà subito decodificato dal lettore arabo come una metafora del Regno saudita.
La denuncia della tortura politica non è affatto un tabù nella letteratura saudita, e rappresenta un topos di tutta la narrativa araba contemporanea. Tanto è vero che il romanzo saudita non è mai pubblicato nel Golfo, ma a Beirut o in Europa, anche se circola su internet in formato elettronico, tollerato dalle Autorità, attente a non alienarsi troppo gli intellettuali liberali.
L’immagine dei corpi feriti, mutilati, straziati, costituisce un topos della letteratura araba contemporanea, così come il tema dell’impossibilità di raggiungere la felicità individuale e la problematica dell’arroganza incommensurabile del potere.
La specificità del romanzo risiede nella trattazione allegorica della violenza, della repressione e della frustrazione, scelta che non si spiega semplicemente con il tentativo di aggirare la censura: il Palazzo infernale in cui si dipana la vicenda è parte integrante del potere, la cui corruzione contagia come una malattia il corpo di ogni personaggio, letteralmente confuso con il corpo sociale. I torturatori sono i figli del quartiere povero, non vittime del regime, come nei romanzi di Mahfuz, ma complici. Se la Hara, il quartiere povero è la rappresentazione allegorica dell’Arabia prima della ṭafra (l’abbondanza) del 1973, prima dell’arricchimento e dell’affarismo, i giovani del quartiere povero sono coscientemente manipolati dal Padrone, un aristocratico che simboleggia la famiglia reale wahhabita.
La vicenda dei tre protagonisti, amici dall’infanzia felice all’amara maturità, si dispiega tutta alla luce di questa allegoria.
La prosa di Khal non differisce dalla sua impostazione teorica: emerge un amore per la metafora, che richiede al lettore un continuo sforzo interpretativo. La tecnica narrativa è basata sul flash-back, che compone un variopinto mosaico di scene tratte dai ricordi o vissute nel presente.
Si tratta indubbiamente del libro più duro, impietoso e importante della letteratura saudita degli ultimi anni, un atto di accusa contro la famiglia reale e il governo wahhabita.
L’autore:
Abdo Khal è nato ad al-Mijannah, Arabia Saudita, nel 1962.
Abbandonato il villaggio natale in giovane età, si è laureato in Scienze politiche all’Università King Abdul Aziz di Jedda, avviandosi alla carriera di scrittore e di giornalista (è attualmente editorialista e direttore del quotidiano Ukaz, uno dei più diffusi giornali sauditi). Il suo sesto romanzo, Le scintille dell’Inferno, pubblicato nel 2008, è risultato vincitore dell’Arabic Booker Prize (IPAF) DEL 2010.
TITOLO: Le scintille dell’Inferno
AUTORE: Abdo Khal
TRADUTTORE: Federica Pistono
EDITORE: Atmosphere libri
ANNO: 2016
PAGINE: 342
PREZZO: 18 euro
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