Recensione di Barbara Benini
Il signor N è un uomo sulla settantina dal carattere molto meticoloso e pignolo, trasferitosi a vivere in un albergo, dopo che un enorme grattacielo è sorto davanti al suo elegante palazzo nel quartiere di Achrafiye, a Beirut. Di tutti gli ospiti dell’albergo N è l’unico a consumare i pasti in camera, perché odia la confusione. Ama conversare solo con Zahra – la ragazza che ogni giorno alla stessa ora gli serve i pasti nella stanza – e Andrew, il direttore dell’albergo. Ha confidato solo a loro di essere stato uno scrittore un tempo ed entrambi, da che lo hanno saputo, hanno cercato in ogni modo di spingerlo a riprendere a scrivere, a superare una volta per tutte il suo odio per le parole.
Grazie all’esercizio della scrittura nella mente di N riaffiorano, seppure sparpagliati qua e là, frammenti della sua vita prima di entrare nell’albergo, di quella sua elegante terrazza al quinto piano, circondata dai fiori, il suo angolo di pace ad Achrafiye. Ricorda quella volta che era uscito a piedi spingendosi fino al sobborgo povero di Bourj Hammoud, dove, dopo più di quindici anni, aveva incontrato per caso Luqman, in un internet caffè dove si era seduto per un malore dovuto al caldo. Luqman era uno dei tanti criminali di guerra cui le autorità, in nome della riconciliazione nazionale, avevano permesso di fuggire dal paese. Così N aveva deciso di osservarlo da lontano, per accertarsi che fosse proprio lui, il personaggio che aveva creato nel suo romanzo Ya Salam! ma che sarebbe dovuto essere morto, secondo la trama. N l’aveva ammazzato appena in tempo, prima che fuggisse a Parigi e ora se lo ritrovava davanti.
Il signor N si può definire un romanzo con sfumature del thriller psicologico e per questo si legge tutto d’un fiato, con un finale che lascia letteralmente di stucco, ma non è solo questo il pregio dell’ultima opera di Barakat.
Attraverso le vicende del protagonista e la sua storia, una storia fatta di traumi, malattia mentale e scrittura, conosciamo meglio la società di Beirut, che come ogni grande città ha quartieri ricchi ed eleganti, dove quasi non ci si accorge dei poveri, di quelli che raggiungono Achrafiye ogni giorno per andare a servire chi abita nei palazzi eleganti, e dove durante la Guerra Civile si può far finta di nulla, come la madre di N, e Said, suo fratello. È nelle descrizioni delle periferie di Beirut, liriche a tratti e al contempo agghiaccianti, che il lettore percepisce gli studi cinematografici di Barakat, il suo amore per i dettagli che sembrano quasi ripresi con lo zoom.
N è bambino durante la guerra, ma sua madre non permette che il conflitto varchi la soglia di casa, dove lei vive una vita a parte, la vita dei ricchi dell’alta società, anche se il marito fa il medico volontario in pediatria, con i profughi siriani e palestinesi.
Il dramma dei profughi è un’altra tematica che spinge il lettore e lo stesso protagonista a riflettere sulle loro condizioni di vita nelle grandi città e sul loro status di cittadini di serie b – come in questo non riconoscere gli echi di quanto accade nella Vecchia Europa.
Quando il padre di N assiste a una strage, la moglie non se ne cura, come non si cura del suo suicidio, solo le apparenze e il nuovo status in società di “vedova di” contano per lei.
Parallela alla Guerra Civile, ce n’è un’altra, quella personale condotta da N contro se stesso e la sua natura, perché avrebbe tanto voluto essere apprezzato da quella madre che non lo vede ma preferisce a lui il fratello Said. Un’infanzia infelice e solitaria la sua, con un padre succube e assente. Ora che N è vecchio, con una forma tutta personale di masochismo, gironzola per le baraccopoli di Beirut per farsi picchiare dai poveri, per offrire loro l’opportunità di sfogarsi su di lui, un privilegiato, per tutto ciò che subiscono, hanno subito e subiranno nella loro vita, mentre lui grazie alle loro botte espia la colpa di non essere perfetto come sua madre avrebbe voluto, forte e bello come suo fratello Said.
Per ironia della sorte, è tra i poveri e i diseredati che N si sente finalmente amato e apprezzato, grazie a una ragazza nepalese, un’immigrata di quelle che i libanesi ricchi vorrebbero tornassero al loro paese, un’ennesima eco di ciò che accade anche qui in Europa e che forse Barakat stessa ha avuto modo di osservare a Parigi. Un’eco dell’atmosfera di certe periferie italiane.
Se la vicenda di N costituisce uno dei due fili conduttori del romanzo, ce n’è anche un altro nella storia, non meno importante, ed è la scrittura. Il ruolo della scrittura e dello scrittore, di come N grazie a essa riesca pian piano a riacquisire un contatto con il suo vissuto, la sua realtà familiare e la realtà tout court di Beirut.
Scrivendo, N si riappropria della sua vita, dei ricordi mescolati che pian piano ritrovano la loro collocazione temporale. E l’immaginazione poetica di N e la sua malattia permettono alla narrazione di scivolare senza soluzione di continuità dal grave al lieve nell’arco di una frase e poi di nuovo indietro, come quando assistendo al suicidio di Maryam, una delle ospiti dell’albergo, N viene distratto da una zanzara. Ma è veramente N ad aver vissuto tutte queste vicende? O forse la realtà si sta mescolando con la fantasia di un abile scrittore?
Barakat ne Il signor N sembra voler dire che realtà e fantasia ormai sono inseparabili e indistinguibili, questo Luqman protagonista di Ya salam! è in giro per la città insieme a tanti altri cosiddetti eroi di guerra, ex-miliziani che se ne stanno tranquilli a fare la loro vita come nulla fosse, in virtù della riconciliazione nazionale.
Ne Il signor N Barakat sembra voler riflettere sul ruolo dello scrittore, disgraziato aedo della contemporaneità, costretto a raccontare la crudezza della realtà che lo circonda, senza perdere il senno e bisogna ammettere che nel suo romanzo ricco di colpi di scena, tra umorismo e dramma il lettore non può che rincorrere gli eventi fino all’inaspettato finale ad effetto, tipico di una grande scrittrice quale Barakat è.
Najwa Barakat è una scrittrice libanese nata a Beirut nel 1966, dove ha studiato teatro alla Lebanese University. Trasferitasi a Parigi nel 1985, dove attualmente risiede, ha completato gli studi di cinematografia e ora lavora come giornalista freelance per diverse testate e riviste arabe, oltre a collaborare con RFI e la BBC. Barakat ha ricevuto numerosi premi tra i quali: il Primo Premio Amateur Theatre Festival di Amiens per la trasposizione teatrale del suo romanzo La locataire du Pot de fer nel 1987 e il Premio per la migliore opera narrativa libanese dal Lebanese Cultural Forum nel 1996. Dal 2009 dirige a Beirut il Mohtaraf how to write a novel – for literature, theater and cinema, un workshop permanente di scrittura creativa, grazie al quale si sono formati molti nuovi scrittori di successo, quali Rasha Atrash, Hilal Chouman e Rana Najjar.
Ha pubblicato sei romanzi in arabo e uno in francese (La locataire du Pot de fer). In italiano sono stati pubblicati Ya salam! (Epoché 2007, trad. Lo Surdo) e L’inquilina (Epoché 2009, trad. Amaducci). Il 26 aprile 2022 è stata ospite all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove ha tenuto una conferenza dal titolo “Il romanziere arabo e la crudeltà della realtà”[2].
[1] Mistir Nun, Dar el-Adab, luglio 2019.
[2] https://www.unive.it/data/agenda/1/60352
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