Una mappa, un ulivo e due abiti, i simboli della Palestina alla Biennale di Venezia 2022

Articolo di Antonino d’Esposito

Il 26 novembre scorso From Palestine with art, la prima mostra d’arte palestinese ad essere ospitata alla Biennale di Venezia, con una cerimonia tenutasi a Palazzo Mora, ha celebrato la chiusura di questa intensa edizione che ha visto come assoluto promotore dell’iniziativa Faisal Saleh, fondatore del Palestine Museum US. Ascoltiamo dunque le parole raccolte da Rania Hammad, del direttore del museo che, ancora una volta, si è lasciato intervistare per Rive Arabe:

«La missione del Palestine Museum è quella di celebrare le eccellenze artistiche palestinesi e di raccontare la storia palestinese ad un pubblico sempre più ampio. A nostro avviso, l’arte è lo strumento che meglio riesce a raggiungere il cuore della gente. Partecipare dunque alla Biennale era un modo per fare uscire da certi confini la narrativa palestinese ed aprirla al mondo. La Biennale di Venezia è il top mondiale delle mostre d’arte e rappresentava quindi un veicolo importantissimo di diffusione. La procedura di selezione non è stata semplice, il sistema è molto rigoroso. Abbiamo dovuto mettere insieme parecchie informazioni e creare uno spazio espositivo valido. In dicembre scorso, dopo svariati mesi d’attesa, la notizia della nostra accettazione è arrivata ed è stato bellissimo. Era una grande opportunità per mostrare l’arte palestinese al mondo, avevamo selezionato diciannove artisti in modo da rappresentare tutte le sfaccettature della nostra arte. Tutti dovevano trovarvi spazio, uomini e donne, artisti emergenti ed affermati come Nabil Anani e Samia Halaby; in particolare, per i giovani artisti questo sarebbe stato un momento fondamentale per dare una svolta alle loro carriere.

Nell’ottica di voler spiegare la storia palestinese, abbiamo usato degli oggetti-simbolo nello spazio espositivo: una mappa della Palestina del 1877, “dal fiume al mare”, che dunque non indicava nessuna presenza israeliana, né nessuna colonia (trattandosi di un documento storico del XIX secolo), ma solo villaggi e le città che molte persone hanno usato per individuare i propri luoghi d’origine; abbiamo incluso un piccolo alberello d’ulivo vero, uno dei simboli imprescindibili della Palestina, ai cui rami sono state appese delle chiavi delle case lasciate dai profughi nel 1948, per enfatizzare il concetto del diritto al ritorno degli sfollati; infine, abbiamo esposto anche due abiti tradizionali originali, con tutti gli accessori, prestatici dalla massima esperta di ricamo palestinese al mondo, Hanan Munayyer, autrice del testo Traditional Palestinian Costume. Accanto a tutto questo, naturalmente, avevamo una varietà di dipinti, sculture, fotografie, alcuni dei quali rappresentano scene di vita palestinese nei campi profughi in Giordania o Libano. Tutto per mostrare quanto la Palestina, e la sua arte e la sua cultura, siano vive.

La Biennale, con i suoi sette mesi di esposizioni, il numero esorbitante di espositori e di visitatori, è stato un momento d’ispirazione per tutti noi e un’esperienza forte per i Palestinesi. In quanto nazione non riconosciuta, la Palestina non ha potuto partecipare come “stato”, ma lo ha fatto nella categoria degli eventi collaterali in cui istituzioni come la nostra, il Palestine Museum US, possono prendere parte come una nazione a tutti gli effetti.

Abbiamo avuto più di 100.000 visitatori per la mostra esposizione al Palazzo Mora che, in questi mesi, ha ospitato stabilmente otto mostre contemporaneamente. Questo risultato ci lascia estremamente felici e ci dà la consapevolezza di aver raggiunto un traguardo fondamentale perché per la prima volta un’istituzione palestinese è stata riconosciuta dalla Biennale e vi ha preso parte, anche se in passato singoli artisti, o gruppi di artisti, palestinesi erano stati accolti in eventi individuali.

Nel titolo che abbiamo scelto per questa esposizione, From Palestine with art, la preposizione from voleva essere il segno di una presenza geografica, perché esiste un posto chiamato Palestina dal quale si viene, a place we come from. Nonostante tutti gli sforzi che Israele fa per sradicare la nostra gente e la nostra cultura, questa mostra dimostra l’esatto contrario.

Tutto lo sforzo economico profuso per fare di questo sogno realtà non è nulla in confronto all’importanza che questa vetrina ha per tutto il popolo palestinese. Ora abbiamo intenzione di portare queste opere in altre città italiane; saremo a Roma nel 2023, ma non dico di più!»

La cerimonia di chiusura della mostra From Palestine with art a Palazzo Mora non ha dimenticato di dare spazio anche a un’atra forma d’arte non presente in maniera stabile all’esposizione: la musica. Il violino del giovanissimo Gandhi Saad ha accompagnato la lettura di alcune poesie di poeti palestinesi, e, infine, con la voce del mezzosoprano Dima Bakri, le note dell’inno nazionale palestinese, Mawtini, sono risonate per le immortali calli della laguna veneziana.

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: