Recensione di Federica Pistono

“Non voglio la pietà di chi si convinca, da quanto sto per dire, che sia stato impiccato un innocente. Parlo senza scopo alcuno. Ed è una verità che nulla ha a che fare con la giustizia. Tutta la questione era, prima ancora che la magistratura la esaminasse, e dopo che ebbe emesso la sua sentenza, fuori dalla mia portata e dalla mia logica, perciò mi sono imposto di tacere, sempre, come sapete”.
Fra le opere di Ghassan Kanafani tradotte in italiano, un posto particolare spetta al romanzo L’altra cosa Layla (Chi ha ucciso Layla al-Hayk?), pubblicato nel 2011 da Cicorivolta Edizioni.
In un imprecisato paese mediorientale, negli anni Sessanta, un avvocato è accusato dell’omicidio di una donna. Durante il processo, si chiude in un inspiegabile silenzio, rifiutando di difendersi. Riconosciuto colpevole del delitto, viene condannato alla pena capitale. Prima dell’esecuzione, scrive alla moglie un memoriale in cui racconta la sua verità sull’accaduto.
Il romanzo si presenta, in apparenza, come un giallo: una novità per Kanafani, che non ha mai trattato il genere poliziesco nella sua produzione letteraria precedente né in quella successiva.
L’Autore si serve del protagonista per avvolgere in un alone di mistero una storia che, in realtà, presenta contenuti e riferimenti di carattere psicologico e filosofico. Non si tratta, infatti, del solito romanzo giallo che termini con la scoperta del colpevole e il trionfo della giustizia, né di una vicenda che si limiti a esplorare il fenomeno del crimine. Kanafani prende spunto da un delitto oscuro, torbido, per toccare i temi fondamentali della vita: l’amore, il matrimonio, la giustizia, la lealtà, il tradimento, presentati dal particolare punto di vista dell’imputato-vittima.
L’opera consiste, quindi, in un tentativo di analisi delle problematiche esistenziali, alla luce dell’incapacità umana di scoprire la verità e dell’umana impotenza di fronte alla casualità e alle circostanze avverse: l’imputato-vittima non cerca neppure di difendersi, consapevole dell’inutilità di tale tentativo.
Il testo si distacca, pertanto, dalla classica produzione letteraria di Kanafani, allontanandosi dalla questione palestinese, sfondo della maggior parte delle altre opere, per affrontare le tematiche del crimine, del sesso, della paura e della morte.
Il finale lascia il lettore interdetto: questo è, infatti, un giallo che non rispetta le regole proprie del romanzo poliziesco, presentandosi come un libro di riflessioni e pensieri piuttosto che come una sequenza di meri fatti, ricollegandosi sottilmente a un certo aspetto della letteratura di Kanafani, quello volto a indagare l’angoscia, il disagio, l’impotenza dell’uomo di fronte al caso, alla percezione di un destino tanto atroce quanto ineluttabile.
Salih, protagonista e voce narrante della storia, appare come un personaggio affascinante e complesso. All’inizio della vicenda, si presenta come un individuo fortunato e brillante, in grado di condurre con successo la propria esistenza. Ma un gorgo oscuro sembra travolgerlo quando incontra Layla, per inghiottirlo definitivamente dopo la morte di lei.
Salih è innocente e solo il caso, ossia “l’altra cosa”, l’ha condannato a morte fin dal principio. L’altra cosa, cioè il destino, la sorte, è un avversario spaventoso e terribile, che spunta le armi in mano a chiunque tenti di combatterlo. Per questo, Salih non può che scegliere il silenzio.
La stessa atmosfera tragica incombe anche su Layla, la protagonista femminile, personaggio che incarna la seduzione, la fatalità, il destino che ti attende al varco all’improvviso. Donna “fatale” che segna la sorte di Salih, è travolta dallo stesso vortice tenebroso che porta alla rovina di lui. A nulla le valgono la bellezza, il fascino, la ricchezza: anche per lei, l’incontro con Salih segna l’inizio della fine.
Quello di Layla e Salih è un incontro tragico, fatale, un drammatico incrocio di destini che condanna a morte i due protagonisti, senza alcuna possibilità di salvezza.
Il ruolo del caso nell’intreccio rievoca la concezione della vita di Kanafani, riscontrabile in modo evidente anche in altre opere dell’Autore, che considera l’uomo, per quanto forte e intelligente, in balia degli eventi, che possono annientarlo in qualunque momento. Si pensi, per esempio, ai tre protagonisti del romanzo Uomini sotto il sole, che muoiono in modo atroce per il concatenarsi di una serie infernale di circostanze, o ai protagonisti palestinesi di Ritorno a Haifa, che perdono il figlio per una maledetta casualità.
Diversamente da altre opere, in questa l’ambientazione del romanzo non è palestinese, ma neutra: l’azione si svolge, con ogni probabilità, a Beirut, come possiamo dedurre dagli scarni riferimenti al mare e ai grattacieli, ma potrebbe verificarsi ovunque, perfino in una metropoli europea o americana.
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