Recensione di Antonino d’Esposito
“Di colpo, poco prima di mezzanotte, dalla torre più alta del castello risuonò il grido della guardia che annunciava l’avvicinarsi delle torce della truppa di Hamadhan. Al-Muzdawaj indossò di corsa la giubba e la corazza militare, si avvolse il turbante sulla testa che faceva apparire il suo fisico ancor più voluminoso di quando già non lo fosse, e uscì verso la corte anteriore preparandosi ad accogliere i nuovi venuti.
[…] Tutti arrivarono su stalloni, tranne il detenuti, Avicenna, che montava una mula decrepita schiacciata dal suo peso e dalla bisaccia che portava sul di dietro. Lui aveva il turbante sciolto, il capo scoperto, l’animo affranto, lo sguardo spento, e si vergognava del proprio aspetto e delle catene rugginose che gli imprigionavano mani e piedi.”
Dottore di ricerca in filosofia islamica, direttore del centro manoscritti e del museo afferente alla Biblioteca di Alessandria d’Egitto, Youssef Ziedan nel suo romanzo storico Nel castello di Fardaqan fa confluire tutte le sue conoscenze e le sue competenze da studioso, fine ed erudito, per mettere in scena un particolare momento della vita di Avicenna, per gli arabi Ibn Sina, filosofo, matematico, ma soprattutto padre della scienza medica in seno al mondo arabo-musulmano di origini persiane.
Nel nord più brullo immaginabile della Persia, allora costantemente minacciata da nord dalle popolazioni turcofone, già convertite all’Islam, il Grande Maestro viene imprigionato in questa antica fortezza militare, Fardaqan appunto, senza che a lui ne sia ben chiaro il motivo. Al-Muzdawaj, colosso che regge la fortezza-prigione, intimorito dal prestigio del prigioniero, che tratterà da ospite, permette ad Avicenna, durante il soggiorno, di curare, scrivere e incontrare chi voglia.
In questa sorta di prigionia dorata, in cui costantemente incombe la minaccia dell’invasione straniera, il clima di instabilità politica, causa dell’arresto, porta al medico-filosofo un insperato istante di tranquillità. Seguendo le pagine della narrazione, che, forse, troppo spesso si appesantiscono in lungaggini storiche le quali danno a volte un colpo mortale alla scorrevolezza, di Avicenna viene fuori l’aspetto umano, piuttosto che quello dell’eminente studioso. Certamente lo zelo scientifico e il rigore dello studioso sono sempre sotto gli occhi del lettore che osserva il divenire del pensiero del filosofo; tuttavia, sono le sue passioni umane che giocano il ruolo di protagonista. Passioni che ruotano tutte intorno alle figure femminili che hanno segnato la vita amorosa di Ibn Sina: Sundus, la vedova che per prima lo ha iniziato all’ars amandi per poi spezzargli il cuore, Rawan, la schiava che diventa la principessa del filosofo, ed infine Mahtab, colta più di un uomo, aspirante medico, che, durante la prigionia, sarà per il detenuto motivo di risveglio sensuale.
In un’Asia centrale, di cui troppo spesso si ignora il fulgido medioevo, le cui città, come Bukhara e Samarcanda ancora oggi suscitano in noi risvegli orientalistici, questo romanzo ha il merito di avvicinare il pubblico italiano a una delle figure fondamentali della filosofia islamica, così poco nota in Occidente.
Titolo: Nel castello di Fardaqan
Autore: Youssef Ziedan
Traduttrice: Daniele Mascitelli
Casa editrice: Neri Pozza
Genere: Romanzo
Pagine: 285
Anno di pubblicazione: 2020
Prezzo: € 18,00
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