La scatola dei libri di Mohamed Khalfouf

Traduzione di Antonino d’Esposito

“È questo il bello dei libri: ti permettono di viaggiare senza muovere un passo”

Jhumpa Lahiri

Il mio unico svago sono i libri. Spendo metà della mia borsa di studio per l’università, che ho ottenuto dopo una lunga lista d’attesa, per comprare libri. Sono rimasti il vero motivo per continuare a vivere, per camminare in questa città che sta per morire.

Ho sceso i gradini del mercatino dei libri usati (il mercatino è fatto di negozietti in metallo, ricoperti di lamiera). Ne ho sfogliati alcuni meccanicamente, poi, sono entrato nella bottega che sta più o meno verso la fine del mercato, dopo una lieve svolta a sinistra. Ho chiesto:

“Ci sono libri nuovi?”

“Stamattina ne è arrivato un cartone, puoi trovarli all’interno.”

Negli angoli del negozio c’erano libri impilati uno sull’altro fino al soffitto; l’unica apertura per l’aria e la luce era l’angusta porta d’ingresso. Quel posto era pieno solo dell’odore dei libri. Ne scelsi una ventina introvabili nelle biblioteche, delle vecchie edizioni, la più vecchia era degli anni ’70, un vero bottino. Dopo un rapido conto sulla calcolatrice del giovane venditore, ho speso la metà dei soldi che avevo.

“Sono pesanti, vorrei qualcosa per metterceli dentro.”

“Cerco una busta di plastica.”

“No, scusami. Le buste di plastica si rompono subito.”

La scatola di cartone era piccola, ma li conteneva tutti. Sul tavolo del commerciante ho visto un’edizione sgangherata di un romanzo di Kundera. L’ho comprata e mi sono messo in cammino verso casa, portando la scatola sotto al sole.

Stampato sulla scatola, di colore rosso, con l’immagine del bambino che strizza l’occhio destro, il logo della fabbrica di biscotti Chocolate Crunchy Biscuits sembrava una prova inconfutabile della sua presenza qui nella stanza, accanto alla scrivania, piena quasi fino all’orlo di libri. Li ho letti all’incirca tutti.

***

All’inizio erano soltanto libri da leggere, ma, col passare del tempo, hanno perso questa eterna funzione per diventare altro. Ogni volta che ne aprivo uno e iniziavo a leggerlo, ci entravo dentro; ed entrare non è un’immagine metaforica, ma un entrare in ogni senso della parola, in cui divento un tutt’uno col libro con l’intero mio corpo, la mia essenza, il mio sentire. Mi ci muovo dentro in tutta comodità. Ogni libro, proprio come i sogni, ha i propri mondi.

Christine poggiò il caffè sul tavolino basso, tirò le tende perché il sole illuminasse tutta la stanza e si sedé al mio fianco. Chiesi:

“Viaggi molto, vero?”

“Esatto. Ho visitato circa quindici paesi.”

(Il cellulare di Christine è pieno di sue foto in diverse nazioni del mondo, che percorre e scopre).

“Come lo fai? Voglio dire, in che modo?”

“Prendo aerei, navi, battelli… i soliti mezzi.”

“Non hai mai preso un libro?”

“In senso figurato.”

“Non intendevo in senso figurato, ma un viaggio vero, come uno in piroscafo o aereo, ma con un libro o dentro un libro.”

Presi un libro dalla mia borsa e le chiesi di leggerlo per esserne sicura. Lei lo aprì, si concentrò sulle righe scritte e cominciò a leggere. Spalancò gli occhi al massimo e ritornò piena di meraviglia.

“È vero… è come Alice nel paese delle meraviglie!”

“Non te lo avevo detto?”

Ho sempre sognato di tenere la mano di Christine, girando il mondo palmo a palmo. Quella notte, io e lei dormimmo mano nella mano e attraversammo il mondo.

Così quei libri sono diventati portali verso mondi diversi. Li aprivamo e subito vi entravamo, ci veniva concessa assoluta libertà di movimento ed espressione. Da un paese all’altro, da una cultura all’altra. Divorati i venti libri della scatola, facemmo l’esperimento con altri libri; con alcuni la cosa ebbe buon esito, con altri portò quasi a grandi disastri. Ci capitò per caso di scoprire che anche la scatola era un portale verso mondi diversi. Dispiegammo le ali del cartone, lo svuotammo dei libri… misi la mia mano in quella di Christine e mi sentii un po’ sollevato. Tirammo un respiro profondo ed entrammo nella scatola… fu così che aprire e chiudere lo scatolo divenne un’occupazione quotidiana e, quando Christine non era nell’appartamento, le mie escursioni in solitaria assumevano un carattere particolare.

Christine mi aveva raccontato che il suo primo viaggio lo aveva fatto a sette anni, alla Laguna Blu nei pressi di Reykjavik, una specie di caldo hammam curativo, immerso in una fitta nebbia. Io, invece, non avevo viaggiato molto. La maggior parte dei miei spostamenti erano stati dettati dalla necessità e non corrispondevano alle mie esigenze spirituali. Quel piccolo corpo in cartone (130x30x190) riusciva ad attirarci verso di lui come metalli arrugginiti. Christine sembrava spaventata da questa cosa che aveva preso le sembianze di una dipendenza o di pazzia.

Fuori, il mondo non era importante. Christine aveva una vita che poteva vivere con tutta la forza; quanto a me, niente mi portava verso l’esterno. Ogni volta che facevo un passo in avanti, mi rendevo conto della mia fragilità e mi ritraevo. Anche i testi che scrivevo non erano in grado di contenere tutto quel peso dentro di me. Quello che pubblicavano non superava i quaranta like. Come può un uomo diventare scrittore con quaranta like? (Christine trova che le poesie che scrive in islandese siano incomplete). Così, ho dato fuoco ai miei racconti nella vasca da bagno, ho versato acqua sulle ceneri e aperto la finestra per far uscire il fumo. Ho spento il cellulare una volta per tutte, l’ho messo nel cassetto della scrivania e ho tirato le tende, di modo che, dall’esterno della casa, sembrasse che fossi partito per un viaggio senza ritorno. Non credevo che qualcuno avrebbe notato la mia assenza alle lezioni all’università.

Dormiamo tutto il giorno o ci immergiamo in avventure attraverso la scatola. Di notte spalanco la finestra sulla sua immensità, dove l’oscurità è la sovrana del momento. Conosco bene il mondo nell’ora del buio; usciamo per gite notturne per le strade deserte. Christine ama camminare sotto la pioggia; a me, invece, la pioggia fa sentire impaurito e insicuro. Nella scatola il tempo non è importante e il nostro è un tempo speciale, un tempo nel palmo della mano, in cui tutti è possibile e si mescola. Io sono Christine e Christine è me.

Anche i sogni erano diventati mere immagini statiche e suoni distorti.

Tutto il mondo era nella scatola. Un grande specchio in cui ci vedevamo.

***

Sono rimasto sveglio a fissare le lancette dell’orologio appeso al muro, immaginandole girare, a volte in avanti, a volte indietro, nonostante fossi consapevole che erano ferme. Christine era accanto a me, sul letto, addormentata; il suo respiro mi sommergeva come l’aria di un ventaglio cinese. Balzai giù dal letto perché avvertivo che c’era qualcosa di strano nella stanza, strano e invisibile.

Mi resi conto che la mia vita doveva finire in quel preciso istante, con Christine immersa nel sonno. Tutto era già crollato, e tutto il resto sarebbe crollato presto. Aprii la scatola, era troppo piccola perché ci entrassi, ma ci sono entrato e il rumore del mondo, lentamente, ha preso a svanire.

La scatola dei libri ha vinto il premio per il racconto per ragazzi, organizzato a Fez da “Letteratura Nomade”, dal titolo “Da una cultura all’altra”.

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