Dormire in un campo di ciliegi di Azher Jirjees

  Recensione di Federica Pistono

Azher Jerjis (Azhar Ğirğīs) è uno scrittore iracheno e un membro della società internazionale di scrittori PEN. Nato a Baghdad nel 1973, ha lavorato come giornalista in Iraq, pubblicando numerosi articoli su giornali e periodici arabi.  Nel 2005, ha scritto un libro sulle milizie jihadiste, intitolato Terrorismo… l’inferno sulla terra.

 Dopo la pubblicazione dell’opera, ha subito un attentato che l’ha costretto a lasciare il suo Paese. Si è trasferito in Siria, poi in Marocco, infine in Norvegia, dove attualmente vive, lavorando come interprete e traduttore. Dopo alcune raccolte di racconti, il suo romanzo, Dormire in un campo di ciliegi, è stato selezionato per il prestigioso Booker arabo nel 2020.

  DORMIRE IN UN CAMPO DI CILIEGI, 2019

  Il romanzo racconta la storia di Said, un giovane immigrato iracheno che lavora come postino a Oslo. Fuggito dall’Iraq, Said è ossessionato dal fantasma del padre, un dissidente morto in carcere prima della sua nascita, la cui sorte è sempre rimasta incerta: forse è morto sotto tortura, forse è stato dato, ancora vivo, in pasto ai cani, forse è stato gettato nel Tigri o sepolto in un cimitero… Il passato, risalente al periodo della dittatura di Saddam Hussein, continua a tormentare il protagonista anche in esilio.

  Giunto in Norvegia dopo l’invasione americana dell’Iraq, Said si è innamorato, ricambiato, di una giovane donna, Tuna Janssen, che insegnava la lingua norvegese agli stranieri immigrati. Tuna l’ha aiutato a sviluppare le sue abilità linguistiche e realizzare il suo sogno di scrivere storie. Il giovane è riuscito, così, persino a pubblicare qualche racconto su un giornale norvegese. Tuttavia, Tuna è morta all’improvviso, stroncata da un tumore, e la sua perdita è, per il protagonista, un colpo traumatico e terribile. Benché affranto dal dolore, Said continua a scrivere, isolato, incontrando solo il suo vicino, Jacob Jondal, un vecchio signore norvegese che, sentendosi vicino alla fine, sogna di essere sotterrato in un campo di ciliegi. Nei suoi ultimi giorni di vita, Jacob chiede a Said di seppellirlo nel campo di ciliegi, poiché crede fermamente che, così facendo, diventerà un ciliegio, secondo una vecchia leggenda che racconta come, dopo la morte, le persone si trasformino in qualcosa di attinente al luogo della sepoltura. Secondo tale leggenda, chi fosse seppellito su una montagna, diventerebbe una roccia, chi nel deserto, un granello di sabbia, e così via. Dopo la morte del suo gentile vicino e amico, Said diventa ancor più solitario, isolandosi totalmente dal mondo esterno. Un giorno, però, riceve una lettera da Baghdad, che lo richiama in patria con urgenza. L’autrice della lettera, una giornalista irachena, lo informa infatti che i resti di suo padre sono stati ritrovati in una fossa comune. Said decide quindi di tornare in Iraq per seppellire il padre. Arrivato a Baghdad, però, viene rapito da una milizia religiosa armata, imprigionato in una cantina buia nel cimitero di Wadi al-Salem, vicino Najaf, e infine condannato a morte. Le sue avventure continuano con alcuni colpi di scena sorprendenti e un riuscito finale a sorpresa.

  È evidente come lo spettro del padre, con il suo corpo spezzato, mutilato e sanguinante, sia metafora dell’Iraq, anch’esso lacerato, dilaniato e sconvolto da un susseguirsi incessante di catastrofi: la dittatura di Saddam Hussein, la guerra Iran-Iraq, le due guerre del Golfo, il caos e la devastazione del dopoguerra. Come cerca di dimenticare il padre, torturato e presumibilmente ucciso in prigione prima della sua nascita, così Said cerca di dimenticare l’Iraq, nella sua nuova vita norvegese. Ma il passato non si lascia rinchiudere nelle pieghe della memoria, torna sotto forma di un incubo a occhi aperti, e l’ombra del padre appare al protagonista nei luoghi più disparati, ogni volta con ferite spaventose e sempre diverse, per domandare al figlio: “Dov’è la mia tomba?”

  Le immagini dei prigionieri politici seviziati e assassinati in carcere, dei loro cadaveri insepolti o sotterrati di nascosto senza darne notizia ai familiari, si mescolano a quelle dei caduti nelle guerre, delle fosse comuni in cui le salme giacciono smembrate e scomposte, delle vittime del terrorismo e del fanatismo religioso. Sono queste le visioni che ossessionano il giovane protagonista e, attraverso di lui, il lettore. La tragedia dell’Iraq e del suo popolo, disperso ai quattro angoli del globo ma inseguito ovunque da paurosi fantasmi che non si lasciano dimenticare, rappresenta la tematica portante del romanzo. Tant’è vero che il protagonista decide di lasciare la sua tranquilla, anche se triste, vita norvegese per tornare nell’inferno in cui si è trasformato il suo paese e affrontare quei fantasmi, una volta per tutte.

  A questa tematica centrale se ne intrecciano altre, non secondarie: la problematica dell’esilio, la nostalgia della patria, l’integrazione in un mondo nuovo, la condizione degli immigrati arabi nel Paesi scandinavi.

  Ma la vita in Norvegia, con tutti le sue incognite, viene ben presto accantonata e alla ribalta torna la condizione dell’Iraq, divenuto, all’indomani dell’invasione a guida americana, terreno dall’azione delle milizie jihadiste.

  Tra le righe può leggersi un sottile ma continuo confronto tra l’esistenza tranquilla che si conduce in Europa, avvolta nel benessere e nella sicurezza, e quella infernale che ancora si vive in Iraq.

  Le scene di violenza, come pure il linguaggio crudamente realistico utilizzato nel descriverle, costituiscono un tratto distintivo di molte opere di narrativa irachena contemporanea, di cui tanta parte occupano le immagini brutali di guerra e morte, rappresentate in un’atmosfera dai toni macabri e orridi.  

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