USCITE DAL MONDO

Articolo di Franco Ferioli

COMUNICATO/APPELLO/INVITO

Moni Ovadia ha lanciato un allarme sulla gravità di un problema enorme.

Va innanzitutto ringraziato.

Lo ha indubbiamente lanciato a modo suo, da artista impegnato quale è ed è sempre stato, e lo ha lanciato in qualità di Direttore della Fondazione Teatro Comunale di Ferrara.

Sì è espresso con estrema facilità di comprensione da parte di qualsiasi persona, da parte di ogni individuo o da parte di ogni altra libera testa pensante alla quale potesse essere rivolto in città, come altrove ed ovunque, nel mondo.

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La più triste delle conferme sulla reale, enorme, gravità del problema, è pervenuta dal fatto che ad incolparlo per avere fatto questo, vale a dire che ad accusarlo pubblicamente per essersi espresso e comportato in questo modo… è stato il Presidente della Fondazione Ferrara Arte, suo grande amico ed estimatore, Vittorio Sgarbi.

Colui che, al contrario di Banksy, (tanto per intenderci), lo ha portato per davvero Moni Ovadia, in città, come interlocutore artistico e culturale ben accolto, trattato e remunerato.

In precedenza vi è anche stato chi, come il senatore Alberto Balboni, ha espresso un sentimento di vergogna per aver accolto Moni Ovadia al vertice dell’istituzione più prestigiosa della città.

Scopo di questo comunicato/appello è di porre un primo spunto di riflessione su una discussione inesistente, ma di cui si ha davvero un disperato ed urgentissimo bisogno.

Quella che riguarda il destino di milioni di individui inseriti nel contesto geopolitico Mediterraneo della Striscia di Gaza, Territori della Autonomia Nazionale Palestinese, a sua volta inserita nel contesto Mediorientale inerente lo Stato di Israele, cioè laddove si sta consumando una crisi umanitaria generalizzata di estrema, massima gravità.

La discussione è impossibile mantenerla viva ed è per questo che non esiste: se solo si tenta di avviarla centrandola anche solo su uno degli infiniti aspetti della “Questione Israelo-Palestinese” ecco che viene regolarmente e inevitabilmente chiusa sul nascere, in qualsiasi contesto.

Perché?

Perchè essere antisionisti, cioè criticare una ideologia, viene visto e trattato come antisemitismo, cioè come avversione, ostilità e persecuzione razziale e religiosa contro gli appartenenti al Popolo Ebraico?

Perché oggi l’accusa di essere un o una antisionista ti può mandare in carcere?

Perché chi si oppone alle idee del sionismo, viene immediatamente additato e zittito?

Questo è uno dei principali temi su cui bisognerebbe iniziare a riflettere, poiché risulta ormai chiarissimo a tutti che il Governo dello Stato Israeliano, applicando fino in fondo la sua ideologia di matrice sionista, non si fermerà finchè l’ultimo/a palestinese che vive in Palestina non sarà o espulso/a o ucciso/a.

L’invito, rivolto a tutti, è di aderire a questa chiamata per continuare la discussione con la speranza di portarla a compimento in maniera libera e partecipativa, non curanti di fastidiose interferenze che appartengono a sistemi di potere duramente provati e fortemente compromessi e che purtroppo di veritiero e di utile non hanno nulla, e ben poco da offrire allo sviluppo della società civile e all’affermazione della cultura universale della pace.

Essere a favore della pace contro la guerra è una necessità morale per quello che sempre comporta per gli indifesi, per i civili, per i non combattenti.

Che triste certezza ammettere e constatare che le maggiori vittime di ogni guerra non sono i soldati, i combattenti e gli eserciti militari, ma le popolazioni civili, i più deboli, gli indifesi, le donne, le mamme, i vecchi, i bambini e le bambine che la subiscono ingiustamente senza comprenderne le ragioni e capire il perchè…

Ovunque, nel mondo, si tratta di una angosciante montagna russa emotiva, per coloro che hanno a cuore la condizione e il destino di entrambi i popoli. 

Per chi poi vive in Occidente, nell’affrontare le conseguenze della guerra appena esplosa nel contesto israelo-palestinese “contro Hamas”, si è aggiunta l’aggravante di vedere i leader nazionali e locali mettere da parte ogni pretesa di imparzialità.

Il giro di giostra, su questa angosciante roller-coaster emozionale, prevede ora il superamento del salto nel vuoto e l’attraversamento del tunnel degli orrori.

Dopo la Guerra al Covid e in concomitanza con la Guerra in Ucraina, le uniche armi rimaste a disposizione sono due parole imprescindibili, intercambiabili ma mai divisibili l’una dall’altra:

cultura e pace.

Per capire cosa qui si intende voler dire, basta aggiungere un accento:

cultura è pace e pace è cultura

indifferentemente e sempre.

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