La cicogna di Akram Musallam

  Recensione di Federica Pistono

    Il romanzo dello scrittore palestinese Akram Musallam s’intitola, in arabo, Iltabasa al-amr ‘ala al-Laqlaq (La questione confonde la Cicogna).

  In un paesino della Palestina, un bambino dalle gambe sottili, dalle spalle spioventi, dal naso lungo, riceve dalla nonna il soprannome di Cicogna, in arabo Laqlaq, una parola formata da due segmenti identici. Il nomignolo provocherà nel bambino la mania di invertire le sillabe all’infinito. La vita del protagonista, bambino, ragazzo e adulto, si riflette nel suo nome, spezzata dall’assurdità della separazione, della dislocazione, come quella di un uccello disorientato, che non sa più da quale parte del confine si trovi.

  L’opera esplora il tema della barriera, del limite, mettendo a nudo, con ironia pungente, gli effetti dell’occupazione israeliana sulla vita interiore della gente comune.

  Il romanzo può considerarsi sociologico e psicologico: attraverso le vicende del protagonista e della sua famiglia, il lettore viene immerso nella quotidianità del popolo palestinese della Cisgiordania sotto l’occupazione israeliana e conosce le nevrosi del protagonista, ossessionato dai divieti e dai confini invalicabili che hanno distrutto la sua famiglia e la sua vita.          

 L’azione prende l’avvio nella seconda decade del nuovo millennio, in un paese della Cisgiordania. Cicogna, un quarantenne di cui ignoriamo il vero nome, ha un appartamento in paese, ma ha preso l’abitudine di andare a dormire in casa della nonna, ormai novantenne, e di coricarsi nel letto di ferro appartenuto al nonno, defunto da dieci anni.

  Nella vecchia casa della sua infanzia, Cicogna si interroga sul segreto del nonno, che lo tormentava da bambino e che si riaffaccia nella sua vita di adulto: il nonno, infatti, ex militare nell’esercito del Mandato britannico negli anni Trenta, celava un oscuro segreto, legato all’omicidio di un commilitone e a una misteriosa giara di vetro, in cui l’anziano depositava dei ciottoli che trovava regolarmente su una roccia, all’ingresso del proprio fondo agricolo.

  Ripercorrendo la vicenda del nonno e la propria, Cicogna dipinge un affresco di storia palestinese lungo ottant’anni, dagli anni ’30, quando il nonno era giovane, fino al 2011 e alle aggressioni israeliane ancora attuali oggi.

  Ottant’anni di storia palestinese segnati dalle lotte degli anni ’30, dalla Nakba del ’48, dalla guerra del ’67, da quella del ’73, dalle due Intifada, da un’occupazione che ha imposto una serie infinita di divieti, di limitazioni, di frontiere invalicabili, così come ha negato il “diritto al ritorno” dei palestinesi nella propria terra, segnando in modo drammatico le vite di quattro generazioni di uomini e donne.

  La vicenda di Cicogna è paradigmatica della condizione del palestinese: dopo le scuole superiori, il giovane aveva avviato un’attività di gestione di un centro di fotocopie all’università. Durante una visita a una zia ad Amman, in Giordania, aveva conosciuto e sposato una giovane cugina. Dopo aver trascorso alcuni mesi con la moglie, Cicogna era tornato al suo paese per preparare l’arrivo della sposa, già incinta. Ma la ragazza, pur figlia di palestinesi, era nata in Giordania e suo padre era vissuto per quattro anni fuori dalla Cisgiordania, perdendo così, per sé e per i suoi figli, il “diritto al ritorno” in terra palestinese. Alla moglie di Cicogna era stato pertanto negato, dalle autorità israeliane, il visto di ingresso in Cisgiordania e il diritto di raggiungere il marito. A quest’ultimo era stato impedito di tornare in Giordania per ricongiungersi alla moglie. I due coniugi erano rimasti divisi per sempre, sulle due sponde opposte del ponte di Allenby. La figlia di Cicogna era nata e cresciuta ad Amman, senza che suo padre potesse mai vederla né rivedere la madre.

  La ragazza, che ha circa vent’anni all’inizio del racconto, non ha mai conosciuto suo padre. Dopo dieci anni di vani tentativi di ricongiungersi al marito, la moglie di Cicogna era stata indotta dalla famiglia a divorziare e a risposarsi.

  Quando il romanzo si apre, Cicogna ha più di quarant’anni, è un uomo triste, solitario, depresso, che ha rinunciato a rifarsi una vita; una fastidiosa infezione ai genitali lo costringe a spalmarsi continuamente le parti intime di pomata antibiotica.

  Un giorno, rovistando nell’armadio del nonno, Cicogna trova alcuni vecchi oggetti che lo incuriosiscono: due carte di identità militari, risalenti agli anni ’30, appartenute una al nonno, l’altra al commilitone ucciso da quest’ultimo per motivi misteriosi. Mentre l’anziano aveva sempre raccontato che l’uomo ucciso fosse un indiano, suo compagno d’armi nell’esercito coloniale britannico, dalle carte risulta essere stato un palestinese.

  Un giorno Cicogna, facendo riparare le vetrate della casa colonica abbandonata all’interno del fondo del nonno, si accorge che i vetrai, due gemelli originari di un borgo vicino, hanno gli stessi lineamenti dell’uomo assassinato dal nonno. Cicogna scopre che, in effetti, si tratta dei nipoti del militare ucciso settant’anni prima.

  Nella casa colonica diroccata al centro del fondo agricolo del nonno, ora appartenente a Cicogna, il protagonista ritrova la misteriosa giara di vetro in cui il nonno riponeva accuratamente i ciottoli che trovava sulla roccia situata all’ingresso del fondo. Un vecchio compagno di scuola, un tempo militante in un’organizzazione clandestina della resistenza palestinese, rivela casualmente a Cicogna che il numero di ciottoli che il nonno trovava ogni giorno sulla roccia indicava l’orario di un appuntamento. Il segreto del vecchio, evidentemente coinvolto nella resistenza, ossessiona il nipote che indaga, fino alla conclusione della vicenda, alla ricerca della verità. 

  La vita di Cicogna è intessuta di angoscia: di notte, proprio come accadeva anche al nonno, è perseguitato da incubi tutti legati al tema della divisione, della separazione, della frontiera invalicabile. Emerge continuamente il ricordo di un episodio angoscioso avvenuto nell’infanzia del protagonista: il bambino era andato, con le donne della famiglia, a visitare uno zio in prigione. All’uscita, per un errore, Cicogna si era ritrovato all’interno, non all’esterno del carcere. Da quel momento, il mondo gli appare come una gigantesca prigione: è tutto di qua o di là, dentro o fuori, da questa o dall’altra parte del muro, del confine, del filo spinato, del ponte di Allenby…

  Una sera, navigando in internet, Cicogna riceve la richiesta di amicizia su Facebook da parte della figlia. L’uomo accetta e, tra padre e figlia, si instaura un dialogo intessuto inizialmente di incomprensione, quindi di fiducia, infine di affetto.

  Cicogna non risolve del tutto gli enigmi del passato (ha il sospetto che il nonno avesse voluto punire un traditore, responsabile dell’uccisione di un combattente palestinese da parte di un cecchino inglese), non supera la propria malinconia esistenziale, non intravede la possibilità di un futuro migliore.

  Il libro si chiude con la proposta, da parte della figlia, di un appuntamento sui lati opposti del ponte di Allenby, per vedersi e conoscersi almeno da lontano. 

  OSSERVAZIONI

  “È morto senza svelare il segreto dei ciottoli!”, è la frase di apertura del romanzo. Cicogna, l’uomo alto e allampanato che si nasconde dietro questo soprannome, rivela i suoi segreti a poco a poco, trascinando il lettore in una ricerca di senso che corrisponde al tentativo del protagonista di capire il Paese in cui vive, intessuto di assurdità e di limiti invalicabili.

  È proprio da questo segreto che prende le mosse il racconto, con il tentativo del “nostro amico” Cicogna di sciogliere l’enigma dei ciottoli nella giara di vetro del nonno, e con la storia del nonno stesso, che si dispiega, parallelamente a quella del nipote, lungo tutto il romanzo. Il mistero che il bambino cerca di svelare, spiando i gesti dell’anziano, è pervaso di un’ingenuità che non si dissolve neppure quando Cicogna è ormai un uomo maturo, ed è proprio questo duplice sguardo, del bambino e dell’adulto, a creare il fascino di questo romanzo breve, tinto di ironia agro-dolce.

  Con un sarcasmo che ricorda quello dello scrittore palestinese Emile Habibi, l’autore mette a nudo gli effetti dell’occupazione israeliana sulla gente comune, semplice e pacifica: un nonno attaccato alla sua terra, al suo oliveto e al ricordo dei morti, una nonna maliziosa, un padre intagliatore di pietre, una vicina di casa che predice il futuro, un compagno di scuola arrivista… 

  Secondo l’autore, Cicogna, come tutti i palestinesi, si sforza di vivere “normalmente”, ma questa normalità si scontra continuamente con i muri, i fili spinati, il sistema tirannico e vessatorio dei permessi israeliani. Sono necessari permessi per farsi curare, per lasciare temporaneamente il Paese, per tornare, per coltivare la propria terra, per commerciare…

  Tutta la storia e l’attualità della questione palestinese in questa storia di povera gente.

  Un romanzo breve, intessuto di mistero e di malinconia, che si legge d’un fiato.

  L’Autore

 Akram Musallam è nato nel 1972 in Palestina. Appartiene alla giovane generazione degli scrittori palestinesi. Ha vinto nel 2007 il prestigioso premio della fondazione Al-Qattan.

Il suo romanzo La danza dello scorpione è stato pubblicato in italiano da Il Sirente nel 2011.

Nel 2019 ha pubblicato il romanzo Bint min Šātīlā (Una ragazza di Shatila). 

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