Traduzione dall’arabo di Federica Pistono
Rasha Adly è una scrittrice egiziana, nata al Cairo nel 1972. È ricercatrice e docente freelance di storia dell’arte e corrispondente dal Cairo per la rivista Emirates Culture. È autrice di sei romanzi: The Clamor of Silence (2010), Life is Not Always Rosy (2013), The Tattoo (2014), Confused Women (2014), The Shores of Departure (2016) e Passion (2017).


La ragazza dai capelli intrecciati (2017) titolo originale: Passione
Basato su eventi storici, le vite di due donne che vivono a distanza di secoli sono legate da un dipinto enigmatico.
La storica dell’arte Yasmine ha lavorato al restauro di un ritratto non firmato di una ragazza straordinariamente bella di epoca napoleonica, quando scopre che l’artista ha incastonato una ciocca di capelli nel dipinto, qualcosa di molto insolito. Il misterioso dipinto è entrato in possesso del museo senza registrazione e Yasmine si propone di scoprire il segreto nascosto all’interno di quest’affascinante opera.
Nel frattempo, alla fine della campagna di Francia in Egitto, la sedicenne Zeinab, figlia di un importante sceicco, viene attirata nell’alta società francese quando lo stesso Napoleone richiede la sua presenza. Innamorata delle usanze straniere degli europei, si ritrova su una strada pericolosa, che potrebbe allontanarla dalla sua famiglia e dalla sua cultura.
Fondendo perfettamente la finzione con la storia, l’arte e la politica, il Cairo moderno con il suo passato opulento, questa storia avvincente di due donne intrappolate tra mondi e invischiate in questioni di cuore lancia una nuova, affascinante voce letteraria.
Un estratto di Passione di Rasha Adly
Il Cairo, luglio 1798
Una ragazza. Esile come un giunco, pelle di un colore insolito, non bianca, non scura, della stessa sfumatura della polvere di zafferano. Labbra rosse come ciliegie, capelli neri, fluenti come una cascata, passo di cerbiatta, gesti aggraziati come farfalle. Indossava una gallabiyya di seta a righe verticali, gli orecchini a forma di cerchio rievocavano le curve del suo corpo. Si era appena affacciata alla femminilità, in quella fase che oscilla tra l’infanzia e l’adolescenza: troppo grande per correre e giocare con i bambini, troppo giovane per essere accolta fra le donne, perduta tra i due mondi, quello dell’infanzia, appena lasciato, e quello femminile, in cui attendeva di entrare.
Sua madre si chinò sulla scopa di paglia, per spazzare la polvere dalle piastrelle del pavimento, sprimacciò i cuscini in cotone egiziano, riposizionandoli sul divano turco, pulì il tavolo rotondo in legno e lucidò il vassoio di ottone posto su di esso. Alla fine, accese l’incenso per profumare la stanza, soddisfatta di aver preparato adeguatamente la sala per il consiglio speciale che suo marito, Shaykh al- Bakri, avrebbe tenuto con i suoi amici, Shaykh e studiosi di al-Azhar. La donna uscì e chiuse la porta.
Ancora assorta nelle faccende domestiche, la madre notò Zeinab in piedi, al centro del cortile, un piccolo specchio in mano, intenta a depilarsi le sopracciglia.
«Che cosa stai facendo, figliola?», sbottò, spaventata. «Vuoi che le malelingue sparlino di te? Vuoi che la gente dica che la figlia dello Shaykh Hassan al-Bakri si depila le sopracciglia come una prostituta o una danzatrice del ventre? »
Zeinab sorrise, mostrando i denti bianchi, mentre, sulle guance, si formavano le fossette. Il sorriso accresceva il suo fascino, ma non aveva il potere di calmare sua madre. La donna afferrò la ragazza per una delle trecce nere, abbastanza lunghe da ricaderle sul fondoschiena.
«Smetti di depilarti, vieni ad aiutarmi nei lavori domestici! Le ragazze della tua età sono già sposate, hanno mariti e figli di cui prendersi cura!»
«Non fai altro che spazzare e lucidare…», sbuffò Zeinab. «Passi l’intera giornata a pulire la casa, come se, nella vita, non ci fosse nient’altro che le pulizie!»
«Certo, chi ti sposerà, dovrà avere le tasche piene, lasciamelo dire, ragazza mia… Presto, metti la legna nel forno. Tuo padre sta per arrivare, e non abbiamo ancora cominciato a cucinare».
Zeinab si allontanò, con passo morbido e indolente. Osservò sua madre sfregare e lucidare i sandali di Costantinopoli di suo padre, posandoli con cura sul pavimento, vicino al divano sul quale di solito sedeva.
«Come se venissimo al mondo soltanto per spazzare e pulire!», mormorò, in tono ribelle.
Le camere si affacciavano, allineate, sull’ampio cortile della casa. C’erano anche una stalla per il bestiame e gli asini, un locale con le gabbie degli uccelli, un vasto magazzino per il grano e il carbone: da quando era iniziata la campagna di Napoleone in Egitto, la maggior parte delle famiglie si era preparata all’autosufficienza. Erano stati scavati pozzi, allevati polli, creati orti nei giardini delle case per fornire le verdure, i falegnami avevano rinforzato i portoni di legno. Zeinab ordinò a Halima, la schiava nera, di riempire un catino con l’acqua pulita della loro cisterna, che l’acquaiolo aveva rifornito, quella mattina. Zeinab prese l’incensiere e cominciò a vagare per la casa, profumando l’aria con l’incenso.
«Questo è tutto ciò che sai fare?», scattò la madre, indignata.
Dopo la chiamata alla preghiera del tramonto, Zeinab udì lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli sulla ghiaia della strada, davanti al cancello della loro casa. Finalmente, a suo padre era nuovamente permesso cavalcare, dopo che quell’attività gli era stata vietata per molti anni, nel periodo in cui il cavallo era stato appannaggio esclusivo della alte sfere del governo mamelucco, mentre la popolazione aveva dovuto accontentarsi di asini e muli. Suo padre aveva scelto un nobile stallone arabo, dalle briglie decorate in oro e argento.
Il cavallo del padre si avvicinò e Rustam, il servitore, lo mise nella stalla, informando tutti dell’arrivo del padrone. Il solito smarrimento regnava, ogni volta che quest’ultimo rincasava: le schiave si precipitavano in cucina, le ragazze correvano nelle loro stanze, i ragazzi si sistemavano il turbante sulle teste forzatamente rasate e lavate, in vista del caldo torrido di agosto.
Una giovane schiava sistemò i piatti sul grande vassoio rotondo di ottone: brodo di agnello con mulukhiyya e foglie di malva, crema di cereali e burro, riso, anatra fritta, piccioni ripieni, coda di bue al forno. Mormorii e sussurri riempivano il cortile, mentre gli uomini lo attraversavano. Zeinab li intravide, dietro la mashrabiyya della sua stanza, e capì che doveva essere accaduto qualcosa di importante: il gruppo comprendeva diversi personaggi di rilievo, fra i quali Shaykh Sharqawi, Sulayman al-Fayumi, al-Sawi e al-Sirsawi. La presenza di quegli uomini in vista, che si riunivano con suo padre, indicava qualche problema urgente. Ma lei, cosa c’entrava con tutto ciò? I tessuti damasceni che la commerciante levantina le aveva portato, quel giorno, occupavano tutti i suoi pensieri. In particolare, la pezza di broccato damasceno ricamato con perle e scaglie di cristallo. Pensava a un modello nuovo, che fosse degno di lei e della stoffa. Era stanca dei soliti, vecchi abiti tagliati dalla sua sarta, i modelli tradizionali indossati da tutte le donne. La mashrabiyya della casa di una sua amica si affacciava su Beit al-Alfi, la residenza di un nobile di nome al-Alfi Bey. Quel signore era fuggito quando i Francesi erano arrivati in Egitto, e Napoleone Bonaparte aveva fatto della sua villa il proprio quartier generale. Un giorno, Zeinab si era affacciata alla finestra, aveva assistito a un ballo tenuto nel giardino di Beit al-Alfi e aveva visto le donne straniere, nei loro magnifici abiti da ballo, vaporosi e ricamati di perle, che luccicavano quando catturavano la luce. Quanto le sarebbe piaciuto uno di quei vestiti…
La curiosità per quelle donne e il loro aspetto la divorava: come facevano a sopportare un simile abbigliamento in quel caldo rovente? Che bisogno avevano di indossare quei grandi cappelli, ornati di pelliccia, sotto i quali la testa e il collo sicuramente soffrivano? I ventagli di piume che tenevano in mano erano davvero in grado di rinfrescare l’aria? Forse, lo erano di più i bicchieri che i domestici portavano in giro sui vassoi, o meglio le bibite che luccicavano nelle coppe di cristallo, nelle mani delicate delle dame. Sicuramente, quelle bibite non somigliavano al pessimo liquore che suo padre beveva di nascosto, un miscuglio di bordeaux e brandy. Poteva sentirne ancora il sapore in bocca, dal giorno in cui, spinta dalla curiosità, aveva assaggiato il contenuto della bottiglia celata dal padre in un armadio. Aveva trovato la bottiglia per caso, sistemando i vestiti puliti nel guardaroba: aprendo le ante, aveva intercettato un odore pungente e aveva assaggiato un sorso di liquore, per poi sputarlo immediatamente. Era amaro come il fiele.
No, il vino bevuto da quelle donne era sicuramente diverso. Lo sorseggiavano con evidente piacere. Insieme all’amica, aveva sbirciato per ore dalle minuscole fessure della mashrabiyya, affacciandosi su un mondo più vasto. Tutto era nuovo per lei: volti diversi, una lingua strana, abiti meravigliosi, luci, musica, bicchieri, belle donne, gentiluomini eleganti. Bastava uno sguardo a quel mondo per rendersi conto della tristezza della propria condizione: alle donne egiziane non era concesso neppure di togliersi il velo dal viso.
«Eccola! È lei! Guardate!», avevano gridato, un’altra volta, le amiche.
Le ragazze avevano sollevato un poco la mashrabiyya per sbirciare meglio e osservare la donna francese nel suo abito impalpabile. Si era tolta il cappello e il fermaglio fra i capelli, e ora passava le dita nella chioma per scioglierla sulle spalle.
«Mio Dio, com’è bella!»
«Il vestito è mozzafiato!»
«Guardate il colore della sua pelle…»
«E i capelli? Sono biondi!»
«Silenzio!», aveva sibilato Zeinab. «Non vedo proprio niente di bello in lei. È pallida come una morta, il suo viso sembra un pezzo di pane secco. Il suo corpo pare quello di un ragazzo!» Si era sciolta furiosamente le trecce, stringendosi la veste intorno al corpo. «Ecco! Sono più bella e femminile di lei!»
Le ragazze si erano scambiate sguardi, ed erano scoppiate a ridere: «Se fosse brutta come tu dici, non sarebbe l’amante di Bonaparte!»
«L’amante di Bonaparte? Come fate a saperlo?»
«Ne parla tutto l’Egitto».
«Non credo proprio», aveva ribattuto Zeinab, «che a Bonaparte piaccia quel tipo di donna».
Le amiche l’avevano fissata: «Forse gli piace il tuo tipo!», ridacchiò una ragazza.
«Svegliati e guardati allo specchio», l’aveva schernita un’altra. «Guarda il colore della tua pelle».
«Sei gelosa, perché sono più bella di te», aveva replicato Zeinab.
L’insulto non sarebbe rimasto impunito e, ben presto, era scoppiata una zuffa tra le due, con urla e botte. Le amiche avevano separato le due litiganti. Zeinab si era avvolta lo scialle intorno alla testa, con arroganza. Prima di andarsene, si era voltata: «Presto vedrete!» Si era allontanata, seguita dall’eco delle risate delle amiche.
Fuori, la investì una brezza fresca, carica del profumo inebriante del gelsomino notturno. Alcuni ufficiali francesi in uniforme, abbronzati dal sole implacabile, camminavano per la strada. La guardavano con occhi lascivi. Era raro incontrare una donna, o una ragazza, sola in strada. I Francesi erano abituati a vedere le donne passare, in un lampo nero, a dorso d’asino o sui carretti trainati dai muli, coperte di veli neri dalla testa ai piedi, come fantasmi erranti. Ma, in quel momento, videro una ragazza che avanzava lentamente, ancheggiando, con le cavigliere di bronzo e i bracciali d’oro che tintinnavano a ogni passo. Potevano scorgere il suo viso dietro il velo sottile di chiffon: lei lo lasciò scivolare, fissandoli con occhi grandi, neri e audaci. Delicatamente, sollevò l’orlo del mantello dalla strada polverosa, mostrando le scarpette ricamate di fili d’oro e perline in stile marocchino, con la punta rialzata. Uno degli ufficiali le si avvicinò, rivolgendole la parola in francese: «Come ti chiami, bellezza?»
Zeinab si fermò. Un altro uomo, vestito in borghese, allontanò l’ufficiale: «Lasciala in pace! Non vedi che la stai spaventando?» Con un sorriso, le fece il gesto di continuare per la sua strada: «La prego di accettare le mie scuse per il suo comportamento».
Parlavano in francese, e Zeinab non capiva una parola, ma poteva indovinare il senso dei loro discorsi. Così, ringraziò con un sorriso l’uomo che le aveva aperto la strada. Mentre camminava, poteva udire gli uomini discutere ad alta voce, e intuì di essere il motivo della lite.
In quella lingua, che Zeinab non era in grado di capire, il primo uomo stava dicendo: «Sei impazzito, per caso? Chiudere il passo a una donna, in una strada pubblica? Non abbiamo ferito abbastanza questa gente?»
«Come fai a sapere che non fosse una prostituta? Magari sarebbe stata felice di parlare con noi».
«Le prostitute si distinguono dall’abbigliamento, stanno in strada senza vergogna, abbordano gli uomini. Non hai visto come si è spaventata la ragazza, quando ti sei accostato a lei? Una prostituta si comporta così, secondo te?»
Quella sera, in una casa dall’altra parte del Cairo, la madre di Zeinab, Fatima, sedeva nel cortile centrale della casa. Era una bella serata, la luna si nascondeva dietro le nuvole, si mostrava un attimo per rischiarare l’oscurità della notte, per poi svanire e apparire di nuovo. La donna teneva in mano un rosario d’ambra, che sgranava nervosamente, sussurrando: «Sia lode a Dio! Sia lode a Dio!» Nelle vicinanze regnava una grande calma. Il solo rumore era il russare che proveniva dal piano superiore, dove i figli dormivano, l’uno accanto all’altro, sulle stuoie. Le candele di sego proiettavano una luce soffusa.
La donna alzò la testa quando udì un colpo battuto sulla porta, il bussare caratteristico di Zeinab. Si precipitò verso la porta, quasi travolgendo un vaso di fiori. «Perché sei così in ritardo?», sibilò. «Non hai sentito parlare dei rapimenti e degli omicidi che stanno avvenendo in questi giorni?»
«Ho perduto la cognizione del tempo», rispose Zeinab, sollevando il velo dal viso sudato.
«Bene, non farlo mai più! D’ora in poi, ti voglio a casa presto».
Zeinab andò dritta nella sua stanza, si fermò davanti allo specchio, si sfilò i vestiti, sciolse le trecce, poi sollevò il bordo del materasso e tirò fuori una scatola di latta. L’aprì e prese il contenuto. Si dipinse le labbra con la polvere di sangue di cervo, che passò anche sulle guance. Poi immerse una piuma in una boccetta d’argento, e si truccò gli occhi con il kohol. Si ammirò a lungo nello specchio, girandosi a destra e a sinistra, sorridendo con sicurezza. Immaginava le amiche invidiose della sua bellezza, e fece una linguaccia allo specchio. Poi ricordò il sorriso di lui, che la trascinò in un altro mondo.
Il Cairo. Agosto 1798
Le acque del Nilo erano salite. La gente era uscita presto per festeggiare la piena del Nilo. I preparativi dell’evento erano durati lunghi giorni. Ogni famiglia era all’aperto, davanti alla propria casa. Le strade erano state spruzzate d’acqua per evitare che si alzasse la polvere, le lampade erano state riempite di olio. Una settimana prima, gli acquaioli avevano indossato abiti nuovi e profumato gli otri dell’acqua con fiori e olio di gelsomino; avevano camminato per le strade e i vicoli offrendo acqua da bere a chiunque avesse sete, per le case, senza pretendere il pagamento, scuotendo le tazze di rame, sbattendole insieme, in un gioioso clangore. Le donne avevano fatto a gara nel preparare i dolci migliori: sadd hanak, bosbusa e luqmat al-qadi, e i bambini erano usciti con i vassoi sulla testa, distribuendo dolci ai passanti. Seguendo una tradizione millenaria, diversi uomini robusti si erano riuniti a Fam al-Khalig, “la bocca dell’acqua”, per costruire una diga simbolica di sabbia che cedesse al primo impatto della piena. Il crollo della diga era il segnale per l’inizio dell’esultanza e dei festeggiamenti.
Quel giorno, Zeinab rimase davanti allo specchio più a lungo del solito. Si truccò gli occhi con il kohol, si spolverò le guance di belletto e lasciò libere sulla fronte alcune ciocche di capelli. Poi indossò il velo ricamato per la testa e uscì, con le ragazze e i bambini, in giro per il quartiere. Tutti sfoggiavano abiti nuovi, gridavano: «Le acque sono salite! Il fiume è in piena!», battevano rumorosamente sui tamburi e suonavano i flauti. Zeinab si unì alla folla, gridando e cantando come tutti gli altri.
Lungo le rive del Nilo, le barche, decorate con nastri colorati, trasportavano la gente vestita a festa, muovendosi attraverso lo stretto canale che separava l’isola di al-Rawda dalla sponda del Nilo. Grandi masse si radunavano intorno ai prestigiatori, che eseguivano i loro numeri, mentre bande di musicisti vagavano tra la folla, suonando allegramente.
Sembrava che tutto l’Egitto fosse uscito a festeggiare. Le rive del Nilo erano gremite, c’erano persone che, addirittura, montavano tende. Come una bevanda zuccherata, la folla si riversava nelle strade, intasando ogni angolo. Quando la strada non poteva più contenere esseri umani, alcuni si arrampicavano sugli alberi e sui tetti. C’erano mercanti, con i portafogli nascosti sotto i grandi turbanti; donne che portavano i figli sulle spalle, borbottando preghiere; dervisci, con i rosari appesi al collo; mendicanti, con in mano piatti di latta; curiosi francesi che, nei loro bizzarri vestiti, si guardavano intorno.
Su una collina, era stato eretto un enorme tendone, con pareti di Khayyamiya, uno spesso cotone ricamato. All’interno, il suolo era ricoperto di tappeti persiani dai colori vivaci, qua e là erano posizionati divani turchi rivestiti di velluto rosso e grandi cuscini ricamati con fili d’oro. Nel centro, c’era un lungo tavolo, imbandito con piatti di frutta e noci dall’aspetto delizioso. Sul tavolo, le bandiere egiziana e francese era l’una accanto all’altra. Napoleone Bonaparte presiedeva l’assemblea, in alta uniforme, circondato dagli ufficiali: medaglie e decorazioni brillavano al sole. Accanto a loro, c’erano gli Shaykh di al-Azhar e gli alti dignitari egiziani. Da lontano, tutti potevano vedere la piuma di fenicottero, sull’imponente turbante di Shaykh al-Bakri, ondeggiare al vento. Sulle sue spalle, era drappeggiato un caftano color ambra. Zeinab lo vide e puntò il dito con orgoglio: «Guardate! L’uomo seduto a fianco di Bonaparte è mio padre!»
«È una vergogna per tuo padre sedersi accanto a quell’uomo!», mormorò una delle sue amiche.
«Perché? Non è forse venuto a liberarci dal dominio brutale dei Mamelucchi? Non ha forse promesso di migliorare le cose, nel nostro Paese? È già una gran cosa il suo ordine di pulire le case e rimuovere i rifiuti dalle strade e…»
«È un infedele», la interruppe la ragazza.
«Il nostro Profeta ha detto: “A te la tua religione, a me la mia».
Le grida della folla e il frastuono dei tamburi divennero assordanti, rendendo impossibile la conversazione. Improvvisamente, l’acqua defluì, abbattendo la diga simbolica, e il canale si riempì fino a raggiungere lo stesso livello del fiume. Il sindaco gettò in acqua alcune monete lucenti, coniate appositamente per l’occasione, in omaggio alla tradizione secondo la quale il denaro nuovo avrebbe portato con sé l’acqua del Nilo. I giovani si tuffarono in acqua per prendere le monete. Zeinab, vedendo che tutti erano impegnati a incoraggiare i ragazzi che nuotavano per afferrare le monete, scivolò via dal gruppo di amiche, dirigendosi verso il tendone, sotto il quale suo padre sedeva con Napoleone.
Passò davanti alle guardie che circondavano la tenda e andò direttamente da suo padre. Si piegò per baciargli la mano, mentre le guardie, finalmente, la notavano. Shaykh al-Bakri sussurrò all’orecchio di Napoleone: «Mia figlia Zeinab». Bonaparte ordinò alle guardie di lasciarla stare.
Suo padre le ordinò, con un cenno del capo, di rendere omaggio al grande personaggio. Zeinab s’inchinò e sorrise, dietro il suo velo di chiffon, mostrando le fossette sulle guance. Napoleone, affascinato, ricambiò il sorriso.
Era un uomo piccolo, ma sedeva orgoglioso, tronfio, nella divisa costellata di medaglie d’oro. Zeinab si sentì piccola davanti a lui, non per statura, ma per status. Era consapevole che quell’uomo deteneva il potere. Con la coda dell’occhio, lo sbirciò. Il su viso era bianco, con qualche lentiggine, qua e là. I suoi occhi erano piccoli, color del miele, astuti. Anche la bocca era piccola, sotto i baffetti radi. I suoi lineamenti non rivelavano la sua natura crudele: privo dell’uniforme, in abiti civili – pensava Zeinab -, sarebbe potuto passare per uno Shaykh azharita o per uno degli scrivani che, fuori dal tribunale, aiutavano gli analfabeti a compilare le denunce.
A mezzogiorno, il sole era alto nel cielo, nell’ora più calda della giornata. Si alzò una brezza leggera, ad alleviare il caldo soffocante. Zeinab era abbagliata dal panorama che si godeva dall’alto della collina. La ragazza poteva vedere le cupole delle moschee e delle chiese, e le piramidi le sembravano piccole, in lontananza. Sfilò una parata militare, file e file di ufficiali e soldati, sulle note di una banda militare. La folla gridò, quando la tradizionale statua della “Sposa del Nilo” fu gettata in acqua, mentre le donne lanciavano nel fiume brandelli di vestiti e ciocche di capelli. Cominciarono ad arrivare le barche che, fin dall’alba, avevano partecipato a una lunga regata, e lo stesso Bonaparte distribuì le medaglie ai vincitori. Poi iniziò a offrire doni e lingotti d’oro alla gente, che si assiepava e spingeva per ottenere qualcosa. D’un tratto, fece un cenno a Zeinab con un dito: con passo timido, esitante, la ragazza si avvicinò. Quando fu davanti a Bonaparte, questi le prese la mano, vi depose diversi lingotti, poi la chiuse. Con difficoltà, Zeinab riuscì a dire: «Grazie». Lui la fissò negli occhi. C’era qualcosa di indecifrabile, in quello sguardo. Le parve di tornare indietro, di essere di nuovo una bambina che correva nel vento, felice per il dono dell’Imperatore d’Oriente. Si domandò se le avesse stretto la mano più a lungo del necessario, o se l’avesse soltanto immaginato.
Il diamante dell’anello di Napoleone luccicò, mentre indicava un ufficiale che arrivava di corsa. Gli sussurrò qualcosa all’orecchio e l’uomo si allontanò in fretta. Pochi istanti dopo, Bonaparte fu di ritorno, portando un caftano in pura seta, rifinito di pelliccia e ornato di diamanti. Pose il caftano sulle spalle di Shaykh al-Bakri, annunciando che quest’ultimo sarebbe stato il nuovo Naqib al-Asraf, il Capo dei discendenti del Profeta, al posto dello Shaykh Omar Makram, fra le grida e le benedizioni della folla. I giudici, i mercanti, altri uomini importanti, circondarono al-Bakri per congratularsi con lui, che rispose con orgoglio e piacere. Napoleone si congedò, con il suo corteo militare, non prima di aver detto a Shaykh al-Bakri di aspettarlo, l’indomani, per discutere le responsabilità della sua nuova posizione. La cosa davvero strana, però, fu la richiesta di portare con sé sua figlia.
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