Dittatura, rivoluzione e guerra nelle opere di Samar Yazbek

  Articolo Siria di Federica Pistono

Aleppo – courtesy of cleopatrarogers

  Scrittrice e giornalista siriana, autrice di diversi romanzi, Samar Yazbek è una figura di spicco dell’opposizione a Bashar al-Asad. Di confessione alawita, nasce a Jable nel 1970, studia Letteratura araba a Damasco per intraprendere poi la carriera di giornalista, sceneggiatrice e scrittrice. Un reportage dedicato al problema delle spose-bambine ha ricevuto il Premio per l’Informazione sociale, bandito dall’Unesco nel 2004. A Damasco, lavora per la televisione siriana e per la rivista Nisa’ Suriya, dedicata ai diritti umani e alla condizione femminile. Nel 2011, spinta dalle persecuzioni del regime, lascia la Siria per rifugiarsi in Francia con la figlia. 

  Il suo primo romanzo Ṭiflat al-Samā’ (La bambina del cielo, 2002), è stato oggetto di censura nel paese a causa delle difficili tematiche affrontate dall’autrice.

  L’opera narra l’esistenza dell’adolescente Nūr, che cresce con le due sorelle in un contesto cristiano -alawita.  I rapporti tra le sorelle, che vivono in una sorta di reclusione in attesa di un matrimonio combinato dalla famiglia, assumono a volte un carattere erotico vicino per certi aspetti al lesbismo, anticipando la tematica dell’amore saffico contenuta in Rā’iḥat al-qirfah

  La vicenda della protagonista, che si ribella alla mentalità dell’ambiente arretrato in cui è inserita, presenta uno spaccato della società siriana degli anni Ottanta e dei suoi tabù sociali. La storia ruota intorno al dilemma interiore vissuto dalla protagonista e agli avvenimenti che la inducono ad abbandonare il piccolo paese natale per trasferirsi a Damasco. Emerge il tema della “trasformazione” (taḥawwul), che focalizza l’attenzione sul disagio provato dal personaggio a causa della propria femminilità, di cui cerca di sbarazzarsi ricorrendo a un travestimento in abiti maschili.

  Il secondo romanzo di Samar Yazbik, al-Ṣilāl (Argilla, 2005), può essere considerato una riflessione critica sulla società siriana e sulla comunità alawita. L’idea di metamorfosi acquista contenuto e spessore nel più vasto concetto della trasmigrazione delle anime, uno dei capisaldi della dottrina alawita. Il protagonista Hayḍar al- Alī si reincarna, attraverso una serie di nuove nascite, per sfuggire a un nemico che, da una vita all’altra, continua a perseguitarlo. 

  Hayḍar al- Alī non può accettare tale pesante eredità spirituale che è destinata a schiacciarlo ma Alī Ḥasan, l’eterno nemico che si ripresenta in ogni esistenza, non è meno solo e meno sconfitto di lui.

Alī, giovane ufficiale fedele al regime, dopo aver sottratto al suo rivale la donna amata e il potere ancestrale, non riesce a godere della sua vittoria. La politica, i rapporti tra il potere e la comunità alawita, fanno anche di questo personaggio un vinto.   

  In quest’opera, la scrittrice affronta un argomento politico, quello dei rapporti tra la comunità alawita e il regime. Pur trattando di un tema scottante nella Siria contemporanea, l’autrice ricorre a uno stile poetico, creando un’atmosfera fantastica, onirica, dipingendo un mondo in cui il destino degli uomini è in mano a forze oscure e invincibili, già segnato fin dall’inizio dei tempi senza possibilità di salvezza e destinato a ripetersi. Il tema della reincarnazione è ripreso dall’autrice anche in un’opera successiva, Lahā marāyā. 

  Con il romanzo Rā’iḥat al-qirfah (2008, tradotto in italiano come Il profumo della cannella, Castelvecchi, 2010, traduzione di C. La Barbera), Samar Yazbik indaga l’universo femminile attraverso la narrazione dell’amore omosessuale tra due donne damascene provenienti da mondi totalmente diversi. Ḥanān è una ricca signora della buona società damascena, costretta in un triste matrimonio con un anziano cugino, da lei definito il “vecchio coccodrillo”. Per sfuggire alla noia e all’infelicità coniugale, intreccia amori saffici con donne del suo stesso ceto sociale. Quando nella casa è assunta Āliyah, giovane e bellissima cameriera proveniente da un sobborgo degradato e da un’infanzia di sopraffazioni e brutalità, Ḥanān si innamora della ragazza, a sua volta ammaliata dalla sensualità della padrona. Tra le due donne nasce una passione, che le lega per anni in una relazione segreta. Se da un lato Āliyah si lascia coinvolgere nel gioco sentimentale e ricattatorio della padrona, dall’altro intravede un modo per controllare la vita della famiglia e per liberarsi da un passato di povertà e squallore. Per vendicarsi dell’atteggiamento duro di Ḥanān, la giovane intreccia una relazione anche con l’anziano marito di quest’ultima.  Ma i sotterfugi e le bugie, però, vengono alla luce e sia Āliyah che Ḥanān sono travolte conseguenze. La ragazza è scacciata di casa: la cameriera piomba di nuovo nella miseria, la padrona nella solitudine.

  Il romanzo Lahā marāyā (I suoi specchi, 2010, tradotto in italiano come Lo specchio del mio segreto, Castelvecchi, 2012, traduzione di E. Chiti), si incentra sulla tematica dell’amore che viene soffocato e tramutato in odio e in disperazione quando gli amanti sono travolti dagli ingranaggi del potere. I due protagonisti della storia appartengono entrambi, come l’autrice e il presidente, alla comunità alawita, in seno alla quale si consuma il dramma. 

   L’opera narra la tragica storia d’amore tra Said, un alto ufficiale alawita, vicino al presidente Ḥafiz al-Asad, e Layla, una famosa attrice damascena, guidando il lettore verso la conclusione tragica: l’ufficiale arresta e tortura il fratello della donna amata, oppositore politico del regime. Il giovane, in seguito alle sevizie subite, impazzisce e si suicida. Tra l’ufficiale e la fidanzata l’odio e il desiderio di vendetta sostituiscono l’amore. Quando si rende conto di aver perduto ascendente sulla donna, il protagonista si spinge a farla arrestare e condannare a molti anni di reclusione, consapevole delle sevizie e degli stupri che la disgraziata dovrà subire. Quando esce di prigione, Layla è distrutta nel corpo e nello spirito, ma anche Said, dopo la morte del suo presidente, si è isolato nella sua casa- fortezza, tormentato dai rimpianti e dal rimorso.

  Nel 2011, Samar Yazbek partecipa attivamente ai primi mesi della rivoluzione siriana, di cui scrive un dettagliato resoconto, Fuoco incrociato, del 2012. Il libro, insignito del premio Harold Pinter Pen, costituisce un diario preciso, dettagliato e personale dei primi cinque mesi della rivoluzione. Capitolo dopo capitolo, sfilano le storie raccontate dai testimoni o dagli autori della rivolta: i primi sit-in di protesta, la violenza della repressione, le manipolazioni ordite dai servizi di sicurezza, le voci diffuse nelle città per fomentare l’odio tra Alawiti e Sunniti.

  Il diario attira sull’autrice le persecuzioni del regime. Più volte arrestata, le autorità la obbligano a visitare le carceri dove sono rinchiusi i ribelli, a constatare personalmente gli orrori della tortura.

  Nel luglio 2011, è costretta a rifugiarsi in Francia con la figlia.

  La scrittrice non resta però a lungo lontana dalla patria e torna in Siria tre volte, tra il 2012 e il 2013, emigrando clandestinamente nel Paese attraverso una breccia lungo il confine turco, spinta dall’urgenza e dalla necessità di testimoniare al mondo quello che sta accadendo in Siria.

 Da queste dolorose esperienze nasce la sua ultima opera, Bawābāt arḍ al-ʿadam (Le porte del nulla), tradotta in italiano con il titolo Passaggi in Siria (Sellerio, 2017, traduzione dall’inglese di A. Grechi), un nuovo diario che la scrittrice redige nel corso dei suoi viaggi clandestini.

    Durante ogni escursione, Yazbek osserva “dall’interno” gli orrori di una rivoluzione che si è trasformata in guerra civile, l’ascesa del jihadismo, l’afflusso crescente dei miliziani stranieri che vengono a rubare ai siriani la loro rivoluzione.

  Dalla formazione dell’Esercito Siriano Libero all’emergere di Daesh, Yazbek ci offre una testimonianza coraggiosa sulla vita quotidiana dei combattenti, ma anche delle persone comuni che lottano per sopravvivere, narrando l’odore della terra dopo l’esplosione di una bomba, il terrore negli occhi delle madri, l’orrore dei corpi mutilati.

    Incurante del pericolo, la scrittrice moltiplica gli incontri: donne, ragazzi, ribelli, civili in armi, ma anche jihadisti. Ognuno di loro ha una storia da raccontare, i loro destini incrociati formano la trama della narrazione: ne emerge il quadro di una Siria in pezzi, dove i diritti umani hanno da tanto tempo ceduto il passo alle devastazioni della guerra.   

      L’autrice ha urgenza di raccontare, di registrare le voci, prima che sia troppo tardi. Attraversa la regione di Idlib, liberata dagli insorti, realizzando decine di interviste, consapevole di scrivere in nome di un popolo fantasma, di un Paese al collasso, immergendosi sempre più nel caos, osservando le macerie accumularsi e l’odio divampare. Ai soldati si alternano i miliziani. Ai massacri si aggiungono gli stupri, i saccheggi, i supplizi. Dopo i missili, le armi chimiche, arrivano i barili-bomba, lanciati sui civili dagli elicotteri del regime.

  Nel campo avversario, bande di miliziani terrorizzano la popolazione. Dal 2013, fanno infatti la loro comparsa giovani dalla lunga barba e dall’accento straniero. Gli islamisti radicali, che il presidente al-Asad ha scarcerato all’inizio del conflitto, hanno formato i gruppi armati, fino all’emergere dello Stato Islamico. Combattenti stranieri affluiscono in Siria a migliaia, tribunali improvvisati applicano la šarīʿah, impongono l’obbligo del velo, istituiscono le punizioni corporali.

  I difensori del regime si scontrano con gli uomini del “califfato”.

  Samar Yazbek , donna, intellettuale, laica, democratica e alawita, si trova nel mezzo della lotta. Nonostante il pericolo, si spinge a intervistare un capo jihadista, un emiro.

  Sbigottimento e desolazione accompagnano il lettore, mentre le visioni drammatiche descritte dall’autrice si sovrappongono, laceranti, ai ricordi di chi, della Siria, conservava l’immagine di un Paese meraviglioso, ricco di cultura, di arte, di senso dell’ospitalità.    

 L’ultima opera pubblicata in italiano è Diciannove donne (Sellerio, 2019, traduzione di A. Fallerini), raccolta di racconti che danno voce a diciannove donne siriane, protagoniste silenti della rivoluzione. Presenti numerosissime sul campo, le donne siriane hanno dovuto combattere non soltanto il regime, Daesh, i ribelli islamisti, ma l’intera società patriarcale.

   Le storie raccolte in quest’opera dall’autrice appartengono a donne del ceto medio, studentesse universitarie, insegnanti, giornaliste. Quasi tutte, per sfuggire alle persecuzioni, hanno lasciato la Siria e si trovano ora nei Paesi limitrofi o in Europa. Hanno vissuto la repressione nelle zone controllate dagli islamisti, hanno sperimentato i bombardamenti e l’uso delle armi chimiche nelle aree controllate dal regime. Ma, da qualunque parte delle Siria provengano, le diciannove donne puntano il dito contro il potere maschilista, cieco e autoreferenziale, qualunque esso sia: quello della dittatura di al-Asad, quello dell’Esl, o quello di Daesh. Alla questione del maschilismo si mescola la tematica della convivenza fra diverse confessioni, in un Paese in cui, da secoli, convivono cristiani, drusi, alawiti e musulmani sunniti.   

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