Le donne di al-Basatin

Recensione Tunisia di Antonino d’Esposito

Tunisia, Tunisi, quartiere medio borghese di al-Basatin, manca poco allo scoppio delle proteste che daranno il la alle primavere arabe, ma nessuno lo sa. Tunisini, uomini e donne, si dibattono in una realtà asfissiante come pesci in un acquario troppo angusto in cui è stato gettato un agente chimico. Tale è l’humus socio-economico al quale Habib Selmi, autore de Le donne di al-Basatin, attinge e col quale plasma il proprio materiale narrativo. Autore prolifico e apprezzato (finito due volte tra i finalisti dell’importantissimo Arabic Booker Prize, nel 2009 e nel 2011 col romanzo in questione), Selmi, classe 1951, è diviso tra Tunisia e Francia, dove si trasferisce nel 1983, e riflette nella sua produzione questa dicotomia spaziale.

Le donne di al-Basatin, pur svolgendosi interamente nella capitale nordafricana, è presentato al lettore attraverso lo sguardo di Tawfiq, un professore tunisino di storia e geografia di un liceo parigino, che torna in patria per tre settimane di ferie ed alloggia a casa del fratello minore Ibrahim, nell’appartamento di un residence che questi abita, nel quartiere al-Basatin, insieme con moglie e figlioletto. Sin dal titolo capiamo bene che l’universo femminile, e in particolare quello del quartiere, sarà l’oggetto dell’attenzione di Tawfiq che da franco-tunisino offrirà al lettore la propria doppia chiave di interpretazione della realtà. La Tunisia in cui i personaggi-pesci rossi di Selmi nuotano è una nazione che dieci anni fa correva a tutta velocità verso un baratro sociale che, non a caso, si tramuterà nelle proteste del 2011. Una società paralizzata dal regime di Ben Ali, in cui la mobilità sociale è del tutto azzerata, infettata dalla corruzione e dalla crescente islamizzazione. Tawfiq atterra nella città in cui è nato dopo qualche anno d’assenza e nota tutto il disagio e il cambiamento di una nazione osservando le tre donne con cui entra principalmente in contatto: la cognata Yusra, la sorella di lei Leila e una vicina, Na’ima. Tratteggiamo dunque, seppur brevemente, le fattezze di queste donne.

Moglie di Ibrahim, Yusra è da poco una donna nuova rispetto a quando Tawfiq l’ha vista l’ultima volta. Infatti, porta ora il velo, lo hijab, incita marito e figlio a partecipare alla preghiera del venerdì; ha perso parte del suo temperamento aperto tant’è che il cognato francese capisce che una porzione di quella confidenza che li legava è svanita. Ma adesso porta il velo, non oso più toccarla, dice amaramente lui. Tuttavia, Yusra si dimostra tutt’altro che sottomessa al marito quando nei settimanali battibecchi della domenica mattina gli tiene abilmente testa fino a spuntarla.

Leila è la sorella di Yusra. A differenza di quest’ultima, non ha ceduto alle lusinghe islamiste, continua a lavorare in centro, a guidare la sua auto, vestire con abiti provocanti nonostante nel quartiere questo atteggiamento generi pettegolezzi sulla virilità del marito. Sotto l’apparenza della donna emancipata si nasconde, però, un essere fragile, impaurito dalle minacce che i radicalizzati le rivolgono per strada alla luce del sole e che sogna, come la quasi totalità dei tunisini dai quarant’anni in giù, di poter emigrare in Francia e non esita a sedurre Tawfiq per provare a raggiungere il suo obiettivo.

Na’ima, infine, è una donna che ha subìto una metamorfosi inversa rispetto a Yusra. Nella realtà narrativa non ha il capo coperto, ospita in casa un uomo che si dice sia forse un lontano cugino, è divorziata e non limita la sua appariscenza; veniamo invece a sapere dai racconti dei protagonisti che precedentemente portava abiti tradizionali e ascoltava a tutto volume registrazioni del Corano. Un’involuzione, questa, agli occhi del quartiere che non esita, all’unanimità, a condannarla.

Ecco dunque le donne di al-Basatin così come ci vengono proposte. A queste, si aggiunge la moglie francese di Tawfiq, Catherine, una presenza assente che aleggia tra le pagine del romanzo. Ritenuta da tutti rispettabile e gentile, benché europea e cristiana, entra anch’essa in gioco nella svirilizzazione delle figure maschili del testo a più riprese, in modo particolare quando Tawfiq confessa che la decisione di non avere figli è stata una conditio sine qua non del suo matrimonio con lei.

I volti della Tunisia prerivoluzionaria sono tutti sui lineamenti femminili delle tre: costante dissidio interiore tra tradizione e Occidente, estremismo e, soprattutto, ipocrisia. Ebbene sì, l’ipocrisia macchia tutti nel romanzo, uomini e donne, bambini e giovani, e qual è il luogo in cui questa ipocrisia trova la sua massima rappresentazione? Gli appartamenti in cui le tre donne vivono. Nello huis clos familiare, tra le mura del focolare domestico, spazio che per antonomasia dovrebbe rappresentare la sicurezza, si svolgono i drammi di al-Basatin. Nell’appartamento modesto ma dignitoso, Yusra impone la propria scelta di indossare il velo e di avvicinarsi a una religiosità esteriore approvata dai più; eppure, ipocritamente, non si sottomette al marito come la stessa ideologia che sta abbracciando vorrebbe, bensì lo gestisce e gli scarica addosso le sue frustrazioni. Il marito Ibrahim, dal canto suo, non esita a godere delle grazie di una donna di vita nelle ore di un venerdì che avrebbe dovuto dedicare alla preghiera e, al contempo, si erge a giustiziere nei confronti di Na’ima, diventa la voce della folla che accusa la donna di prostituirsi in casa propria e la fa arrestare con una telefonata alla stazione di polizia.

L’appartamento di Na’ima, a un piano sotto quello di Yusra, non ci viene mai presentato dall’interno, probabilmente perché proprio lì dentro tutti pensano che la donna si venda. Allora Selmi ce lo presenta attraverso due usci: la finestra aperta, dalla quale la declamazione registrata del Corano vola in tutto il quartiere, è la stessa alla quale Na’ima si sporge di notte provando a sedurre Tawfiq (almeno così la pensa il professore di storia) e dalla quale l’uomo che frequenta quella casa insulta proprio Tawfiq; e poi la porta d’ingresso molto spesso socchiusa, uno spioncino su quel mondo proibito a cui Tawfiq tenta a più riprese, in modo vano e ipocrita, di affacciarsi per penetrarvi. Che Na’ima si prostituisca davvero o meno, alla fine, non lo si sa; questo fantomatico lontano cugino però diviene la causa del suo arresto che lava le coscienze di tutti.

Da ultimo, l’appartamento spazioso e ben arredato di Leila diventa la scena in cui si consuma l’unico effettivo momento carnale del romanzo. La donna sicura di sé, che mantiene la propria libertà a qualsiasi prezzo nasconde un segreto disarmante: anche lei soffoca nell’acquario Tunisia pur avendo materialmente tutto il desiderabile. Anche lei, al pari di un intero popolo, intravede la salvezza solo nell’emigrazione e per ottenerla usa la seduzione, circuisce Tawfiq, gli si concede nella speranza che il suo amore adolescenziale rifiorisca, lasci la moglie francese e la sposi portandola con sé sull’altra sponda, in Europa.

Ne Le donne di al-Basatin dunque gli appartamenti, che per le omologhe algerine dei racconti di Assia Djebar erano stati luoghi dai quali condurre la lotta all’oppressore, diventano carceri in cui essere sia vittime che carnefici, il posto ideale, lontano dagli sguardi degli altri, dove mettere in pratica l’esercizio quotidiano dell’ipocrisia.

Ma oltre a prendere parte al gioco dell’ipocrisia, gli uomini cosa fanno? Ben poco. L’uomo arabo-tunisino è ritratto al culmine di una crisi identitaria senza eguali; è spesso al centro di intrighi e giochi di seduzione, mercifica l’atto sessuale e sembra destinato ad assolvere una sola funzione: il traghettatore, un nuovo Caronte. Ibrahim, e con lui tutti i maschi di al-Basatin, conducono Na’ima dietro le sbarre e Leila spera che Tawfiq la trasporti al di là del mare. Emerge così nelle pagine del romanzo la cruda realtà degli scafisti e dell’immigrazione clandestina, una piaga allargatasi dopo il 2011. Appare evidente quindi che il romanzo di Habib Selmi non può essere ritenuto semplicemente un affresco sulla condizione della donna tunisina; grazie alla complessità e all’ampio spettro di temi affrontati, Le donne di al-Basatin non è né un romanzo femminile né un romanzo femminista, è la denuncia dell’empasse in cui la Tunisia versava sul finire degli anni ’10 del XXI secolo, un vicolo cieco cha ha condotto a una rivoluzione e a un nuovo stallo.

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