Articolo Tunisia di Zuleika Abd El Sattar

Habib Selmi (Ḥabīb al-Sālmī) nasce nel 1951 ad al-ʻAla, nei pressi della città santa di Kairouan, in Tunisia. Cresciuto in un villaggio privo di elettricità e di acqua corrente, compie gli studi secondari nel celebre Collegio Sadiki di Tunisi per poi laurearsi in Lingua e Letteratura araba all’Università di Tunisi. Per cinque anni insegna la lingua araba nei licei tunisini, quindi si trasferisce a Parigi, nel 1983, per proseguire gli studi alla Sorbona e lavorare come insegnante, scrittore e giornalista.
Come molti autori tunisini emigrati in Europa nell’ultimo scorcio del Novecento, Habib Selmi scrive in lingua araba le sue opere, tradotte in francese, in inglese, in tedesco e in italiano. L’autore ha al suo attivo due raccolte di racconti e dieci romanzi, ambientati in Tunisia o in Francia, fra i quali i più interessanti appaiono: Ğabal al- ʻAnz [1](Monte delle capre), un racconto denso e nerissimo, in cui l’autore sovrappone alla storia di un villaggio di montagna accessibile soltanto a dorso di mulo un doloroso interrogativo sul rapporto tra intellettuali e potere; Ṣūrat badawī mayyit[2] (Ritratto di un beduino morto), del 1990, che presenta come tematica centrale il senso di smarrimento e di alienazione dell’emigrato che ha lasciato la propria patria ma non si sente ancora integrato nel paese di arrivo; Ḥufar dāfi’ah[3] (Antri tiepidi), del 1999, un’opera che esplora il motivo delle vicissitudini dell’emigrato maghrebino in terra di Francia; ʻUššāq Bayya[4] (Gli innamorati di Bayya), del 2001, un romanzo sulla vecchiaia e le passioni senili; Asrār ʻAbd Allāh[5] (I segreti di ʻAbdallah) del 2006, una storia che ruota intorno alle ossessioni erotiche di un pensionato residente nelle aree rurali della Tunisia; Rawāi’ḥ Mārī Klīr [6](Gli odori di Marie Claire), del 2008, incentrato sulla storia d’amore tra un giovane tunisino e una ragazza francese; Nisa’ al-Basātīn [7](Le donne di al-Basatin), del 2010, imperniato sui temi dell’ipocrisia della società tunisina e sui rapporti uomo-donna alla vigilia della Primavera araba; Bakkārah [8] (Innocenza), del 2016, un’opera che tratta il discusso tabù della verginità nei paesi arabi. Rawāi’ḥ Mārī Klīr e Nisa’ al-Basātīn si sono classificati fra i romanzi finalisti del prestigioso Arabic Booker Prize rispettivamente nel 2009 e nel 2011.
Numerose sono le tematiche ricorrenti che attraversano i romanzi di Habib Selmi. In primo luogo, è interessante notare come le opere dell’autore siano caratterizzate dall’avvicendarsi di un’ambientazione tunisina e di una francese. Sembra quasi che Selmi si preoccupi di alternare un romanzo collocato nella capitale o nelle aree rurali della Tunisia a una vicenda situata a Parigi. Mentre le opere di ambientazione tunisina trattano per lo più i temi dell’ipocrisia sociale delle società arabe, della recente re-islamizzazione della popolazione, dell’emancipazione della donna araba e musulmana, in tutti i testi di ambientazione francese emergono le questioni dell’integrazione degli immigrati maghrebini nella società europea, del senso di smarrimento e di spaesamento di chi abbandona la patria e stenta ad abbracciare un nuovo stile di vita, dei rapporti di potere all’interno delle relazioni uomo-donna.
Nel romanzo Le donne di al-Basatin, l’autore tratteggia un nitido quadro della Tunisia corrotta e immobile alla vigilia della rivoluzione dei gelsomini, un affresco che rappresenta senza veli né orpelli l’ipocrisia della società e i suoi tabù. L’opera si presenta come una fotografia della vita quotidiana di una famiglia di ceto medio che vive nel quartiere di al-Basatin, a Tunisi. Attraverso le vicende di questo piccolo universo, soprattutto matriarcale, l’autore ci presenta le contraddizioni delle società tunisina, con particolare attenzione per i ceti medi e per quelli più umili, un mondo che appare in bilico fra le antiche tradizioni religiose e sociali e una sconvolgente, turbolenta modernità.
L’autore sviluppa la fabula narrativa seguendo la storia di tre personaggi femminili che lottano, ciascuno a proprio modo, per affermare la propria individualità e libertà, l’adesione ai canoni della tradizione o a quelli della modernità.
Tema centrale del romanzo è dunque l’ipocrisia, che pervade i comportamenti di tutti i personaggi, l’ambiguo contrasto tra la condotta dell’individuo, che può essere anche ripugnante o riprovevole purché nascosta a parenti, amici e vicinato, e l’apparenza, che deve risultare apprezzabile agli occhi della società.
La critica sociale investe tutti gli aspetti della società, focalizzando l’attenzione sull’incapacità del governo, alla vigilia della Primavera araba, di soddisfare le aspirazioni della popolazione, che sogna la libertà e il benessere, sul fenomeno della nuova islamizzazione della popolazione, che induce le donne a indossare il velo, sul conflitto tra il desiderio di emancipazione di alcune donne e il progetto di altre di un ritorno agli antichi costumi.
L’analisi della società tunisina si enuclea in primo luogo attraverso due aspetti: la denuncia dell’ambiguità e la condanna del consumismo, un risvolto che adombra quasi un senso di inadeguatezza e un desiderio di emulazione nei confronti degli europei. I due aspetti risultano connessi in modo quasi indissolubile.
In relazione al primo aspetto, la società tunisina appare, nella raffigurazione dell’autore, stretta tra una concezione tradizionale della vita e dei costumi, fortemente improntata alla morale islamica, e un’ansia di modernità volta a rinnovare i modelli di comportamento e ad adeguare lo stile di vita agli standard europei. Imprigionato in questa antinomia, bloccato tra la tradizione islamica e la fascinazione occidentale, l’individuo tunisino, uomo o donna, si trova spesso a destreggiarsi tra le due alternative, finendo per adottare una soluzione di compromesso, improntando i propri comportamenti ai canoni tradizionali in pubblico, a uno stile più disinvolto in privato. Questa opzione ipocrita cattura in primo luogo gli uomini, che esibiscono in pubblico una condotta ineccepibile, si recano ogni venerdì a pregare in moschea, si presentano come paladini del buon costume nel proprio quartiere o nel proprio condominio, per poi consumare alcolici o frequentare le prostitute in privato. La strada dell’ambiguità e dell’ipocrisia appare quasi come una scelta obbligata alla luce della recente rinascita del fervore religioso della società, che ha nuovamente valorizzato comportamenti come l’ascolto del Corano, la preghiera del venerdì nelle moschee, la decisione di indossare il velo per le donne. Queste ultime vengono a trovarsi in una situazione ancora più difficile rispetto agli uomini, giacché la scelta di indossare il velo rappresenta una sorta di primo e immediato discrimine esteriore: da un lato le donne velate, timorate di Dio, fedeli alla tradizione, e, come tali, degne di rispetto e di considerazione sociale, dall’altro le non-velate, le svergognate, le poco-di-buono, ritenute disponibili a qualunque avventura e ormai approdate sule sponde della morale occidentale.
Gli esempi di ambiguità sono innumerevoli nel romanzo: Ibrahim, il fratello che ospita nella propria casa il protagonista Tawfiq, si presenta come un convinto sostenitore della morale tradizionale, recandosi in moschea con il figlioletto di pochi anni, promuovendo l’arresto della vicina Naʻima, accusata di relazioni illecite per aver ricevuto in casa un lontano parente, pur indulgendo egli stesso agli alcolici e frequentando le prostitute in segreto. Sua moglie Yusra, che incarna il prototipo della donna rispettosa della tradizione, ha da poco deciso di indossare il velo, assumendo verso il cognato, con il quale i rapporti sono sempre stati ispirati a una cordiale familiarità, un atteggiamento rigido e distaccato. Ciononostante, a Yursa piace molto lo scamiciato trasparente che Tawfiq le ha portato in dono dalla Francia, non esita a chiedere al cognato un soprabito francese in occasione della prossima visita, ama sfoggiare il maquillage sotto il tradizionale hijab. Entrambi i coniugi, inoltre, amano le serie televisive occidentali, apprezzano immensamente i regali provenienti dalla Francia, sognano di possedere un’auto europea o un cellulare di ultima generazione.
Al motivo dell’ipocrisia si intreccia indissolubilmente, dunque, il tema del desiderio di emulazione degli europei anche attraverso il possesso e l’uso dei prodotti occidentali. Descrivendo questa passione per gli oggetti di provenienza straniera, l’autore mette a fuoco il fenomeno del consumismo, specialmente quello rivolto alle merci di origine francese, tedesca o italiana, come nuovo tratto distintivo delle società arabe. Lo stile di vita occidentale con i suoi beni di consumo, dai capi di abbigliamento ai cosmetici, dalle automobili ai telefoni cellulari alle penne stilografiche, è presentato dall’autore come il sogno assoluto, al di là delle apparenze, del tunisino medio.
Se molte donne compiono la scelta di adeguarsi a un codice di comportamento rigidamente tradizionale, ve ne sono altre che scelgono di sfidare apertamente la società, l’opinione di parenti, colleghi e vicini di casa, pur consapevoli delle gravi conseguenze che un simile atteggiamento potrebbe comportare. La vicina Naʻima, una provocante divorziata precedentemente nota nel quartiere per la sua devozione religiosa, ha compiuto una scelta opposta a quella di Yusra e si è liberata del velo, esibendo in pubblico una splendida capigliatura e un atteggiamento disinibito che pagherà ben presto con l’arresto.
La sorella di Yusra, Leila, si spinge ancora più in là sul versante dell’emancipazione: non soltanto ha gettato il velo alle ortiche, indossa abiti corti, attillati e scollati, ma non esita a sedurre Tawfiq nella speranza di indurlo a sposarla e a condurla con sé in Francia.
Yusra, Naʻima e Leila sono dunque i tre personaggi femminili intorno ai quali si dipana la trama del romanzo. Si tratta di tre donne molto diverse, che presentano tuttavia alcuni tratti comuni, giacché tutte desiderano essere considerate belle e attraenti, indipendentemente dal modello di comportamento adottato; tutte, anche Yusra, musulmana osservante, vogliono esibire capi di abbigliamento e trucco di provenienza occidentale. Sia Naʻma che Leila tentano in ogni modo di attirare l’attenzione di Tawfiq, il tunisino emigrato da decenni in Francia, con l’intento di ammaliarlo e di raggiungere, attraverso di lui, l’Europa. Questo atteggiamento della donna tunisina, che appare affascinata, quasi ossessionata dall’immagine della bellezza e della moda occidentale, potrebbe essere letto come una resistenza al comportamento conservatore e maschilista di molti uomini musulmani che vorrebbero continuare a nascondere al mondo esterno la bellezza femminile.
Mentre Yusra si accontenta dunque di un’emancipazione limitata, accettando di indossare abiti occidentali sotto l’ampio safsari tunisino e di truccarsi all’ombra del velo, ignorando le contraddizioni insite in tale atteggiamento e sforzandosi all’opposto di conciliare il moderno stile di vita consumistico con i valori della cultura islamica, Naʻima e Leila sfidano la società che le circonda adottando un abbigliamento non conforme al codice di comportamento islamico. Il rispetto, la considerazione, l’accettazione sociale, sembra osservare amaramente l’autore, passa, per quanto riguarda la donna, principalmente attraverso l’aspetto esteriore e la scelta di coprirsi i capelli.
Quella di contravvenire ai canoni tradizionali non è assolutamente una decisione di poco conto, è un’opzione che spesso presenta a chi la esercita un elevato prezzo da pagare: nell’ultimo capitolo, il lettore resta traumatizzato dal tragico destino di Naʻima, arrestata per il solo fatto di ricevere in casa un lontano parente. Secondo le norme sociali patriarcali della cultura araba, infatti, la reputazione della famiglia è legata alla condotta delle donne, la cui interazione con uomini che non siano parenti stretti è illecita nell’Islam e considerata socialmente inaccettabile. Tali norme vengono continuamente trasgredite dagli uomini, come dimostrano i comportamenti di Ibrahim e di Nagib, che si accompagnano alle prostitute ogni volta che hanno denaro a disposizione, mentre sono tassativamente inviolabili per le donne, che sono perseguitate non appena un sospetto si appunta su una di loro. Nulla prova che Naʻima, che è divorziata e il cui comportamento non è dunque lesivo dell’onore di un marito, abbia effettivamente una relazione di natura sessuale con il cugino e che tra i due non vi sia un semplice legame di parentela e di amicizia: il fatto di sorprendere l’uomo in casa della parente è sufficiente a spedire in carcere per tre anni la sventurata. Più fortunata è invece Leila, la cui avventura erotica con Tawfiq non viene scoperta. Non esiste una giustizia, riflette l’autore, è soltanto il caso a decidere chi debba andare in prigione, magari senza colpa, e chi debba cavarsela a buon mercato, come avviene per Leila.
Neppure la vita di Leila è facile. Per la donna che trasgredisce il codice di comportamento islamico, il castigo è sempre in agguato: se non arriva da parte delle istituzioni statali, come nel caso di Naʻima, può sopraggiungere da parte degli islamisti, che si spingono al punto di minacciare di morte Leila per il suo abbigliamento succinto:
«… Un giorno, camminavo per via Ibn Khaldun, e mi sono accorta di un giovane alle mie spalle. Pensavo che mi seguisse, l’ho ignorato e ho continuato a camminare. Ma poi mi ha abbordato, mi ha detto che ero vestita come una puttana, che in futuro avrei messo abiti più decenti, altrimenti mi avrebbero bruciato il viso e il petto con il vetriolo… Ti rendi conto? Vorrebbero cospargermi di acido… per sfigurarmi. Perché? Perché vado in giro con le braccia nude? Sono dei pazzi, degli assassini… Ho sentito dire che uno di loro ha scannato la propria sorella divorziata perché pensava che andasse con un uomo».
Si tratta di una società basata sulla doppia morale, una morale per gli uomini, una per le donne. Leila spiega chiaramente questo concetto a Tawfiq:
«Questo è un paese fatto per gli uomini… Le donne non possono vivere, non possono nemmeno vestirsi come vogliono. Se lo fanno, sono trattate come puttane. I tunisini sono fieri che le loro donne siano libere, che abbiano più diritti che negli altri paesi arabi… ma non ce n’è uno che le rispetti…»
Se gli uomini criticano apertamente le donne che infrangono i dettami della tradizione, per poi ammirarle e corteggiarle in privato, una condanna senza appello giunge da parte delle altre donne, specialmente di quelle che, come Yusra, hanno indossato il velo. Yusra non può tollerare l’atteggiamento della sorella Leila, teme che le chiacchiere della gente infanghino anche il suo nome:
«Tu che sei un uomo intelligente, puoi capire… Vorrei sapere cosa ne pensi. È’ accettabile che una donna di una famiglia come la nostra si comporti così? È sposata con un uomo gentile, una persona perbene. Hanno un bambino… E lei si mette abiti provocanti? L’ultima volta che l’ho vista, aveva il petto completamente scoperto… I suoi seni, sembravano le mammelle di una vacca, tremolavano al minimo movimento… E le chiappe? Parevano due cocomeri! … È possibile accettare una cosa simile? … Quando le parlo, quando le chiedo di vestirsi decentemente, risponde che lei fa quello che le pare. Mi dice che vivo fuori dal tempo, che sono completamente superata».
Come in tutte le società arabe, le donne sono i giudici più severi delle altre donne.
La critica sociale non si rivolge soltanto alla mentalità degli abitanti del quartiere piccolo- borghese di al-Basatin, ma si estende al quadro politico della Tunisia che sta per essere investita dalla Primavera araba.
II protagonista infatti si rende ben presto conto dei cambiamenti in atto nel paese e del fermento che turba l’animo dei connazionali: chiacchierando al caffè con gli amici di Ibrahim, assiste alle discussioni tra filo-occidentali e fondamentalisti; visitando la moschea del quartiere, è affrontato da un giovane fanatico, che non approva le intrusioni nella moschea dei non praticanti; è brutalmente interrogato dalla polizia, che lo ferma mentre torna da una passeggiata, e ha modo di constatare i metodi violenti degli agenti, che agiscono con arroganza e senza mostrare rispetto per i fondamentali diritti umani.
Coinvolto nel vortice della vita del quartiere, Tawfiq si rende conto, con stupore e imbarazzo sempre crescenti, di come il governo di Ben Alì non sia minimamente in grado di accogliere le istanze della popolazione, che chiede non soltanto libertà, ma anche giustizia sociale, opportunità di lavoro e di sviluppo: l’unica alternativa a una vita di povertà e di stenti, o, d’altro canto, a un’esistenza fondata sulla corruzione e la disonestà, è l’emigrazione in Europa. A una vita di squallore e di miseria, o a una vita basata sul compromesso e sul clientelismo, si preferisce l’avventura dell’emigrazione, attraverso il matrimonio con una donna europea oppure, nei casi estremi, tramite la traversata del Mediterraneo a bordo di un barcone.
È Nagib, un vecchio amico e compagno di università di Tawfiq, a illustrare a quest’ultimo, ormai abituato agli agi della vita parigina, la disperazione dei tunisini, lamentandosi della povertà del paese, dell’inadeguatezza dello stipendio, dell’incapacità del governo di risolvere i problemi della popolazione, rivelandogli infine che, se soltanto fosse più giovane, senz’altro tenterebbe l’avventura della traversata:
«In tanti vanno in Italia per mare, sui barconi, non ne hai mai sentito parlare? Farei come loro… Tenterei la fortuna. Si parla di loro solo quando la barca affonda e quelli annegano. Ma sai, molti di loro non affogano, arrivano in Italia e ci restano. Oppure vanno dove vogliono: in Francia, in Germania, in Belgio… E’ più facile, lassù. Lo dicono tutti… Non come qui, in Europa la polizia non ti arresta senza neanche chiederti i documenti, controllare la tua identità».
Ed è Bashir, il fratello maggiore di Tawfiq e Ibrahim, a spiegare invece come funzioni un sistema basato sulla corruzione e sul clientelismo:
«Paura? Paura di che? Tutti fanno così, qui. Un giorno, gli ispettori delle tasse sono venuti da me. Mi ero scordato di loro, non li vedevo da più di dieci anni… Hanno preso tutti i miei registri. Hanno esaminato tutti i conti dell’allevamento. Hanno calcolato che avrei dovuto pagare venti milioni, oltre ai soldi che avevo pagato ogni anno, ovviamente…»
Ibrahim ci fissa, gli occhi sbarrati:
«Venti milioni! … Venti milioni! …»
«Sì, venti milioni. A quell’epoca, guadagnavo un sacco di soldi con l’allevamento di polli. Non come adesso, non c’erano molti allevamenti nella zona… Ho preso il foglio che mi hanno dato, senza fiatare… E lo sai quanto ho pagato, alla fine? … Cinque milioni. Sì, cinque. E basta. La mia pratica è stata chiusa».
Ibrahim scherza: «Cosa hai fatto agli ispettori perché quei venti milioni si trasformassero in cinque? Li hai stregati?»
Bashir gonfia un poco il petto, ha l’aria molto soddisfatta di sé:
«Qualcuno è intervenuto a mio favore… Gli ordini sono venuti dall’alto».
Altro elemento ricorrente nei romanzi di Habib Selmi è il motivo della sensualità, anzi, si può affermare che l’autore utilizzi il tema della sensualità tanto al fine di gettare una nuova luce sulle relazioni tra uomini e donne quanto per offrire una nuova rappresentazione del mito della virilità dell’uomo arabo.
Attraverso il motivo della sensualità, Selmi affronta altre tematiche, come il dominio e i rapporti di forza all’interno della coppia, il potere, il fallimento personale e sociale, l’identità dell’uomo arabo e tunisino. L’autore tratta i temi della presunta virilità dell’uomo arabo e della sua fragilità nascosta, analizzando tale problematica in due contesti geograficamente e socialmente lontani solo in apparenza: da una parte, la società tunisina, dall’altra la Francia, luogo di immigrazione.
Nei romanzi ʻUššāq Bayya (Gli innamorati di Bayya) e Asrār ʻAbd Allāh (I segreti di ʻAbd Allah), l’autore ci presenta il mito della virilità araba collocandolo nella realtà tunisina. ʻUššāq Bayya narra la storia di un piccolo villaggio sperduto e di quattro anziani amici che si ritrovano ogni giorno all’ombra di un ulivo millenario, sul limitare del paese, per passare il tempo, chiacchierare e rivangare insieme il passato. La vita dei quattro anziani, che scorre tranquilla e monotona, è improvvisamente sconvolta dal ritorno in paese di Bayya, una vedova non più giovane ma provocante. I quattro amici sono turbati dalla matura bellezza della donna e, provando sensazioni dimenticate da anni, cominciano a fantasticare sul suo corpo e a sognare un’avventura amorosa con lei. Il matrimonio di Bayya con Ali, figlio di uno degli anziani, non interrompe le fantasie dei quattro uomini. Ma quando scoprono che il nuovo marito maltratta la donna, picchiandola e abusando di lei, Bayya si trasforma da oggetto di desiderio in vittima da compiangere. In questo romanzo, l’autore utilizza la rappresentazione del sesso per esplorare, da un lato, il tema della violenza domestica e dei maltrattamenti delle donne, dall’altro per dimostrare come il mito dell’uomo arabo virile, onesto, coraggioso, sia ormai tramontato. Anche attraverso il personaggio di ʻAbdallah, protagonista di Asrār ʻAbd Allāh, l’autore riprende il tema del mito della virilità dell’uomo arabo per sottolineare come una simile rappresentazione sia pienamente in crisi. ʻAbdallah è un poliziotto che, alle soglie della pensione, divorzia senza apparente motivo dalla moglie, che gli ha dato cinque figli, per sposare la giovane Khadija. L’unico piacere della ragazza, nel sonnolento paesino ai margini del deserto, è costituito dai rapporti sessuali con l’anziano marito, che si indebolisce ogni giorno di più. Quando una banda di criminali comincia a imperversare nel villaggio, rapinando e terrorizzando gli abitanti, ʻAbdallah si rende conto che i familiari attendono la sua morte per ereditare i suoi beni. L’unica scelta che gli resta è quella di rivolgersi all’ex-moglie, che abita nella casa accanto alla sua. Comincia così a spiare la vita sessuale della donna attraverso un buco praticato nella parete che separa i due appartamenti. Preda degli incubi, del delirio e di una malattia cardiaca, l’uomo muore nel suo posto di osservazione. In questo caso, l’ossessione per la vita erotica della moglie divorziata, l’intrusione nella sua intimità, diventano specchio dell’emarginazione del protagonista e del suo declino morale. Una crisi che rivela una profonda sofferenza, che non è soltanto quella di un individuo ma che investe la società intera.
Anche nei romanzi in cui la storia è situata in Francia, l’autore si concentra sulla crisi dell’uomo arabo, mescolando a questo tema i motivi del senso di sradicamento dell’esule, di una vita in bilico tra due mondi, di un’identità che non è più tunisina ma che non è ancora francese. Anche in queste opere, l’uomo arabo appare in crisi, sembra anzi soccombere nel rapporto di forza che si instaura tra i sessi. L’inferiorità maschile è percepita specialmente nelle relazioni con le donne, soprattutto con quelle europee, con una virilità che sembra ripiegarsi su un attaccamento spasmodico alle proprie radici geografiche e culturali, mentre la figura femminile è individuata come il simbolo dell’apertura a un mondo in continua evoluzione.
Selmi ci presenta, in questi romanzi di ambientazione parigina, un’immagine capovolta della tradizionale supremazia maschile. Gli uomini sono infatti rappresentati in un contesto nel quale, non riuscendo a dominare o a controllare tutti gli aspetti della propria vita, perdono autorità nei confronti delle donne.
In Ḥufar dāfi’ah, il narratore, un tunisino emigrato in Francia, rievocando la vicenda del compatriota Ḥammūda, riflette sulla perdita della dimensione erotica e sensuale dell’esistenza dell’esule, traendo la conclusione che tale mancanza equivalga a un totale fallimento, sovrapponendosi al senso di sradicamento, alla perdita dell’identità e all’assenza di una collocazione sociale precisa, tanto in patria quanto nel paese di arrivo.
Il sentimento di perdita dell’identità e il senso di spaesamento sono tratti distintivi de Gli odori di Marie Claire, un romanzo che riprende e sviluppa un tema classico della letteratura araba contemporanea, quello dei rapporti, elaborati attraverso l’immaginario culturale, tra Oriente e Occidente, analizzati dall’autore tramite la storia di una coppia formata da un uomo arabo, il tunisino Maḥfūẓ, e da una donna europea, la francese Marie Claire. Se la tematica è antica, l’approccio narrativo risulta nuovo, giacché la relazione tra i due protagonisti è raffigurata in tutta la sua complessità, dalla prima scintilla di attrazione fino alla morte del desiderio e alla fine dell’amore. Anche in quest’opera, sembra realizzarsi un capovolgimento del ruolo dominante tradizionalmente attribuito al genere maschile. All’interno della coppia, infatti, è la donna a prendere tutte le decisioni, da quella di cambiare l’arredamento della casa di Maḥfūẓ a quella di modificare gli orari di lavoro di lui, fino alla scelta delle vacanze e dell’acquisto di una moto. Due universi, quello maschile e quello femminile, si fronteggiano e si confrontano in tutte le opere di Habib Selmi, incrociandosi e separandosi spesso senza un incontro autentico.
Il tema della crisi dell’uomo arabo e tunisino, della sua perdita di autorità all’interno della coppia, è affrontato anche ne Le donne di al-Basatin. Ibrahim, fratello del protagonista, vive il rapporto di coppia nell’ambito di una famiglia tradizionale, con una moglie apparentemente sottomessa e osservante del codice morale islamico. Ma Yusra, in realtà, risulta tutt’altro che docile e disposta ad accettare la supremazia del marito; non perde occasione, anzi, per contestare le decisioni di Ibrahim, per aggredirlo verbalmente fino a suscitarne la collera, che a volte si sfoga in atti di violenza domestica, con una ripresa, seppur marginale, da parte dell’autore, della tematica dei maltrattamenti delle donne. Le provocazioni del marito, da parte di Yusra, sembrano quasi seguire un rituale preciso che si svolge in una giornata e in un orario ben determinati, la mattina della domenica. Pur sapendo di rischiare le percosse, Yusra non esita a sfidare e a provocare il marito con qualunque pretesto, dai semplici dissapori domestici alle questioni familiari più importanti. Un atteggiamento di sfida ancora più marcata si riscontra nella coppia costituita da Leila e da suo marito: anche in questo caso, è la donna a decidere lo stile di vita della famiglia, a scegliere di vestire in modo provocante pur sapendo che tale atteggiamento espone alle chiacchiere e al ridicolo il marito, un uomo dal carattere mite e tollerante.
Anche Nagib, il vecchio amico di Tawfiq, non perde occasione per lamentarsi della propria moglie, di descrivere la donna come una megera, di presentare tutte le mogli tunisine come creature perverse che non hanno altro scopo nella vita se non quello di rendere invivibile l’esistenza degli uomini. Per contro, Nagib sogna di incontrare una turista straniera e di fuggire con lei in Europa. Lo stesso protagonista Tawfiq, sposato con la francese Catherine, non esita ad ammettere che una decisione fondamentale nella sua vita familiare, quella di non avere figli, è stata imposta unilateralmente dalla moglie.
Nel romanzo è trattato ampiamente anche il motivo della fragilità morale dell’uomo arabo, celata dietro una maschera ingannevole di virtù. Sembra quasi che l’uomo tunisino reagisca alla perdita di autorità all’interno della coppia con un desiderio di rivalsa e con un atteggiamento di ricerca spasmodica del piacere.
Il protagonista Tawfiq, per esempio, dichiara di amare la propria moglie, di aver trovato con lei una vita di pace e di serenità, ma non esita, non appena arrivato nel quartiere, a gettarsi a capofitto nelle avventure che gli si presentano. Subito si lascia invischiare nel gioco di seduzione di Naʻima, si spinge a seguire la donna per le strade del rione, mentre lei gli si mostra seminuda alla finestra. La mente del personaggio è ossessionata dall’idea di un’avventura amorosa con Naʻima, protagonista perfino dei suoi sogni erotici, ma l’occasione di vivere un rapporto sessuale si concretizza con Leila, sua antica fidanzata e sorella di sua cognata Yusra. Tawfiq e Leila approfittano di un breve viaggio del marito di lei per trasformare un incontro solo apparentemente casuale in un convegno erotico breve ma intenso e appassionato.
Ibrahim sembra un marito fedele e affezionato alla moglie Yusra, ma in realtà si reca ogni sera al caffè per trascorrere le sue serate con gli amici e non esita un attimo a tradire la moglie non appena raggranella il denaro necessario al pagamento di una prostituta. Nagib è un insegnante di mezza età, deluso dal lavoro, dal grigiore della propria vita professionale e coniugale: l’unico sprazzo di luce della sua esistenza è rappresentato dagli incontri con una prostituta, oltretutto troppo cara peri il suo tenore di vita. Sembra proprio che in cima ai sogni dell’uomo tunisino si collochi l’avventura a sfondo sessuale, sia pure con una mercenaria del sesso. Il sesso è dunque presentato come uno dei tanti beni di consumo, un piacere soltanto carnale, del tutto avulso dalla dimensione dell’amore e della passione.
Il tema della sensualità è declinato, nell’opera, anche nella sfumatura del gioco della seduzione che coinvolge i personaggi maschili e femminili. La scena è occupata soprattutto dalle donne, di cui l’autore si sofferma spesso a descrivere i tratti del viso, le peculiarità e le attrattive del corpo, i capelli, gli abiti e le calzature, il trucco, addirittura le mani e i piedi. Quasi a sottolineare l’atmosfera di sottile sensualità, di velato erotismo che pervade il romanzo, la donna è spesso ritratta nell’atto di applicarsi il rossetto o di giocherellare con le ciocche dei propri capelli. Indimenticabile risulta, a questo proposito, la descrizione della chioma fluente e luminosa di Naʻima:
È la prima volta che vedo i suoi capelli. Sono lunghi e sciolti sulle spalle. Rischiarati dalla luce proveniente dal commissariato, hanno un aspetto serico, soffice, vellutato; non avrei mai pensato che fossero così belli. Indossa una veste color arancio, su cui risalta lo splendore del nero.
Così il narratore raffigura Leila, incontrandola per caso nel quartiere, mentre segue intenzionalmente Naʻima con l’intenzione di tentare un approccio galante:
Ha i capelli lunghi, sciolti sulle spalle nude, ne afferra di continuo le ciocche per giocherellarci. Nel quartiere, tutti la chiamano “la bionda”, anche se è risaputo che il biondo non sia il suo colore naturale. Si tinge regolarmente i capelli con un prodotto che viene dall’Italia: suo marito lo compra per lei da un amico, impiegato su una nave che assicura i collegamenti Tunisi- Genova.
Già nella prima apparizione del personaggio di Leila, il lettore intuisce che, tra questa donna e il protagonista, è probabile lo svilupparsi di una relazione amorosa.
Estremamente conturbante la scena in cui il protagonista sogna un convegno erotico con Naʻima, che, nell’atto di denudarsi “con la grazia di una spogliarellista” si mostra all’ultimo momento con le sembianze di Yusra, portando così alla luce il senso di colpa del protagonista per il rapporto sessuale consumato con la sorella della propria cognata:
Mi spoglio, mi avvicino a lei per abbracciarla… E, a quel punto, vedo che la donna che sta per concedermisi non è Na‘ima: è Yusra, la moglie di mio fratello Ibrahim. In fretta, mi infilo i vestiti, corro verso la porta. Na‘ima scoppia in una risata.
La sensualità permea non soltanto le descrizioni dei personaggi femminili del romanzo, ma anche quelle delle donne che il protagonista incontra per caso durante le sue passeggiate nel centro di Tunisi e che non svolgono alcun ruolo nella trama:
Di fronte a noi è seduta una signora sulla quarantina, con un uomo che sembra più giovane di lei. La donna indossa abiti alla moda, sobri, e occhiali neri. Ha i capelli corti. Il collo è lungo, ornato da una collana d’oro. L’uomo parla senza sosta. Lei lo ascolta senza rispondere, immersa nel piacere della sigaretta. Con la coda dell’occhio, osservo le sue labbra delicate che aspirano il fumo, quindi si schiudono per espellerlo.
Il gioco della seduzione, che assume rilievo fondamentale nel testo, coinvolge in primo luogo Tawfiq, che approfitta della condizione di forestiero di passaggio per intessere intrighi amorosi tanto con Naʻima quanto con Leila. Gli altri personaggi maschili, come si è visto, non si azzardano a lanciarsi in relazioni extraconiugali, si limitano alla frequentazione occasionale di prostitute.
Come in altre opere di Selmi, l’attenzione dell’autore per gli aspetti quotidiani, ordinari dell’esistenza è centrale anche in questo romanzo. Numerose sono infatti le scene situate all’interno dell’appartamento del fratello di Tawfiq, volte a rappresentare Yusra intenta nell’atto di preparare i pasti, di affettare la carne, di mondare le verdure o di fare il bagno al bambino, come pure quelle volte a raffigurare Ibrahim assorto nel seguire un programma televisivo o lo stesso protagonista mentre si dedica a uno dei suoi passatempi preferiti, quello di lavare i piatti:
Ne approfitto, inizio a lavare piatti e stoviglie accumulati nel lavello. Non lo faccio soltanto per dare una mano a Yusra, ma perché mi piace lavare i piatti. Mi piace affondare le mani nella schiuma, gradisco il contatto con l’acqua che sgorga dal rubinetto; la lascio scivolare fra le dita, è un’autentica gioia per me, come camminare sotto una pioggia fine.
Le scene di vita familiare e sociale, volte a raffigurare i riti della quotidianità, come i pasti, le visite dei parenti, le discussioni tra amici, gli incontri tra conoscenti nel quartiere, costituiscono la base del tessuto narrativo, come del resto anche le pagine in cui l’autore, attraverso la voce narrante di Tawfiq, descrive il mercato centrale, con la sua frutta, i suoi formaggi e la sua verdura, il nuovo supermercato del quartiere con i suoi scaffali traboccanti di mercanzie, l’ufficio postale, il caffè e i suoi avventori, la banca.
L’interesse per la quotidianità si manifesta anche nelle rappresentazioni delle strade della città, caratterizzate dalla descrizione minuziosa e ricca di dettagli dei vicoli, delle botteghe, dei locali pubblici come bar e ristoranti, delle facciate degli edifici, dell’abbigliamento dei passanti. Si può osservare come le descrizioni degli interni risultino altrettanto numerose di quelle dedicate agli esterni. Molte sono le scene del romanzo collocate all’interno dell’appartamento di Ibrahim e Yusra e quelle ambientate nel caffè L’Iinternational:
I clienti continuano ad affluire, nel complesso sono piuttosto giovani. Le donne sono generalmente in compagnia di un uomo, e, in maggioranza, velate. Le altre, poco numerose, dall’atteggiamento e dall’abbigliamento, lasciano capire di essere intellettuali; o forse prostitute, specialmente quelle che si permettono di fumare, che passano il tempo a guardarsi attorno, che si recano continuamente in bagno, che non smettono mai di sistemarsi i capelli, tinti di biondo o di castano.
Ogni ambiente è raffigurato con vivo realismo, in uno stile volutamente secco ed essenziale, caratterizzato dalla preferenza accordata ai periodi brevi, a una scelta lessicale semplice, a volte addirittura ripetitiva e banale; la lingua araba viene usata in modo moderno, si tratta di un arabo classico semplice, scorrevole, costruito, a volte, “all’occidentale”. Non si riscontra la presenza del dialetto tunisino, se non, qualche volta nei dialoghi tra i personaggi.
Lo stile appare volutamente stringato e moderno per meglio evidenziare la continua evoluzione e la proiezione verso il futuro della società tunisina.
[1] Ḥabīb al-Sālmī, Ğabal al- ʻAnz, Bayrūt, al-Mu’assasa al-ʻarabiyya li-l-Dirāsāt wa-l-Našr, 1988, tradotto in francese come: Habib Selmi, Le Mont-des-Chèvres, Arles, Sindbad/Actes Sud, 1999.
[2] Ḥabīb al-Sālmī, Ṣūrat badawī mayyit, Bayrūt, al-Mu’assasa al-ʻarabiyya li-l-Dirāsāt wa-l-Našr, 1990.
[3] Ḥabīb al-Sālmī, Ḥufar dāfi’ah, Bayrūt, al-Mu’assasa al-ʻarabiyya li-l-Dirāsāt wa-l-Našr, 1999, tradotto in francese come: Habib Selmi, La nuit de l’étranger, Arles, Actes Sud, 2008.
[4] Ḥabīb al-Sālmī, ʻUššāq Bayya, Bayrūt, Dār al-Ādāb, 2002, tradotto in francese come: Habib Selmi, Les amoureux de Bayya, Arles, Sindbad/Actes Sud, 2003.
[5] Ḥabīb al-Sālmī, Asrār ʻAbd Allāh, Bayrūt, Dār al-Ādāb, 2006.
[6] Ḥabīb al-Sālmī, Rawāi’ḥ Mārī Klīr, Bayrūt, Dār al-Ādāb, 2008, tradotto in francese come: Habib Selmi, Les humeurs de Marie-Claire, Arles, Actes Sud, 2011, in inglese come: The Scents of Marie-Claire, Arabia Books LTD, 2010, in italiano come: Habib Selmi, Gli odori di Marie Claire, Messina, Mesogea, 2013.
[7] Ḥabīb al-Sālmī, Nisa’ al-Basātīn, Bayrūt, Dār al-Ādāb, 2010, tradotto in francese come:Habib Semi, Souriez, vous êtes en Tunisie, Arles, Actes Sud, 2013.
[8] Ḥabīb al-Sālmī, Bakkārah, Bayrūt, Dār al-Ādāb, 2016, tradotto in francese come: Habib Selmi, La nuit de noces de Si Béchir, Arles Actes Sud, 2019.
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