Ali al-Muqri, una voce dallo Yemen

Articolo Yemen di Zuleika Abd El Sattar

L’autore e le opere

  Ali al-Muqri nasce a Taizz, Yemen del Nord, nel 1966. Dopo l’unificazione nazionale lavora come giornalista indipendente ed editore di pubblicazioni progressiste. Dal 1997 è editore di al-Hikma, organo dell’Associazione degli Scrittori Yemeniti. Dal 2007 è direttore della rivista letteraria Ghaiman. Collabora conil «New York Times»e uno dei suoi editoriali è tradotto per il quotidiano francese «Libération». È spesso ospite di festival letterari internazionali come l’Internationales Literaturfestival di Berlino. I suoi romanzi sono selezionati più volte tra le opere finaliste del prestigioso Arabic Booker Prize (IPAF).

  A causa del suo impegno a favore delle minoranze politiche, etniche e religiose, è oggetto di diverse minacce di morte da parte degli islamisti. Spinto dalla situazione politica del suo Paese in guerra, nel 2015 lascia lo Yemen per trasferirsi in Francia ed entrare alla Maison del Journalistes. Nell’esilio francese, lo scrittore continua a lavorare.

  Scrittore e poeta apprezzato nel mondo arabo, molto conosciuto anche in Occidente, i suoi romanzi, pur affrontando problematiche diverse, sono accomunati da un elemento ricorrente: la denuncia della discriminazione e dell’ingiustizia. Il suo primo romanzo, Ṭaʻm aswad, ra’iḥah sawdā’ (Sapore nero, odore nero), 2008, non tradotto in italiano, è giunto finalista all’IPAF del 2009. L’opera narra la vicenda di una giovane coppia yemenita che, costretta a fuggire dal proprio villaggio per evitare la lapidazione della ragazza, trova rifugio e accoglienza in una comunità di origine africana, quella degli Aḫdām. Si tratta dei Neri dello Yemen, discendenti degli Abissini, che vivono al di fuori delle regole della società araba e islamica e sono da questa respinti ed emarginati, formando una sorta di universo parallelo a quello yemenita.

Si tratta di un romanzo che tocca, dunque, il problema della discriminazione, non solo razziale ma anche religiosa e sociale, nonché dell’emarginazione e dell’esclusione del diverso.

  La denuncia e il rifiuto della discriminazione razziale attraversano anche le pagine del secondo romanzo di al-Muqri, Il bell’Ebreo, finalista IPAF nel 2011 (Piemme, 2012, traduzione di M. Avino, a cura di I. Camera D’Afflitto). L’opera, ambientata nel XVII secolo in un villaggio dello Yemen, racconta l’impossibile storia d’amore tra Fatima, musulmana, colta e figlia di un mufti (un giurisperito), e Salem, ebreo, analfabeta e figlio di un artigiano. All’inizio, il compito di Fatima è quello di educare Salem, impartendogli lezioni e proponendogli letture: il giovane scopre così il mondo dell’Islam, di cui apprende la lingua, le sacre scritture, le scienze. Lo studio, per Salem, è anche l’occasione per innamorarsi perdutamente della ragazza, ricambiato. Ma questo amore è considerato aberrante tanto dalla comunità musulmana quanto da quella ebraica. Infinite sono le difficoltà che la coppia deve affrontare. L’unica soluzione è la fuga dal villaggio e il trasferimento in una città lontana, dove i due giovani cominciano la loro vita comune. La storia di un amore contrastato per motivi religiosi è ambientata nel passato, ma ci riporta a una realtà tragica e inammissibile, purtroppo rimasta attualissima nel presente.

  Il romanzo Buḫūr ʻadanī (L’incenso di Aden), pubblicato nel 2014, non tradotto in italiano, è ambientato nella città di Aden durante l’occupazione britannica, ed è ispirato alla storia sociale e politica della città, comunemente nota per la sua tolleranza religiosa e multietnicità, oltre che per la sua natura cosmopolita. Nell’opera, l’autore racconta il viaggio di un soldato francese, giunto nel porto di Aden durante la seconda guerra mondiale. Il protagonista decide di imparare la lingua araba e di introdursi nella vita politica yemenita, un ambiente tollerante in cui, però, ben presto esplode un conflitto che trasforma la città, da paradiso cosmopolita in un luogo di miseria umana.  

  L’ultimo romanzo è Bilād al-qā’id (Il paese del comandante), 2019, ambientato in un Paese arabo immaginario dominato da un tiranno, tradotto in francese con il titolo Le pays du Commandeur (Levi, 2020).

 Donna proibita

  Il titolo arabo del romanzo è Ḥurmah, letteralmente “santità”. Il termine rimanda al concetto di una donna che deve essere difesa, protetta dal disonore e dal discredito tramite un tutore di sesso maschile, padre, fratello o, più spesso, marito. Il termine implica lo stato di soggezione della donna, la sua mancanza di libero arbitrio. Si tratta di una donna “proibita”, nel senso che anche atti come guardarla, toccarla, pensare a lei, perfino impartirle un’istruzione, sono considerati peccaminosi.

Si tratta, dunque, di un romanzo sociologico e psicologico imperniato sul tema della condizione femminile e della discriminazione di genere nella società yemenita. Un mondo, ancora segnato dalla separazione della compagine maschile da quella femminile, in cui spesso la donna ha soltanto la scelta tra la sottomissione, rischiando di trasformarsi in un fantasma recluso fra le mura domestiche, e la trasgressione, per la quale pagherà il prezzo dell’esclusione dalla società civile.

Leggendo le pagine del romanzo, il lettore capisce subito che la condizione di soggezione, in cui la donna yemenita si trova a vivere, è già evidenziata dal suo abbigliamento: come le vicine saudite, le yemenite indossano il baltu, una lunga tunica nera che le ricopre dal capo ai piedi. Oltre al khimar, un fitto velo che nasconde i capelli, sul viso appaiono il niqab, velo che cela la parte inferiore del volto, e la lathma, altro velo trasparente che dissimula gli occhi. In tutte le situazioni della vita, la donna deve chiedere il permesso al suo tutore legale per compiere qualsiasi azione: iscriversi all’università, scrivere un libro, accettare un lavoro. Non può uscire di casa senza il tutore, un parente di sesso maschile incaricato di vigilare sul suo onore.

  In primo piano è trattata dunque la questione femminile: le donne yemenite delle nuove generazioni sono istruite, sempre più consapevoli dei propri diritti e ansiose di conquistarli, mentre gli uomini sono ancora legati, in gran parte, alla concezione tradizionale della famiglia araba, forti dell’appoggio e della solidarietà delle generazioni più anziane. Una divergenza da cui scaturisce uno scontro duro, spesso destinato a sfociare nell’incomprensione tra i sessi.  

Come sarà allora la vita sentimentale ed erotica della donnayemenita in un simile contesto? E’ proprio questo il tema centrale del romanzo, affrontato e sviscerato senza tabù: le protagoniste, due giovani sorelle, percorrono strade diverse, ma entrambe non solo non trovano l’amore e la felicità, ma vanno incontro a un destino fatale. Lula, la sorella maggiore, sceglie la via della trasgressione, infrange le rigide regole della società islamica, inseguendo il piacere e il sogno di una vita libera e disinibita, arrivando perfino alla prostituzione per aiutare la famiglia. La sorella minore, protagonista senza nome, più legata alla concezione tradizionale e ai valori religiosi, aspetta invece il matrimonio per realizzarsi come donna: si sposerà due volte, si procurerà un amante, ma non troverà mai l’amore né l’appagamento dei sensi. Entrambe le sorelle vedranno svanire i propri sogni e andranno incontro alla rovina.

  A differenza dei precedenti romanzi di al-Muqri che sono stati selezionati per l’IPAF, questo romanzo del 2011 affianca alla problematica della discriminazione di genere la tematica del sesso. La protagonista senza nome, insieme alla sorella maggiore, sogna, fin dall’adolescenza, di sperimentare avventure erotiche. Balza subito agli occhi come, nell’opera, la pulsione sessuale non sia subordinata a qualche altro desiderio, né celata in qualche modo. Il sesso, non l’amore, sembra essere l’unico obiettivo da raggiungere nella vita della protagonista. È la ragion d’essere e l’ossessione del personaggio, dall’adolescenza all’età adulta: dai “video culturali”, veri e propri film pornografici, che guarda da ragazzina, all’ascolto delle avventure della sorella, una professionista del sesso, alla frustrazione per l’impotenza del primo e del secondo marito, fino al desiderio di essere stuprata dai soldati nel corso della fuga dall’Afghanistan, bombardato dalla coalizione a guida americana, nel 2001.

  Troppo spesso si afferma che i tre tabù della narrativa araba siano il sesso, la religione e la politica. In una recente intervista, la scrittrice libanese Najwa Barakat ha giustamente spazzato via l’idea che si tratti di tabù letterari inviolabili e inossidabili. La dimostrazione di ciò sta proprio in Donna proibita, un’opera che, ruotando intorno ai turbamenti erotici della protagonista, rende evidente come il divieto di trattare argomenti legati alla sfera sessuale sia stato ampiamente superato.

  La società yemenita è descritta dall’autore come estremamente ipocrita: da un lato, dominata dai divieti di carattere religioso, dall’altra, ossessionata dal sesso, inteso come una sorta di fissazione collettiva, che emerge dalle situazioni più disparate, spesso ai limiti del grottesco: le bambine che, a scuola, si scambiano cassette pornografiche; il professore universitario che, tenendo una lezione sul tema della sessualità nell’Islam, coglie l’occasione per masturbarsi davanti a una telecamera, sotto gli sguardi attoniti delle sue studentesse; la sorella della protagonista che, in assenza dei genitori, si porta in casa un amante travestito da donna; la verginità che, una volta perduta, può essere ricostruita chirurgicamente.

  Quando le regole morali e sociali sono eccessivamente severe e rigide, al punto di soffocare gli impulsi naturali dell’individuo, è inevitabile che siano infrante, violate prima nella fantasia, poi nella realtà, in ogni occasione favorevole. È questo il messaggio che sembra voler trasmettere l’autore, descrivendo una realtà sociale estremamente contraddittoria, in cui donne e ragazze coperte da fitti veli da capo a piedi non sognano altro che vivere avventure erotiche ai limiti del verosimile, e uomini, apparentemente timorati di Dio, cercano in tutti i modi opportunità di trasgredire le norme cui s’ispira la morale islamica.

  Se, da un lato, l’ossessione sessuale è presentata come una condizione collettiva, frutto della repressione religiosa e sociale, dall’altro è raffigurata come una difficoltà soprattutto femminile. L’uomo è, infatti, molto più libero della donna, molto meno esposto alla condanna della società. Il tema della sessualità viene così a intersecare quello della condizione femminile in Paesi come lo Yemen: la hurma, la donna assoggettata all’autorità maschile, è una donna proibita essenzialmente a se stessa che, isolata, o meglio claustrata fra le mura domestiche, o rinchiusa nella prigione di un matrimonio infelice, non può accedere a certe esperienze se non ricorrendo al proprio immaginario.     

  Come a sottolineare gli stati d’animo della protagonista, nel testo appaiono continuamente i versi della canzone Salou qalbi (Interrogate il mio cuore), interpretata dalla notissima cantante egiziana Umm Kalthum. All’inizio di ogni capitolo, infatti, la protagonista del romanzo riavvolge la cassetta per ascoltarla di nuovo. Le parole della canzone sono tratte da una poesia del celebre poeta egiziano Ahmad Shaawqi, noto come il Principe dei poeti, che la compose nel 1914 per commemorare la nascita del Profeta Muhammad. La canzone, messa in musica nel 1946 dal compositore egiziano Ryiad al-Sunbati, oltre a contenere un elogio del Profeta, include due versi destinati, negli anni successivi, a essere molto apprezzati dall’Egitto nazionalista di Nasser:

Le ambizioni contano più delle speranze

I frutti si acquistano soltanto con la lotta.

  Il lettore può forse stupirsi del fatto che non si tratti di una canzone d’amore, come molte canzoni di Umm Kalthum, ma di un componimento di carattere politico-religioso. La passione per questa canzone, i cui versi sono ripetuti ossessivamente dall’inizio alla fine dell’opera, può essere forse spiegata con la contraddizione che, indubbiamente, lacera l’animo del personaggio: da un lato, infatti, la protagonista sogna il sesso in ogni momento della sua vita, dall’altro, è una fervida credente che aspira al martirio durante il jihad per la causa di Dio. La canzone, che, pur cominciando con un’invocazione della bellezza, contiene spunti di carattere storico, politico e religioso, ben si presta a esemplificare gli umori e la condizione psicologica della protagonista.

 Se il sesso, con le frustrazioni sessuali dei vari personaggi, costituisce indubbiamente il tema centrale dell’opera, il romanzo tratta anche altre problematiche che meritano di essere approfondite.       Prima fra tutte, quella della partecipazione al jihad di alcuni personaggi. La protagonista, infatti, parte con il primo marito per andare a combattere in Afghanistan, mentre suo fratello sceglie, nello stesso periodo, la destinazione della Cecenia.

 Diversi scrittori arabi hanno cercato, nell’ultimo ventennio, di rappresentare la figura del jihadista nelle loro opere letterarie, spesso dipingendola come simbolo della crisi dell’individuo arabo, una crisi letta come il risultato di una politica di repressione e di censura, basata sulla soppressione delle più elementari libertà civili. Spesso, i protagonisti di tali opere sono giovani, uomini e donne, che provengono da ambienti sociali oppressivi e soffocanti, da cui il jihad rappresenta, forse, la sola possibilità di evasione.  Basti pensare ad alcuni romanzi recenti, come, fra i tanti, Il grande salto, del marocchino Mahi Binebine, in cui il futuro jihadista proviene da un degradato quartiere di Casablanca, o Fuori da Gaza, dell’anglo-palestinese Selma Dabbagh, ambientato nella prigione a cielo aperto della Striscia di Gaza, o Palazzo Yacubian, dell’egiziano Alaa al Aswani, in cui il sogno nazionalista è sostituito dall’islamismo radicale. Sogni infranti e ambiente claustrofobico: queste sembrano essere le condizioni che spingono un giovane a diventare un mujahid pronto a una missione sucida, condizioni ben esplicitate in questo romanzo.

  Interessante notare come Donna proibita sia uno dei pochissimi testi letterari in cui sono presenti figure di donne che hanno scelto, più o meno liberamente, di dedicarsi al jihad.  La protagonista è indotta a partire per l’Afghanistan dal marito, Abu ʻAbdallah. Molto interessanti risultano i capitoli volti a descrivere il viaggio dei personaggi, articolato in varie tappe, dall’Arabia Saudita all’Egitto, dal Sudan al Pakistan, e quelli incentrati sulle condizioni di vita dei mujahidin in Afghanistan. La partenza è preceduta da un periodo di addestramento, che la protagonista compie nella casa di una misteriosa Shaykha, una donna potente, moglie di un “emiro” jihadista, che mantiene sempre il volto coperto. L’episodio focalizza l’attenzione del lettore sui sistemi di persuasione e indottrinamento, usati da personaggi quanto meno ambigui, per annullare la volontà e cancellare il senso critico dei giovani insoddisfatti e sprovveduti che capitano nelle loro grinfie. Lo stesso destino di jihadista incombe su ʻAbd al-Raqib, il fratello della protagonista, che, da acceso sostenitore del marxismo e dell’ateismo, si trasforma in fanatico islamista, per poi disconoscere nuovamente le proprie scelte, al momento di tornare dalla guerra in Cecenia.

  Durante la missione in Afghanistan, si verifica un altro episodio degno di nota: il marito della protagonista prende una seconda moglie, sposando una giovane indiana da poco convertita all’Islam. L’elemento della poligamia, della gelosia della prima moglie nei confronti della seconda, è un topos della letteratura araba contemporanea, anche se occorre precisare che la realtà della poligamia è sempre meno diffusa nel mondo arabo. La protagonista senza nome non è innamorata del marito, ma la vista della seconda moglie le provoca un’acuta crisi di gelosia. In realtà, le due donne servono soltanto come vettori di oro, armi ed esplosivi per i jihadisti in Afghanistan.

  Leggendo il romanzo, non si può fare a meno di osservare come tutti i personaggi maschili che entrano in contatto con la protagonista siano dipinti a tinte fosche dall’autore: in primo luogo il fratello, un uomo estremamente superficiale, che passa da posizioni marxiste alla militanza in un’organizzazione jihadista, per poi dedicarsi a una tranquilla vita di uomo d’affari; in secondo luogo, il primo marito, islamista convinto, un uomo freddo e impotente; quindi, il secondo marito, anch’egli impotente ed egoista; infine, l’amante, completamente indifferente alla sorte della protagonista. Anche il mondo dei personaggi femminili, in realtà, non offre spunti di ottimismo. L’immagine dello Yemen che scaturisce dal romanzo è quella di un mondo cupo, privo di speranza, oppresso da norme religiose e sociali pesantissime, in cui l’unica possibilità di vita è rappresentata dalla fuga all’estero, magari per compiere il jihad per la causa di Dio.

Il romanzo presenta comunque il grande pregio di mostrare un ampio spaccato della società yemenita, di cui ripercorre anche la storia recente.  .

Il lettore è trasportato in un mondo al tempo stesso antichissimo e moderno, fatto di donne che reclamano i loro diritti ma anche di terrorismo e di paura, di voglia di modernità da un lato e di repressione dall’altro.

  Lo stile è piano e scorrevole, la lingua è un arabo classico con pochissime concessioni al dialetto yemenita. Il lessico è ricercato, denota una continua scelta di sinonimi da parte dell’autore nonché lo sforzo di ottenere una scrittura piana e gradevole ma al tempo stesso raffinata e moderna.

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