Articolo Arabia Saudita di Federica Pistono
Raja Alem
Nel romanzo Fatma, Raja Alem si serve tanto di uno stile realistico quanto del realismo magico per creare un’opera al servizio del progetto femminista di critica alle consuetudini e alle pratiche maschiliste e patriarcali della società saudita contemporanea.
Raja Alem è presentata dalla critica araba e internazionale come una dei principali scrittori sauditi di narrativa fantastica, ed è proprio il romanzo Fatma che ha creato in gran parte la sua specifica reputazione di autrice del realismo magico. Il favoloso e il reale convergono nell’opera per creare un universo misterioso in cui si uniscono tempi e spazi diversi per mettere in discussione le convinzioni e gli usi della società saudita contemporanea su genere, ideologia di genere e questione femminile, tema centrale nella fiction saudita contemporanea, dando voce al personaggio femminile emarginato raffigurato nella protagonista Fatma. Quando Raja Alem è apparsa sulla scena letteraria saudita, pochi avrebbero predetto che sarebbe divenuta, in meno di due decenni, una dei principali autori sauditi contemporanei. Sia i lettori arabi sia i critici del mondo arabo, quando le sue opere erano pubblicate solo in arabo, definivano il suo stile complicato, distaccato e talvolta incomprensibile. Tuttavia, la Alem è diventata ben presto una scrittrice di spicco in patria e in tutto il mondo arabo. Come molti altri scrittori sauditi, da ʿAbd al-Rahman Munif ad Abdo Khal e a Yousef Al-Mohaimeed, che dall’inizio degli anni ’80 hanno cominciato a sperimentare nuove forme letterarie, anche la Alem ha cercato nuove modalità di scrittura letteraria attraverso le quali esprimere la sua ansia e la sua frustrazione riguardo alle questioni culturali più pressanti in Arabia Saudita, in particolare quelle relative allo status delle donne nella società. Cercando di trovare una modalità di scrittura appropriata per descrivere la realtà delle donne saudite, Raja Alem ha adottato alcune ben identificabili tecniche narrative e strategie associate al realismo magico, come è avvenuto, in origine, in America Latina con scrittori come Gabriel García Márquez e Isabel Allende.
Come molte scrittrici che hanno fatto ricorso al realismo magico come modalità narrativa per destabilizzare il consenso sull’assetto patriarcale e maschilista nelle proprie società e per far rispettare le proprie prospettive femministe, anche Raja Alem ha abbracciato questa modalità di scrittura per focalizzare l’attenzione sulla questione femminile nel suo Paese. In effetti, come molti scrittori legati al realismo magico, per esempio García Márquez che trovava la narrativa realistica convenzionale “poco soddisfacente”, la Alem si appropria del realismo magico come mezzo adatto a squarciare il velo che nasconde la verità. Così, l’utilizzo del realismo magico serve alla Alem per rivendicare l’identità persa, e/o sommersa, della donna nella società, offrendo alle donne saudite quella voce sociale e psicologica che è stata loro negata. Raja Alem intende creare un testo in cui possa rovesciare la prospettiva, capovolgere la realtà come la conosciamo, creando inaspettati o improbabili elementi destinati a essere percepiti in modo semplice, pragmatico, non come qualcosa di misterioso o di sconcertante come accade per esempio nei romanzi fantasy. La narrativa impregnata di realismo magico si appropria dunque di elementi magici e li introduce in contesti puramente realistici non per duplicare la realtà esistente, così come viene percepita dalla cultura dominante, ma per creare una realtà alternativa. Questa realtà alternativa può essere definita come una “ontologia duale”, un mondo in cui “il normale e il quotidiano “e” il paranormale o il sovrannaturale” si incontrano in un “confine conteso” che potrebbe non essere presente per i personaggi all’interno della narrazione ma che certamente esiste per il lettore.
Il riconoscimento di questo potere della scrittura del realismo magico conduce direttamente alla formulazione del concetto di “femminismo magico”, un modo di scrivere usato dalle autrici per sovvertire e contrastare le ideologie oppressive usate contro le donne nelle culture fallocentriche.
Secondo Faris “le opere di autrici come Isabel Allende, Toni Morrison, Laura Esquivel, hanno usato il realismo magico nei romanzi incentrati sulla esperienza delle donne e sui problemi delle donne, anche se non c’era nessuna ideologia femminista definibile che li unisse “.
L’espressione “femminismo magico” è stata, inizialmente, coniata da Patricia Hart, che, in un libro sulle opere di Isabel Allende, lo definisce come “realismo magico impiegato in un lavoro feminocentrico”. La stessa definizione è stata utilizzata da Kimberley Ann Wells , che si riferisce al femminismo magico come a una pratica di scrittura che risponde a particolari questioni femministe con lo scopo di sovvertire un’egemonia patriarcale monolitica. Allo stesso modo, Jane Ricci-Adams definisce il femminismo magico come “un ibrido di realismo magico e femminismo che opera all’interno di una più ampia forma di femminismo”.
Possedendo elementi di realismo magico, l’approccio femminista magico è una “modalità di espressione che fornisce il terreno letterario per un significativo lavoro culturale “verso” il disincanto della cultura patriarcale da se stessa,” con l’obiettivo di liberare la cultura prevalente dalle incrostazioni patriarcali ormai sedimentate da secoli. Il femminismo magico, come il realismo magico, ricorre a una forma “magica” onnicomprensiva basata sulla coesistenza di visioni ontologiche del mondo che potrebbero essere percepite come antitetiche: il reale e il razionale con lo spirituale e eventi magici e soprannaturali con eventi quotidiani. Il femminismo magico cerca di mettere in discussione la gerarchia patriarcale imposta dall’ideologia culturale dominata dagli uomini e di creare un discorso sulla condizione femminile alternativo al modo di rappresentazione realista associato ai rapporti patriarcali di potere, dimostrandone l’inadeguatezza e mostrandone pienamente le contraddizioni intrinseche. L’approccio del femminismo magico si mostra chiaramente nell’opera della Alem, Fatma: come La casa degli spiriti di Isabel Allende (1982) e Dolce come il cioccolato (1989) di Laura Esquivel , Fatma può essere considerato un romanzo di critica apertamente femminista che utilizza il realismo magico come modalità di sovversione, basata sulla coesistenza di elementi magici e reali nella trama, in una sfida alla società patriarcale, con la finalità aperta di dare voce alle donne che cercano di liberarsi dalle restrizioni sociali e di superare la discriminazione di genere nell’educazione, nei rapporti economici, nel matrimonio e nelle relazioni interpersonali.
L’interesse della Alem per la poetica magica femminista scaturisce dalla sua difesa delle stesse questioni femministe che preoccupano molte scrittrici saudite, come Badriyya al-Bishr, che tentano di ridefinire i modelli opprimenti della loro vita.
Il romanzo può essere letto semplicemente a livello realistico, come la storia di una donna maltrattata dal marito e scacciata di casa dopo vent’anni di matrimonio senza amore. Tuttavia, accanto alla storia di infelicità coniugale narrata secondo i canoni del realismo, si fa strada costantemente un’altra modalità di narrare una realtà magicamente percepita: leggiamo così un’opera colorata dagli elementi del favoloso, del fantastico e del mitologico, sottolineando così l’opposizione binaria tra realtà e finzione, materia e spirito, maschio e femmina.
La nuova lettura del mito del serpente nella cultura araba antica e moderna, è utilizzata in un approccio storico-culturale per esplorare la rappresentazione di Fatma come incarnazione dell’immagine mitica della “donna-serpente”, per scoprire come questa immagine si sia sviluppata e trasformata dall’Arabia pre-islamica ai tempi moderni.
Il romanzo inizia con una narrazione improntata ai canoni del realismo, raccontando la vita di tutti i giorni di Fatma, una giovane contadina araba che vive in un villaggio rurale presso La Mecca, rimasta, dopo la morte della madre, affidata alle cure del padre Mansur. Questi costringe la figlia a sposare l’ambiguo Sajir, un uomo analfabeta, crudele e sadico, incantatore di serpenti e commerciante di veleni, vedovo.
Il matrimonio si rivela profondamente infelice: rinchiusa in casa dal marito, Fatma, incapace di tollerare la sua situazione, si isola dal mondo e passa la maggior parte del tempo a ricamare la sua ʿabaya di seta nera, il suo bene più prezioso, ereditato dalla nonna Shumla, la “Regina di Longevità”.
Come la moglie di Barbablù, Fatma vive reclusa nella sua piccola casa di due stanze: una contiene solo un vecchio letto e l’altra è perennemente chiusa a chiave perché il marito le ha proibito di entrarvi. Fatma diventa così una donna in gabbia, un oggetto decorativo isolato dal mondo esterno, riservato ai piaceri del marito, un bruto la cui precedente moglie è morta in circostanze misteriose.
La giovane soffre molto, avendo lungamente sognato l’amore e un matrimonio basato su un sentimento autentico.
Per sconfiggere il terribile senso di noia, di solitudine e di sconfitta, Fatma decide di opporsi in tutti modi alla sua condizione. Non può sopportare il ruolo cui l’ha ridotta Sajir. Rendendosi conto che qualcosa non ha funzionato nella sua vita, sente la ribellione crescere dentro di sé. Passa apertamente ma inaspettatamente dalla sottomissione alla ribellione cercando di scoprire il mistero che avvolge la vita del marito, la bizzarra passione per i serpenti, la sua attività di allevatore e di mercante di veleni e soprattutto la morte oscura della sua precedente moglie.
Decide così di disobbedirgli e di aprire vaso di Pandora che è la stanza chiusa a chiave nella loro casa, in cui l’uomo le ha proibito di entrare. A questo punto, il romanzo si allontana dal piano realistico di una storia di vita coniugale frustrata, psicologicamente paralizzante e insoddisfacente, per entrare nella dimensione del fantastico, del viaggio soprannaturale o per diventare, come osserva Myriam Cooke, “una storia alternativa di magia e potere “. Fatma inizia a subire cioè “una strana metamorfosi che rivela una bizzarra fusione di vari elementi: animali e umani, fisici e spirituali, naturali e soprannaturali, in un inquietante connubio di vita e morte”. La trasformazione si verifica quando “sette notti dopo la sera in cui Fatma è entrata per la prima volta nella stanza, un Grande Serpente Nero Cornuto fugge dalla sua gabbia, scivola nel letto accanto a lei e, muovendosi come Satana sulla sua pelle, morde Fatma”, trasferendo in tal modo le sue caratteristiche a lei.
Il veleno è mortale e così, in attesa del decesso, il padre e il marito di Fatma le preparano il funerale. Incredibilmente, però, la ragazza prova un piacere delirante quando avverte il morso del serpente.
Il morso del serpente la trasferisce in un altro mondo in cui si muove in uno spazio tra il regno magico dei demoni e la realtà della casa del marito. Il corpo di Fatma inizia quindi ad assumere poteri straordinari, mentre la giovane viene trasformata in una figura che sembra uscita da un romanzo di Marquez, una “donna serpente” che assume attributi soprannaturali che trascendono le sue condizioni oggettive in un mondo che la sottovaluta e la opprime. Il corpo di Fatma comincia a cambiare. Ora è in grado di rilevare il calore di qualsiasi corpo in avvicinamento, riesce a vedere nel buio. Si siede immobile in casa localizzando ogni oggetto, finché alla fine raggiunge uno stato in cui diventa in grado di passare attraverso i muri e di percorrere grandi distanze. Inutile dire che è anche in grado di identificare tutti i serpenti presenti nella vasta collezione del marito. In breve, diventa la “regina” dei serpenti, che ubbidiscono soltanto a lei, mentre Sajir ha perduto ogni potere sui rettili. La fonte dei misteriosi sintomi che il corpo di Fatma ha mostrato con il morso del serpente ora diventa palese. I cambiamenti costituiscono la sua nuova realtà, rappresentata dalla sua crescente passione per i serpenti, che le conferiscono anche una funzione di guaritrice che le consente di uscire dalla sua emarginazione. La metamorfosi di Fatma le permette ora di agire in modi che in precedenza erano impensabili, trasformando la sua casa in un luogo di indipendenza emotiva e di crescita psichica. Fatma inizia ad assumere un’autonomia psicologica e spirituale che le consenta di sfidare le definizioni stereotipate di una donna oppressa emarginata dalla sua comunità. Attraverso la guida di Nur, un demone serpentino per metà leone e per metà umano, disegnato su un’urna di ottone con l’aspetto di un serpente con la testa di leone, trova il coraggio di affrontare gli angoli più oscuri e segreti della sua mente e di indagare la sua identità socialmente circoscritta. Il suo nuovo interesse per la lettura aumenta il suo senso di autonomia incoraggiando la sua crescente capacità di espressione. L’emancipazione di Fatma dipende in modo importante da Nur, che sembra essere un serpente maschio, facilmente leggibile come fallico e per estensione maschile.
Come risultato della sua trasformazione, Fatma è non solo è in grado di confondere le aspettative di Sajir ma è lei, ironicamente, che assume il ruolo del marito nel prendersi cura dei serpenti, estraendo il loro veleno. In questo modo, la Alem attacca la struttura patriarcale che nega alle donne il controllo sul proprio corpo. Al crescente senso di potere e di progresso verso la realizzazione di Fatma, si contrappone lo svilimento del ruolo di Sajir e la sua incertezza sulla sua capacità di mantenere il controllo sulla moglie.
Per Sajir, la condizione di Fatma è una causa di “rabbia cieca” e richiede azione immediata. Cerca così di affogare Fatma in una bara colma d’acqua, un trattamento che implica un ovvio ricorso all’elemento magico; essendo consigliato da un amico, il trattamento rappresenta anche la voce dell’autorità sociale maschile. Ma Sajir è sconfitto e si infuria nel vedere che il corpo di sua moglie rifiuta questa forma di trattamento, fluttuando nell’acqua senza annegare. Il reale e l’irreale sono ancora una volta contrapposti e fusi.
Fatma intraprende un misterioso viaggio a Najran, nel sud-ovest della penisola arabica, guidata ancora da Nur, che la aiuta a scoprire la gente del posto e i rituali di questa città. Attraverso il suo lungo viaggio iniziatico, Fatma acquisisce la conoscenza, vendicandosi della violenza spietata del marito. Durante il suo viaggio, Fatma incontra il principe Taray, un malinconico eroe guerriero. Il suo incontro con Taray le permette per esplorare un altro aspetto sconosciuto della sua personalità, il risveglio alla sensualità del suo corpo e il superamento della sua riservatezza femminile.
Il romanzo ripropone nuovamente la struttura binaria anche nelle due parti in cui è suddiviso: la prima parte è ambientata alla Mecca, nella piccola e soffocante casa di Fatma, e rappresenta la fase della vita in cui la protagonista è dapprima oppressa, quindi comincia ad appropriarsi della propria vita e libertà, elementi che saranno pienamente goduti duranti il viaggio a Najran, in cui è collocata la seconda parte dell’opera. Il viaggio e il soggiorno a Najran sono caratterizzati da ampi spazi aperti, dalla visione di nuovi panorami, dall’attraversamento del deserto, dall’incontro con l’amore e la sessualità. Seppur binaria, realistica e magica, soffocante e liberatoria, la scrittura è anche circolare, perché la storia si conclude con il ritorno a casa di Fatma, in un finale forte, drammatico e incredibilmente femminista per una scrittrice saudita.
Rispondi