
Recensione di Antonino d’Esposito
“Una fitta pioggia cadeva nella notte di Baghdad. Mia moglie, dalla finestra, osservava il giardino inondato d’acqua. La lanterna ad olio diffondeva un barlume di luce nella stanza; intorno a noi, gli oggetti sembravano fantasmi che ci prendevano in giro. Mia moglie, con i capelli brizzolati e scompigliati, tornò a sedersi accanto a me sul divano. Mi parlò del maledetto topo che era comparso, da una settimana, nella mia ricca libreria. Ma a quell’ora nulla distoglieva il mio pensiero dall’appuntamento che avrei avuto l’indomani; l’appuntamento della grande scoperta.
– Domani comprerò l’arsenico, dissi a mia moglie.
Di notte il pensiero si fa infinito e la mente viaggia lontano. Pensavo al passato del mio paese e rivedevo gli eventi che l’avevano colpito; erano scaturiti dalla mano degli uomini del paese stesso. Nella memoria conservavo ancora i loro visi e i loro tratti che non mi avevano mai abbandonato, nemmeno nel sonno. Con l’approssimarsi dell’alba il pensiero mi riportò alla notte della nascita della repubblica irachena.”
Che fine avrà fatto Baghdad? Perché i personaggi che popolano questo romanzo, pur essendovi nati e cresciuti, non la riconoscono più? Che cosa è accaduto alla Bayt al-hikma, la casa della saggezza, che dalla Mesopotamia irradiava sapere mentre l’Europa sprofondava nel Medioevo?
Un sessantacinquenne è il protagonista di questo romanzo, una sorta di antieroe. Si accenna brevemente al suo passato da comunista e poi da baathista negli anni ’70. Un uomo camaleontico, che segue le mode politiche del momento, tant’è che nell’ultimo decennio del secolo si avvicina all’islamismo per diventare, infine, un assassino all’indomani della caduta del regime di Saddam Hussein, 2003.
Tra il 2006 e il 2007, al culmine della guerra civile, Dheya al-Khalidi fa scorrere le sue pagine mentre osserva la vita degli abitanti di Baghdad e la spaccatura sociale dei quartieri che si dividono in base all’appartenenza settaria. Dunque, il tema principale del romanzo è la violenza e le sue radici nella storia dell’Iraq moderno. In questo contesto, il protagonista ha dei motivi che giustificano, dal suo punto di vista, l’assassinio di uomini “malvagi”. Entra a far parte di un gruppo di assassini, tornati in patria dall’esilio dopo il 2003, e che fingono di salvare il paese, ma in realtà fanno soltanto i loro interessi. Illuso e sconfitto ancora una volta dalla realtà irachena, senza figli, e con una donna sterile, il protagonista diventa lui stesso vittima. Inseguito da suoi vecchi amici, fugge in un altro quartiere, si nasconde da un amico per poi scappare alla volta di Kirkuk dove al-Khalidi regala al lettore una scena finale che sembra fatta per il cinema.
Illuminanti sono poi le parole introduttive di Ahmed Saadawi, uno dei romanzieri arabi ed iracheni più conosciuti degli ultimi anni: “Sembra quasi Baghdad, di Dheya al-Khalidi, è uno dei romanzi iracheni più riusciti, pubblicati negli ultimi quindici anni. A partire dal 2012, anno della prima edizione araba, continua ad essere letto, apprezzato ed elogiato da numerosi critici e lettori. Con un linguaggio realistico e tagliente, questo romanzo, tutto sommato breve, racconta i particolari della vita quotidiana a Baghdad tra abitudini alimentari, descrizioni di quartieri popolari e battaglie di idee politiche. Ci narra del peso della memoria e le tenebre del presente, ma prima ancora del problema della vendetta e delle rappresaglie, la liquidazione di chi si oppone, la corruzione delle ideologie; elementi, questi, che sviliscono il valore dell’essere umano in favore di un obiettivo politico e, al contempo, fanno immediatamente apparire la politica come un’operazione criminale. E forse è proprio questo quello che al-Khalidi ha voluto trasferire nel suo romanzo, il concetto che la condotta criminale e quella politica viaggiano di pari passo nella storia moderna dell’Iraq. La storia di Emad, eroe e personaggio principale, è l’esempio perfetto delle vicende di un’intera generazione politica irachena in cui l’islamista, il comunista e il nazionalista si somigliano. Poi, l’intolleranza, l’isolamento, la mancanza i rispetto nei confronti della diversità hanno condotto prima alla rovina, che ha permesso alle forze americane di occupazione di entrare in campo, e dopo al baratro della guerra civile.
Posso tranquillamente affermare che Sembra quasi Baghdad è un romanzo distopico, con un pizzico di horror, scritto egregiamente da uno scrittore che con una profonda sensibilità conosce tutte le sfumature della realtà irachena di oggi.”
Titolo: Sembra quasi Baghdad
Autore: Dheya al-Khalidi
Traduttore: Gassid Mohammed
Casa editrice: MReditori
Genere: Romanzo
Pagine: 180
Anno di pubblicazione: 2021
Prezzo: € 15,00
Tempo medio di lettura: 2/3 giorni
Suggerimento di lettura: Ahmed Saadawi, Frankenstein a Baghdad, E/O, 2015.
L’autore
Dheya al-Khalidi

Inizia a scrivere nel 1999, redattore per le edizioni del ministero della cultura iracheno dal 2003 al 2014, collabora anche con altre testate e riviste fino al 2013, anno in cui lascia il paese e si stabilisce in Turchia. Ha scritto più di 90 puntate del programma Yafi’un, andate in onda sul canale satellitare iracheno al-Furat, sulla vita di giovani tra i 13 e i 18 anni. Autore di film e cortometraggi per la casa di produzione al-‘Alam su Baghdad e la sua umanità (orfani, facchini, venditori, acque inquinate, crisi energetica), ha pubblicato raccolte di racconti (L’ultimo inno 2001) e romanzi (Succede nei paesi felici 2009, Sembra quasi Baghdad 2012, La vita possibile del saggio al-Baghdadi 2018). Corrispondete a Kirkuk per l’agenzia di stampa tedesca MICT, dal 2008 al 2010 ha diretto la fiera del libro della città. Il suo racconto L’arrivo in via Abu Nuwas è stato tradotto in inglese ed inserito nella raccolta collettiva Baghdad Noir uscita a New York per Akashic Books nel 2018.
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