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Il romanziere egiziano Shady Lewis parla di identità copta, rapporto stato-chiesa e cittadinanza

Fonte: articolo di Arablit

Traduzione dall’inglese a cura di Antonino d’Esposito

7 dicembre 2021

Di Nevine Abraham

I tre romanzi dello scrittore egiziano Shady Lewis, Turuq al-Rab (Le vie del Signore, 2018), Ala khat Greenwich (Sul meridiano di Greenwich, 2020) e Tarikh mugaz li al-khaliqah wa sharq al-Qahira (Una breve storia della creazione e del Cairo est, 2021), sono perfetti per il lettore interessato alla questione copta.  I testi approfondiscono l’identità copta e le relative ripercussioni nazionali e religiose, attraverso una prospettiva che non si limita alla consueta narrativa della persecuzione. Lewis esprime un risentimento contro una predominante cultura di paura, coercizione e repressione, orchestrata in primis dallo stato e, in secondo luogo, dalla chiesa, e indica, poi, gli effetti della storia sociale e coloniale, gli insegnamenti e le politiche della Chiesa copta ortodossa, la sua relazione con la stato e le interazioni con i missionari occidentali, tutti elementi che hanno contribuito a plasmare l’identità copta.

In questa conversazione, tenutasi nel novembre 2021 su Zoom, Lewis ha affrontato questi argomenti e la loro relazione con i suoi tre romanzi.

Nevine Abraham: Vivi in Inghilterra da 17 anni. Hai scelto di lasciare l’Egitto o è stato un esilio forzato?

Shady Lewis: Ero sposato con una tedesca ed era nostra intenzione lasciare l’Egitto. Il piano è andato più veloce del previsto e ce ne siamo andati rapidamente a causa della situazione instabile del paese, un po’ quello che accade al protagonista de Le Vie del Signore.

NA: Quindi possiamo parlare di autobiografia per Le Vie del Signore?

SL: Non proprio; nessuno dei miei romanzi è un’autobiografia al cento per cento. I miei tre romanzi attingono a eventi reali, ma sono piuttosto un’autobiografia romanzata. Ogni dettaglio non credibile si basa su un evento reale; quanto a quelli che sono credibili, invece, sono piuttosto finzione.

NA: C’è stato uno scrittore, copto o meno, che ha plasmato o influenzato la tua scrittura?

SL: Posso dire che Edwar al-Kharrat ha influenzato la mia scrittura. Tuttavia, il suo approccio al mondo copto è diverso dal mio. al-Kharrat si concentra sull’identità copta come estensione della storia. Mentre il suo approccio è più astratto, il mio colloca il copto nel suo contesto sociale e di sviluppo. Poi, Philip Roth, scrittore ebreo-americano, ha fortemente ispirato e influenzato la mia scrittura. Il focus di Roth era sulla propria identità ebraica e su com’era essere un ebreo e crescere negli Stati Uniti degli anni ’70 e ’80. Come in una sorta di serie, nei suoi romanzi il protagonista porta lo stesso nome. Ho provato a fare allo stesso modo, mantenendo nei miei tre romanzi lo stesso personaggio, ma con nomi diversi. Generalmente, in Egitto, la voce copta non è vista di buon occhio. La cerchia dei romanzieri con cui sono in contatto è quella degli intellettuali di sinistra, e la società confonde la sinistra con il secolarismo i cui unici interessi sono la giustizia sociale e la classe operaia. Il secolarismo denuncia il concetto di minoranze e politiche identitarie per paura di dividere la gente e deviare dalla missione della sinistra. A parte questo, la società egiziana preferisce scrivere sulla più ampia esperienza umana che comprende tutti i gruppi che la compongono, indipendentemente dalla loro fede, e quindi non approva di buon grado lo scrivere su una minoranza, quella copta ad esempio. Parlare di un’esperienza copta limita lo scrittore e impedisce ai lettori di simpatizzare con il protagonista. Un mio amico, che legge le mie bozze, mi consiglia spesso di non limitarmi a scrivere sull’identità copta. La mia risposta è che questo è l’argomento che mi interessa, e scriverne non è cosa comune, anche se, negli ultimi anni, qualcuno sta avendo più coraggio nel farlo.

NA: Secondo me, molti scrittori evitano di affrontare il mondo copto, come fai tu, perché è la stessa chiesa copta che ci insegna a non criticare la chiesa o i sacerdoti e ad obbedire poiché, stando a quanto dice un detto popolare copto, “coloro che obbediscono saranno benedetti”. Così, gli scrittori copti in Egitto temono di essere accusati di provocare anarchia all’interno della chiesa. Questo mi spinge a chiederti: hai subito qualche ripercussione da parte di preti o copti, sia in Egitto che in Inghilterra, a causa dei tuoi romanzi?

SL: Non proprio. C’è stata una coincidenza interessante quando ho pubblicato Le vie del Signore. Il direttore dell’Associated Press in Egitto chiese di scrivere un pezzo sul romanzo, che è stato poi tradotto in molte lingue e pubblicato su diversi giornali in tutto il mondo. Un mese dopo, il vescovo cattolico a Gerusalemme elogiò il romanzo su Facebook. Non sono sicuro che l’abbia letto, ma probabilmente si è basato sul rapporto dell’AP. Per il resto, non ci sono state obiezioni a nessuno dei miei romanzi: la distribuzione dei libri in Egitto è bassa e quindi l’impatto è limitato. È difficile che i romanzi arrivino in chiesa.

NA: Sono sorpresa che i tuoi romanzi non abbiano subito ripercussioni, perché criticano aspramente, anche se in modo sottile, la chiesa e i sacerdoti per l’abuso di autorità e l’ingerenza nella vita delle persone. Inoltre, affrontano la lotta che i Copti devono affrontare all’interno della propria comunità e, pur trattandosi di una questione marginale,  le relazioni tra copti e musulmani.

SL: Sì. Sono stato attento a non essere duro nelle mie critiche ai preti perché, in fin dei conti, sono le pedine di un gioco molto più grande che non hanno creato loro. Lo stato ne è l’attore principale poiché inculca le regole e le leggi che decidono l’autorità legale della chiesa. Alcuni scrittori copti hanno descritto la chiesa come un male assoluto. Ne Le vie del Signore, simpatizzo con il prete e lo dipingo come un semplice impiegato che svolge il suo dovere, simile a un ma’thun, e che aiuta Sherif a sposarsi dopo essere uscito di prigione alla fine del romanzo. Ho deciso di essere equo il più possibile e mostrare sia la complessità della situazione che l’assenza di un male o bene assoluti. La chiesa fa compromessi irrilevanti perché ha bisogno della protezione dello stato essendo sotto il suo controllo. Lo stato può danneggiarla e punirla, ma può anche costringerla alla paralisi e metterla in pericolo. Quando Sadat esiliò papa Shenouda III, alcuni copti smisero di frequentare la chiesa. I copti negli Stati Uniti possono protestare ed esercitare pressioni sul Congresso affinché intervenga, ma queste azioni non sono abbastanza rilevanti e la chiesa, in quanto mera istituzione dotata di con uno spazio limitato di libertà, non ha altra scelta che sottomettersi allo stato.

NA: Su quali argomenti ti piace concentrarti quando scrivi?

SL: Sull’impatto delle relazioni Chiesa-Stato sulla creazione di un’identità soggettiva copta, in quanto cittadino, prima egiziano e copto poi, immerso in un sistema di controllo che produce i limiti del cittadino stesso. Tutto questo solleva la questione della cittadinanza: esiste un riconoscimento del copto come cittadino a pieno titolo? Ne Le vie del Signore, i cristiani vengono scambiati per ebrei e sono accusati di spionaggio per conto di Israele, il che dimostra il mancato riconoscimento dei copti e la loro confusione con altre minoranze. In tutto ciò, i Copti dovrebbero servire nell’esercito e morire per il loro paese. Pagano il biglietto intero senza un adeguato riconoscimento. Questi sono i problemi che cerco di affrontare.

Mi concentro meno sulla questione della persecuzione da parte dell’ “altro”, il cosiddetto mostro. E questo perché la vera oppressione viene, da un lato, dall’interno della chiesa copta ortodossa e, dall’altro, dallo stato il cui interesse è spaventare i copti con quel mostro. Lo stato perpetua la convinzione che i copti siano al sicuro grazie alle sue forze di sicurezza, che li proteggono dal cadere preda di quel mostro. Alla fine de Le vie del Signore, nessuno danneggia i copti o la chiesa nel “venerdì della rabbia” del 28 gennaio 2011, quattro giorni dopo il sollevamento egiziano, quando non esisteva più nessuna sicurezza pubblica. Ho un amico prete che vive in un appartamento sopra la chiesa a Ezbet el-Nakhl. Una notte, durante quei 10 giorni, dovette far fronte a una folla che brandiva spade e bussava alla sua porta. Pensava che fossero lì per ucciderlo, ma quando aprì, con sua sorpresa e incredulità, la folla gli assicurò che era lì per proteggerlo e che non avrebbe dovuto temere per la sua vita e quella della sua famiglia durante i disordini.

Poi, mi piace scrivere su come l’identità copta risulti essere un prodotto dell’interazione tra l’Egitto e il mondo occidentale, e cioè col colonialismo e i missionari americani. Il mio ultimo romanzo, Una breve storia della creazione e del Cairo est, include una sezione sulla traduzione della Bibbia di Van Dyck. L’obiettivo di Van Dyck era scrivere una traduzione araba che differisse dalla lingua araba del Corano in modo che i lettori la trovassero diverso dal testo sacro musulmano. Questa operazione ha influenzato il modo di parlare dei Copti, che è il risultato di quella che si può chiamare un’invasione culturale occidentale di cui siamo un prodotto marginalizzato. Quando i primi missionari arrivarono a Cipro, all’inizio del XIX secolo, distribuivano libri in arabo nel mondo arabo. Il font che usavano si chiamava Arabic American font, cosa che commento nel mio romanzo. Ciò dimostra che i copti sono stati influenzati non solo dalle relazioni chiesa-stato, ma anche dalla loro interazione con l’Occidente. È interessante notare che i copti tendono a identificarsi con gli occidentali perché condividono la stessa religione, mentre questi ultimi li vedono come estranei perché “marroni”.

NA: Ne Le vie del Signore, affronti l’effetto del colonialismo sui rapporti tra maggioranza e minoranza, sull’arrivo del concetto di divide et impera e sulla percezione del colore della pelle. Nel romanzo, Sherif, da giovane, pensa di avere gli occhi azzurri di essere biondo, e gli viene fatto credere di essere occidentale perché cristiano. Più tardi, scopre di non avere né gli occhi azzurri né i capelli biondi.

SL: (ridacchiando). Questa è una storia vera perché ho carnagione scura. Fino all’inizio dell’università ero convinto di essere abyadani (termine arabo che indica la pelle chiara). Non sto scherzando. È pauroso.

Continua a ridere.

NA: Ho sentito questa storia da molti copti. Il colonialismo li convinse della superiorità della pelle bianca.

SL: Sì, e che abbiamo un colorito più chiaro rispetto arabi, anche se, in realtà, è vero il contrario, il che non è un grosso problema.

NA: I copti non amano considerarsi una minoranza in Egitto perché ciò alimenterebbe l’illusione di possedere il proprio paese e dell’uguaglianza con i musulmani. È sempre toccato allo stato sostenere la narrativa dell’uguaglianza civile ed essere responsabile dei diritti umani e delle minoranze.

SL: I copti, come molti altri gruppi, parlano diversamente a seconda della situazione. A volte possono affermare di essere una minoranza per rivendicare più diritti, altre rivendicano un’uguaglianza civile in quanto nativi di un paese in cui i musulmani sono gli ospiti. Le parole possono essere un riflesso della politica attuale della chiesa, dell’eredità copta o delle inchieste internazionali sui diritti umani, come quelle iniziate negli anni ’90 dopo la fine della Guerra Fredda e avviate dagli Stati Uniti.

I copti furono definiti una minoranza, per la prima volta, da Ali El Din Hilan in una conferenza alla fine degli anni ’90 che suscitò grossi dibattiti e ebbe ripercussioni da parte della chiesa e dello stato. Dieci anni dopo, questo status venne normalizzato e, quindi, tollerato dallo stato, fino a diventare parte di un messaggio umanitario che ha continuato a prosperare fino al 2020, tanto da identificarsi con altri movimenti minoritari, come il Black Lives Matter. La chiesa può adottare tale posizione se serve ai suoi interessi. Ovviamente, la situazione cambia da un regime all’altro. Prendiamo ad esempio l’attuale presidente al-Sisi: molti copti sono contenti di lui perché vicino al patriarcato copto. È il primo presidente egiziano a partecipare a ogni celebrazione natalizia e a salire sul palco per augurare Buon Natale al papa e alla congregazione. Nel 2019, sotto la sua presidenza, nella nuova capitale amministrativa, lo stato ha costruito una nuova cattedrale e una nuova prigione che comprende una chiesa e una moschea nei suoi locali, una prima assoluta per la storia egiziana. Tali politiche non solo hanno fatto sentire i copti più integrati nel paese, ma hanno anche contribuito alla politica presidenziale di opposizione ai Fratelli musulmani e agli islamisti. La domanda è: “Questo ha davvero cambiato lo status di minoranza dei copti?” Attualmente, i Copti sono più che mai legati al regime, il che li mette in diretto conflitto con gli islamisti, che ora hanno più ragioni per odiarli in quanto sostenitori di al-Sisi. Nel breve termine, lo status dei copti potrebbe sembrare leggermente migliorato. In generale, tutti i diritti dei cittadini egiziani, compresi i copti, sono stati recentemente soppressi. Prendi Patrick George Zaki, per esempio, che è detenuto dal 2020. Essere copto non garantisce nessuna immunità. In sostanza, la situazione dei copti sembra essere leggermente migliorata, ma, secondo me, a lungo termine, ciò danneggerà molto la chiesa e i copti.

NA: Le vie del Signore si apre con il versetto “I genitori hanno mangiato uva acerba e ai figli è rimasta la bocca amara”. Perché lo hai scelto?

SL: Il mio scopo era tracciare la storia sociale dei copti, dove noi come individui siamo il prodotto di una forza molto più grande, di un’istituzione multigenerazionale, un accumulo di tutto ciò che è successo ai nostri genitori e nonni. La Bibbia traccia i lignaggi in modo simile. In questo senso, il verso che ho scelto è molto espressivo: la bocca dei bambini è amara a causa di ciò che hanno mangiato i loro genitori e nonni.

NA: Quando dici “il prodotto di una forza più grande”, definire questa forza può essere complesso. Consiste di molteplici entità: la storia, il colonialismo, lo stato, la maggioranza musulmana, la chiesa, il patriarca e i suoi legami con il regime?

SL: Sì, è una combinazione di tutte questo. E la cosa più importante è che si è accumulata con le generazioni. Non è successo solo oggi. Se guardiamo, ad esempio, a una qualsiasi delle leggi che indeboliscono i copti di oggi, possiamo risalire a molte generazioni fa.

NA: Una breve storia della creazione e del Cairo est inizia con la Genesi e fa riferimento alla conoscenza che Eva aveva dei numeri, cosa che ricorre più volte nel romanzo. È simbolo di qualcosa? Potresti spiegarcelo?

SL: Il romanzo mira a stabilire un parallelo tra la Genesi e la storia del linguaggio. Poi passo alla Bibbia e alle sue diverse traduzioni e alle conseguenti interpretazioni che hanno portato alle varie divisioni interne alla chiesa. Il mio obiettivo indiretto era stabilire che il linguaggio è un prodotto sociale, ma che ci modella anche. Si tratta un approccio filosofico che ho cercato di mettere in relazione a come noi usiamo la lingua rispetto a genere, religione e cultura. Il mio obiettivo diretto, invece, era la relazione personale e familiare nel romanzo, la storia della chiesa protestante in Egitto e gli scontri verificatisi tra la polizia, i gruppi islamici radicali e i copti di Aim Shams negli anni ’80. Per quanto riguarda la conoscenza dei numeri della donna, ciò riguarda le sue capacità e responsabilità nel gestire i bisogni della famiglia, mentre il marito ha il privilegio di parlare della lingua, dei suoi significati e dell’uso delle parole. Man mano che la lettura avanza, la connessione e la somiglianza tra numeri e parole diventano chiare.

NA: L’identità copta si fonda principalmente sulla religione. Ci sono ebrei laici, per esempio, che sono accettati dalle loro istituzioni religiose. L’identità copta è diversa. Da persona che vive nella diaspora, pensi che l’identità copta possa in futuro passare da identità religiosa a culturale?

SL: Intendi nella diaspora o in Egitto?

NA: Penso che un processo simile possa iniziare solo nella diaspora. È difficile che ciò avvenga in Egitto perché la religione è un sistema totalizzante.

SL: È difficile da prevedere; in più,  non ne posso parlare perché non ho avuto alcun legame con i copti o con la chiesa in Inghilterra. Sono entrato in una chiesa copta solo una volta, 15 anni fa. Se avessi avuto più rapporti con i copti qui in Inghilterra, avrei potuto esprimermi. Tuttavia, credo che sarà lo sviluppo naturale dell’identità copta.

NA: Quando dici copto, intendi gli ortodossi o i protestanti?

SL: Gli ortodossi sono la maggioranza. Personalmente, non sono praticante. Quando ero più giovane, ho frequentato chiese protestanti, dove la religiosità era più intensa che in una chiesa copta ortodossa. I cattolici sono più tranquilli nel culto, ma sono pochi. Quindi, da adulto, l’identità copta, come questione religiosa, avrebbe dovuto preoccuparmi di meno. Ma ho l’impressione che sia una cosa che mi è stata imposta. La mia carta di identità egiziana indica che sono cristiano, che mi piaccia o no. Non ho altre scelte. I miei nomi Lewis Botros confermano che sono cristiano. Questo mi costringe a pensare alla mia identità. In effetti, il problema di vedersi negare la possibilità di scegliere il proprio nome o la propria religione è centrale nei miei romanzi. Ne Le vie del Signore, Sherif non frequenta la chiesa ma si trova costretto a confessarsi per chiedere il permesso di sposarsi.

NA: Perché Sherif deve confessarsi al prete? Per sposarsi in una chiesa copta ortodossa?

SL: Secondo la legge egiziana, affinché possa aver luogo un matrimonio, un uomo copto deve presentare un documento, redatto dalla chiesa, che dimostri che non sia già sposato per poter registrare il matrimonio presso il Ministero della Giustizia. Molti sacerdoti hanno paura di produrre questo documento se non conoscono bene la persona. Se il prete ne consegna uno a un uomo copto che non conosce e la moglie, in seguito, scopre che era già sposato, può citare in giudizio la chiesa. Una volta, un prete è stato imprigionato per un anno per un fatto del genere. Ho dovuto seguire questo iter quando ho voluto sposare la mia ex moglie tedesca. Poiché non frequentavo nessuna chiesa o prete, molti mi suggerirono di confessarmi più volte per ottenere il documento, cosa che mi rifiutai di fare. Mi ci sono voluti alcuni mesi per trovare un prete che mi facesse il documento. È interessante notare che questo complicato processo non esisteva quando i miei genitori si sono sposati. Mio padre è ortodosso e mia madre cattolica, e il loro matrimonio è avvenuto senza intoppi, ma papa Shenouda III ha reso tutto più difficile.

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