Al-Talaṣṣuṣ di Sonallah Ibrahim

Recensione di Barbara Benini

Al-Talaṣṣuṣ (lett. Voyerismo), uscito per la Dar el Mustaqbal el Araby nel 2007 è l’unico romanzo di Sonallah Ibrahim a non trattare argomenti politici. Siamo alla fine degli anni Quaranta, al Cairo, il signor Khalil e suo figlio vivono in ristrettezze economiche in una stanzetta in affitto in un vecchio palazzo del quartiere di Abbasiya. Khalil è un padre molto anziano e suo figlio è molto giovane, intuiamo che frequenta la scuola media e ha undici anni. La loro è la tipica relazione tra padre e figlio fatta di semplici quotidianità e di figure maschili, gli amici del padre, che ogni tanto lo vanno a visitare a casa o con cui spesso si ritrova a chiacchierare al caffè del quartiere; e femminili, le donne di servizio che si succedono una dopo l’altra a occuparsi dei due e le mogli dei vari inquilini che affittano le stanze dello stesso palazzo. Khalil è un vecchio pensionato e ha avuto il bambino dalla seconda moglie di cui si è perdutamente innamorato in età matura, ma che ora non vive più con loro. I suoi due figli avuti con la prima moglie, ormai adulti e sposati, soprattutto Nabila, la femmina, non hanno mai accettato questo matrimonio né tanto meno il bambino, coetaneo dei loro stessi figli.

Ciò che è singolare in questo romanzo non è tanto l’intreccio, perché non c’è una vera e propria storia che comincia, si evolve e poi termina in un epilogo più o meno tragico, quanto piuttosto la narrazione di una semplice quotidianità tutta al maschile vista, anzi spiata, e narrata con gli occhi e la mente di un bambino.

Osserviamo lo svolgersi delle giornate attraverso le sbirciate dal buco della serratura, da dietro gli stipiti delle porte, le coltri dei tendaggi, insomma spiamo con lui tutto quel che accade intorno. L’io narrante è una mente infantile che fa tenerezza nel suo candore e nella sua ingenuità e spesso assume un aspetto buffo, grottesco e talvolta incomprensibile, quanto lo possono essere i discorsi dei “grandi” per un bambino che non può coglierne le sottigliezze, le implicazioni politiche e soprattutto i doppi sensi.

Sono molto divertenti le chiacchierate al caffè tra uomini, cui il bimbo assiste in piedi tra le gambe di papà, riportandoci i discorsi degli adulti con una chiarezza ed una ingenuità tipici della sua giovane età. È in questi momenti che entriamo nella realtà del Cairo della fine degli anni Quaranta, durante la guerra di Palestina, tra le mille relazioni sentimentali del Re Farouk, che occupano la stampa e sono sulla bocca di tutti, oltre all’avvento e il boom del cinema egiziano con le sue star, ballerine, registi e manifesti colorati a tappezzare le vie della città.

Nel privato invece, spiamo marito e moglie, gli inquilini della stanza accanto, che cominciano a emettere strani rumori, sospiri e gemiti, inspiegabili per il bambino, che preoccupato chiede al padre se per caso qualcuno non si stia sentendo male. Divertente è l’incontro con il sesso e la scoperta del corpo femminile: una prima volta durante le feste sorprendiamo lo zio che letteralmente salta addosso alla cameriera, poi lo stesso Khalil che ha rapporti con la donna di servizio; e sbirciando dal buco della serratura della porta della stanza dei vicini, assistiamo ai preparativi della signora intenta a depilarsi e a farsi il bagno nella tinozza, prima del rientro del marito.

Tristi, per noi che leggiamo, sono invece i momenti in cui si percepisce il rifiuto da parte dei fratellastri e dei nipoti coetanei, durante le riunioni familiari, e l’isolamento che ne consegue per il bambino, ignorato dai suoi stessi parenti, e quindi costretto a passare la propria vita a osservare tutto e tutti in silenzio, in disparte, scontando la colpa di essere figlio della seconda moglie. In questi momenti di convivialità familiare entriamo in una tipica casa della società piccolo borghese dell’epoca, in pieno cambiamento e adattamento ai nuovi costumi importati dall’occidente: il rifiuto del velo, la decisone di studiare la filosofia occidentale, l’automobile, l’utilizzo del francese o della lingua inglese per apparire un po’ meno egiziani, fino ad arrivare alle riviste di moda parigina che le ragazze sfogliano in cerca di un’ispirazione per nuovi abiti e acconciature.

Khalil e suo figlio stanno sempre insieme, in un rapporto fatto di sguardi, ubbidienza, fiducia e totale dipendenza del piccolo da suo padre, che talvolta è quasi infastidito dalla sua incapacità di non restare mai da solo, nemmeno per un minuto. Il genitore si sente quasi soffocare dalla costante presenza del proprio figlio, pur rendendosi conto che il bambino non ha altri che lui e nei rari momenti in cui è costretto a uscire da solo, si adopera sempre per lasciarlo in compagnia della donna di servizio di turno o della moglie dei vicini, che il bambino chiama familiarmente mamma, quasi per un’atavica necessità di pronunciare comunque questa parola.

Una coppia tutta al maschile, che sente la mancanza, per motivazioni diverse, della donna di casa: è così che il vecchio Khalil si spinge invano a cercare una sostituta, un palliativo che supplisca alla figura di madre-moglie necessaria a entrambi, fosse anche una donna di servizio, egli è disposto a sposarla, secondo la legge islamica, per rendere il loro rapporto legale, accettato dalla società e dalla tradizione.

Dall’inizio alla fine del romanzo, il lettore è spinto a chiedersi che fine abbia fatto la seconda moglie del vecchio Khalil e perché non viva più con lui e il figlio. Solo tramite brevi flash back, costruiti sulla base dell’analogia tra presente e passato, tra oggetti, persone, situazioni, scopriamo pian piano che la mamma c’era, era molto intelligente, bella, curiosa, piena di voglia di vivere e che lei e il marito, nonostante l’enorme differenza d’età, erano una coppia molto affiatata all’inizio, un’anima in due corpi. Tutto però è cambiato, lei ora non c’è più, è rinchiusa in manicomio, ma la vita continua ugualmente con la semplice quotidianità del rapporto padre-figlio, fatto di uscite al mercato, incontri con i parenti, giochi in strada, commissioni dai bottegai, compiti svolti alla scrivania della stanzetta, pasti preparati insieme, una relazione tutta al maschile tra un vecchio genitore e suo figlio, che sempre in silenzio, molto dignitosamente, osserva tutto e tutti, soprattutto suo padre, la sua unica vera famiglia.

Sonallah Ibrahim (nato in Egitto nel 1937) è uno degli scrittori e intellettuali più versatili e famosi nel panorama letterario egiziano. Si è cimentato, oltre che nella stesura di romanzi e racconti, anche nella produzione di letteratura per l’infanzia, science fiction, libri di viaggi e adattamenti teatrali delle sue stesse opere.

Di ideologia marxista e pertanto molto critico nei confronti dell’establishment egiziano, fa parte di quella schiera di scrittori che hanno vissuto un periodo di detenzione nelle patrie galere (1959-1965) sotto il regime nasseriano. “Nel 1966 pubblica Quell’odore, un romanzo che ha suscitato enorme scalpore per la crudezza del linguaggio e, soprattutto, per la denuncia politica che contiene. Da allora Sonallah Ibrahim si afferma come lo scrittore politicamente più impegnato e linguisticamente più innovativo della ‘Generazione degli Anni Sessanta’”[1]. E infatti, fino al 2011, non ha perso mai un’occasione per manifestare il proprio dissenso nei confronti del regime di Mubarak (nel 2003 ha rifiutato uno dei più prestigiosi premi letterari l’“Arab Novelist of the Year Award” conferitogli dal Consiglio Supremo per la Cultura). Nel 2004 Ibrahim ha ricevuto dall’Istituto Goethe di Berlino il prestigioso “Premio Ibn Rushd per la Libertà di Pensiero”. Nel 2012 è stato ospite dell’Università La Sapienza di Roma all’interno della manifestazione “Settimana della lingua araba e della cultura egiziana in Italia”.

Di Ibrahim in Italia sono uscite le seguenti opere: Quell’odore, (De Martinis, 1994, trad. T. Di Perna), La commissione, (Jouvence, 2003, trad. P. Viviani), Warda (Ilisso, 2005, trad. P. Zanelli), Le stagioni di Zhat (Calabuig, 2015, trad. E. Bartuli) e il racconto Arsenio Lupin, nell’antologia Narratori Arabi del Novecento, vol. II (Bompiani, 1994, trad. I. Camera d’Afflitto).


[1] http://www.arablit.it/sonibrahim.html

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