Nella cornice di un quadro: un racconto di Mustafa Aldeen Almosa

   Traduzione di Federica Pistono

                                                                                                              Agli abitanti dei quadri

  Nel 1864, un pittore alcolizzato, perennemente ubriaco, avvezzo a bere vino di pessima qualità e a vivere in una stanza minuscola, mi ritrasse in pochi giorni, su una grande tela. Fin dalle prime pennellate, mi parve di cominciare a respirare e a vivere.

  Dopo una settimana, quando ebbe terminato, prese la pipa, riempita di tabacco scadente, e iniziò a fumare. Esalò diversi sbuffi di fumo, che osservava con grande soddisfazione. Mi offrì un bicchiere di vino.  Cercai di sporgermi dalla cornice per accettare la sua offerta, ma mi fu impossibile. Fu lui a bere il vino, poi si mise a ballare come un pagliaccio, nella sua stanza disordinata, cantando con vivacità. 

  Due giorni dopo, sul ponte della capitale, mi vendette a un uomo ricco. Mi abbandonò, agitando la mano in segno di addio, e se ne andò a bere nel più vicino locale.

  L’acquirente mi portò via sulla sua carrozza, trainata dai cavalli, – vivevo ovviamente nel dipinto -, nel suo castello, fuori città. Arrivammo nel giro di qualche ora. I servitori mi appesero alla parete del salone.

  Mi sembrò che passassero secoli. Non facevo che guardare i ricchi invitati, uomini e donne, di cui mi piaceva osservare le splendide danze. A loro volta, gli ospiti mi scrutavano, esprimendo la loro ammirazione con garbati sorrisi. Inventavano molte storie su di me. Per alcuni, ero un cavaliere, per altri, un musicista o un esploratore, per altri ancora un celebre amante. Ogni volta, storditi dal vino e dalla musica, a seconda dell’umore, mi sceglievano un nome nuovo. Poi l’uomo ricco invecchiò, si ammalò, non riuscì più ad alzarsi dal letto, e infine morì. 

  Per decenni, il castello rimase abbandonato. I miei colori furono appannati dalla polvere, che si accumulava nel tempo. Nel profondo della mia solitudine, mi divertivo a ricordare con nostalgia i molti nomi che, in un’altra epoca, mi erano stati dati.

  Ed ecco che, all’improvviso, arrivarono alcuni domestici a pulire il castello. Fui liberato dalla polvere e tornai a splendere in tutti i miei colori. Pur stupito, capii, dai discorsi dei domestici, che un giovane nipote del vecchio defunto aveva deciso di venire qui, per trascorrere l’estate a palazzo con la giovane amante, lontano dal trambusto della capitale.

  In effetti, furono stati accolti quella sera stessa. Il giovane attraversò il salone senza degnarmi di uno sguardo, per poi salire nella sua stanza con la fascinosa amante. Contemporaneamente, i domestici scesero nel seminterrato dell’edificio.

  Dopo mezzanotte, al chiaro di luna che filtrava dalla finestra, intravidi l’ombra dell’amante muoversi furtiva fra i mobili del salone, come se cercasse qualcosa. Disperata, sospirò, balbettando parole incomprensibili, poi si avvicinò a una mensola per accendere le candele di un candelabro. Per caso, si ritrovò di fronte a me. Rimasi colpito dalla sua bellezza e dal suo fascino. I miei occhi esaminavano il suo corpo stupendo, i suoi il mio ritratto. Non aveva che un telo rosa a coprirle il seno e le cosce. Tutti i miei colori tremavano, mentre ci guardavamo in silenzio. 

  Spensierata e sfrenata, cominciò a ballare, passandosi le dita fra i capelli. Il telo cadde bruscamente. Non mostrò alcun imbarazzo. Avevo le vertigini, tutti i colori dell’universo mi danzavano avanti agli occhi. Vedendo il bagliore della candela bagnare il suo corpo, dal seno alle ginocchia, presi un respiro profondo. Riuscii a sopportare solo per qualche secondo lo splendore delle sue forme, delle sue curve decise, mentre i miei colori sbiadivano, uno dopo l’altro.  Come un ubriaco, cominciai a sporgermi dalla cornice, come una porta vecchia e pesante che si chiuda in silenzio. Poi, precipitai dal quadro, in preda al terrore.

  Tutto questo accadde dopo mezzanotte, al chiaro di luna, nel 1936.

  Il tempo scorre.  Sono passati molti altri anni, eppure, fino a questo momento, ho continuato a cadere. I miei colori si sono smorzati, i miei nomi si sono perduti nel vuoto, in cui sto ancora fluttuando, senza riuscire a toccare il suolo.

  Non sapevo che fosse così smisurata, la distanza tra il mio ritratto e la vostra terra.

                                                                                                                                    9 marzo 2014

  Nella cornice di un quadro è tratto dalla raccolta L’ultimo amico di una bella donna.        

  L’Autore

  Mustafa Taj Aldeen Almosa, nato nel 1981 a Idlib, in Siria, si è laureato al Media College, Università di Damasco. Le sue opere letterarie includono diverse raccolte di racconti pubblicati e due opere teatrali che gli hanno fatto vincere premi e riconoscimenti nel mondo arabo. Costretto all’espatrio per sfuggire alla repressione, vive in Turchia. Molti dei suoi racconti sono stati tradotti in dieci lingue europee, oltre che in turco, persiano e curdo.

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