Recensione di Federica Pistono
L’autrice: Najat ֫Abd al-Samad (Nağāt ֫Abd al-Ṣamad) nata a Suweida, nel sud della Siria, nel 1967, è ostetrica e scrittrice.
Ha studiato Letteratura araba all’Università di Damasco per poi divenire poetessa e autrice di romanzi.
Tutte le opere di Najat ֫Abd al-Samad sono ambientate nel sud della Siria, nei villaggi di montagna, di cui sono illustrate le antichissime tradizioni legate alla religione drusa.
Il romanzo L’acqua non la disseta (Lā ma’ yarwīhā) riprende il tema della storia e delle traduzioni druse, e ha vinto il premio Katara 2018 per la narrativa araba.
L’acqua non la disseta
Si tratta di un romanzo drammatico, che prende spunto da una storia d’amore per indagare nelle pieghe della società siriana e, in particolare, per descrivere le comunità druse dei villaggi montani, nel sud della Siria. Al tempo stesso, il testo può considerarsi un romanzo psicologico, che ricostruisce la difficile scelta della protagonista, ma anche di un’opera antropologica e sociologica sulle comunità druse della Siria, con i loro antichissimi rituali, le iniziazioni, i segreti, i bizzarri divieti.
Il romanzo è ambientato nella seconda metà del Novecento nella città di Suweida, nella Siria meridionale, tra la città e la campagna, imperniandosi sulle ricerche del petrolio e dell’acqua nella regione, nella speranza di vincere la siccità che affligge la zona montana di Suweida. Il romanzo ripercorre la storia dell’acqua a Suweida, della terra riarsa, della maledizione delle sete che opprime l’animo dei suoi abitanti, ma anche della “siccità politica” siriana nell’era del partito unico, il Ba̔ṯ che, nell’epoca di Hafiz al-Asad, ha spento la scienza, la cultura e le arti che, non potendosi esprimere liberamente, si sono chiuse nella propria delusione, così come le correnti politiche di sinistra.
Tema centrale del romanzo è la descrizione della comunità drusa di Suweida, con i suoi riti antichissimi e segreti, con la sua spiritualità, ma anche con le sue bizzarrie e la sua crudeltà, come quella di vietare il matrimonio tra un druso e un estraneo alla comunità, pena la morte. Il romanzo è la storia della comunità del basalto, sorta sul Jabal al- Arab, la Montagna degli Arabi, una riflessione sulle sue trasformazioni esterne e interne, in correlazione con i cambiamenti politici della Siria intera. Interessantissima la ricca descrizione antropologica della comunità drusa, stretta da secoli tra l’estrazione e la lavorazione del basalto e la ricerca affannosa dell’acqua.
Il romanzo è articolato in capitoli: un capitolo è dedicato alla vicenda principale, seguito da un capitolo dedicato ad altre vicende volte a ricostruire e illustrare il passato dei personaggi principali.
Protagonista del romanzo è Hayat, figlia di Marhej, che si è trasferito a Suweida dopo la rottura con la propria famiglia nel villaggio di Marj al-Aqub. La ragazza cresce con i genitori, il fratello Mamduh e le sorelle, in un clima di astio e sospetto reciproco, giacché i genitori non si amano. La giovinezza di Hayat è segnata dalla storia d’amore con Nasser, figlio dei vicini di casa, tornato con la famiglia a Suweida da Beirut. Nella capitale libanese, il padre di Nasser, lavorando duramente, aveva messo insieme una piccola fortuna, mentre il giovane era stato membro dell’OLP.
Un giorno Nasser scompare, lasciando Hayat nella desolazione. Nel frattempo, una sorella della ragazza muore improvvisamente a causa di una malattia misteriosa e sconosciuta. Per timore che una cattiva fama colpisca la famiglia e che le figlie non trovino marito, i genitori combinano le nozze di Hayat con Khalil, un cugino dal carattere iracondo: ne scaturisce un matrimonio grigio, senza amore. Nel frattempo, il fratello maggiore Mamduh rinuncia a laurearsi in ingegneria e si trasferisce a Parigi. Tornato in Siria, si stabilisce a Damasco con una donna francese. Hayat continua la sua vita coniugale con Khalil. La coppia si è stabilita nel villaggio natale di Marj al-Aqub, dove nascono quattro figli. Al villaggio, la protagonista scopre la storia della propria famiglia, piuttosto intricata e colma di inquietanti segreti. Pur assorbita dai suoi compiti di moglie e madre, Hayat non smette mai, in fondo al cuore, di amare Nasser, scomparso nel nulla, forse ucciso per i suoi trascorsi politici nell’OLP. Passano vent’anni. Improvvisamente Nasser riappare nel paese, profondamente deluso dalla politica. Dice a Hayat di amarla ancora, di non averla mai dimenticata, neppure durante il proprio lungo esilio a Bucarest, dove ha lavorato in un ristorante palestinese in cui sono passati Mahmud Darwish e Yasser Arafat. All’arrivo di Nasser, tornato su invito della nonna, una depositaria degli antichi segreti della comunità drusa, Hayat si rende conto di essere ormai una donna di mezza età che ha sprecato la propria vita. Nasser la invita a lasciare tutto e a partire con lui per Bucarest, dove gestisce il ristorante, per ricominciare tutto da capo. Dopo una breve fiammata di passione, Hayat prende la sua decisione.
Il giudizio sul romanzo è molto positivo: offre infatti un interessantissimo spaccato della società siriana degli anni del regime di Hafiz al-Asad, con la sua rete di connivenze e di corruzione, e delle comunità druse, con il loro retaggio di costumi e tradizioni particolari e antichissimi, sicuramente ben poco noti al lettore occidentale.
L’analisi sociale e di costume è portata avanti con fine spirito critico, partendo dalla situazione della protagonista, per estendersi poi al villaggio druso e all’intera società.
Altrettanto degno di attenzione è l’aspetto psicologico: i caratteri della protagonista e degli altri personaggi sono delineati con estrema sensibilità e delicatezza.
Interessante e molto ben ricostruita la storia dell’estrazione del basalto e della ricerca dell’acqua nella regione.
Leggendo il romanzo, il lettore riceve l’impressione che la storia di Hayat sia solo un pretesto, per l’autrice, per dipingere un grandioso affresco degli ultimi cinquant’anni di storia siriana.