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Khatem, Una bambina d’Arabia di Raja Alem

di Raja Alem, Atmosphere Libri, 2016, trad. F. Pistono

Recensione di Barbara Benini

Raja Alem (La Mecca, Arabia Saudita, 1970) sin dal 1991 è una delle più famose e prolifiche scrittrici saudite, da sempre attiva sulla scena culturale, sia come autrice di romanzi, sia come intellettuale impegnata, che come artista.

Ad oggi ha pubblicato undici romanzi, cinque opere teatrali, una biografia, numerose raccolte di racconti e storie per l’infanzia. “La Saoudienne Raja Alem avait été révélée au public avec Khâtem, paru en 2001 et qui sort ce mois-ci en France. Diffusé alors gratuitement dans plusieurs quotidiens du monde arabe grâce à une opération de l’Unesco, l’ouvrage avait été salué par la critique pour son ‘audace à briser les tabu sociaux’ ”[1].

In lingua inglese sono stati pubblicati quattro suoi romanzi: Fatma: A novel of Arabia, My Thousand and One Nights: A novel of Mecca, The Dove’s Necklace e Sarab.

“Her reputation in the world of Arabic literature has been compared to that of Vladimir Nabokov in Western culture”[2].

Nel 1991 Alem ha vinto il Premio Ibn Tufail, dal Centro Culturale Arabo-Ispanico di Madrid; nel 2005, l’Arabic Women’s Creative Writing Prize; nel 2008, a Parigi, il Premio del Club Letterario Libanese; nel 2011 è stata la prima scrittrice a vincere, a pari merito con il marocchino Mohammed Achaari, il prestigioso International Prize for Arabic Fiction (Arabic Booker), con il suo romanzo Il collare della colomba (Marsilio, 2014, trad. I. Camera d’Afflitto e M. Avino).

Sempre nel 2011, Raja Alem e sua sorella Shadia, hanno creato un’installazione chiamata Black Arch, per l’inaugurazione del Padiglione dell’Arabia Saudita alla 54a Edizione della Biennale d’Arte di Venezia[3].

Romanzo sociologico e di genere, Khatem, attraverso le vicende della protagonista e della sua famiglia, immerge il lettore sin dall’inizio nella vita quotidiana, nella mentalità, nei tabù e nelle tradizioni della società de La Mecca, agli inizi del XX secolo.

Lo sceicco Nasib, alla testa di una famiglia patrizia, avendo perso tutta la propria discendenza maschile, a causa di guerre ed epidemie, finisce per adottare Sanad, il figlio d’un servitore, allo scopo di perpetuare attraverso di lui il prestigio del proprio nome, tuttavia, inaspettatamente, sua moglie Sakina dà alla luce un sesto figlio, che purtroppo è una femmina e che chiamano Khatem (in arabo “sigillo” o “ultimo”). La vita di Khatem è circondata di mistero: è venuta al mondo senza l’intervento di una levatrice e, con il suo corpo troppo snello e il suo viso troppo pallido, ha un aspetto di ragazzo mancato. Il padre, per non perdere la faccia, con uno stratagemma decide di presentarla ai notabili de La Mecca, in abiti maschili, anche se all’interno della casa, Khatem vive nella zona riservata alle donne, indossando abiti femminili. Nel corso della vicenda, la ragazza viene a contatto, grazie a Hilal, suo compagno di giochi durante l’infanzia, con il lato oscuro della città santa: la zona oltre il Monte Hind, dove vivono mendicanti, assassini, prostitute e fumatori di hashish e da cui suo padre si rifornisce di schiavi.

Il romanzo è molto intrigante, ha una trama ben congegnata nella sua struttura a due livelli (la vita femminile della protagonista all’interno della casa del padre, e quella maschile al suo esterno), con un inizio descrittivo in cui il lettore viene lentamente calato all’interno della città de La Mecca e, nello specifico, dentro la grande dimora dello sceicco Nasib, padre della protagonista. A poco a poco gli eventi e gli episodi, pieni di fascino e mistero, si srotolano uno dopo l’altro entro una storia ricca di dettagli, che senz’altro soddisferanno il lettore interessato a conoscere la realtà dell’epoca all’interno della quale si svolge la vicenda.

Con dovizia di particolari, che dimostra la profonda conoscenza della propria città natale e delle sue vicende storico-sociologiche, Raja Alem dipinge un mondo ai più sconosciuto, ricreandone l’atmosfera anche attraverso un uso particolare della lingua araba, ricco di significati e doppi sensi, che richiamano alla tradizione della mistica islamica, dove la musica e le arti, temi cardine del romanzo, non sono solo divertimento e occasione di ritrovo, ma anche tramite attraverso il quale raggiungere la completa realizzazione dell’essere, della propria identità e, non da ultimo, della comunione con il creato e il suo Creatore. Tramite le vicende dei personaggi, il lettore scopre anche l’altro volto de La Mecca, una città che nell’immaginario collettivo è solamente legata al rito del Pellegrinaggio dei musulmani, ma che all’interno del romanzo “si mostra come una città viva, cosmopolita, multietnica e per nulla differente dalle altre metropoli dell’epoca” afferma la stessa autrice in occasione della presentazione dell’edizione francese di Khatem. I quartieri malfamati, i bordelli, i fumatori di hashish, gli assassini, descritti da Raja Alem, sono elementi che restituiscono a La Mecca un’immagine un po’ più umana, un po’ più familiare al lettore occidentale, abituato a pensarla come un luogo avulso da ogni peccato, quasi circondato da una mera aura di sacralità: “les détails et l’honnêteté qui ressort des descriptions laissent le lecteur face à un roman que l’on sent imprégné de réalité.”. Anche le botteghe degli artigiani, i pasti consumati prima dell’alba negli angoli dei vicoli, durante il mese di Ramadan, i preparativi per le nozze, i funerali, tutte queste scene di vita quotidiana, che ci siamo abituati a leggere nei romanzi dell’egiziano Mahfuz, in Khatem rendono la città de La Mecca e i suoi abitanti dell’epoca, come personaggi di uno splendido affresco vivente: “Raja Àlem nous plonge avec minutie et détails dans l’ambiance mecquoise du siècle dernier. Sous les yeux de l’écrivain, le premier lieu saint de l’islam reprend vie, une vie qui, loin d’être celle des récits merveilleux des pèlerins de l’époque, se partage entre luxe et misère. Tout y est codifié, et au summum de cette codification apparaît le fossé qui sépare les hommes des femmes. Et c’est dans ce fossé que naît Khàtem, dans le rejet d’un monde par l’autre”[4].

Quest’affascinante storia, dove Khatem è la, o il, protagonista, per le sue tematiche di genere, di ambiguità, ma anche di lirismo, nel senso più alto del termine, descrive le vicende di un gruppo di personaggi di ambo i sessi, o a metà tra un sesso e l’altro, artefici della propria vita, ma alla costante ricerca della propria identità, se pur non dimentichi delle proprie origini e se pur in costante incontro/scontro con tabù, costrizioni sociali ed eventi storici che li sopraffanno.

Un altro aspetto interessante del romanzo, viene rilevato sul forum dell’Università Saudita King Fuad, ed è “la lotta di classe” rappresentata dai due coprotagonisti maschili della vicenda: Hilal, il figlio di immigrati e Sanad, il figlio di schiavi. Mentre il primo manterrà un atteggiamento di continuo e costante scontro con lo status quo, con la classe dei notabili – rappresentata da Khatem stessa e dalla sua famiglia – partecipando anche alla guerra civile; il secondo, spiccherà un salto verso l’alto, venendo riscattato grazie all’adozione da parte dello sceicco Nasib e, dallo status di servo, figlio di servi, entrerà a far parte della classe nobile, un ulteriore ingrediente che ancor più mette a nudo le dinamiche sociali de La Mecca dell’epoca[5] oltre che rendere ancor più interessante questo splendido affresco d’Arabia.


[1] http://www.books.fr/litterature-et-arts/laudace-des-filles-arabes/

[2] http://www.literaturfestival.com/participants/authors/2009/raja-alem

[3] http://www.youtube.com/watch?v=NUyLr9eUyC8

[4] Ahram Hebdo, 16/11/2011.

[5] http://forums.ksu.edu.sa/showthread.php?3651-%D8%B1%D8%AC%D8%A7%D8%A1-%D8%B9%D8%A7%D9%84%D9%85-%D9%81%D9%8A-%D8%B1%D9%88%D8%A7%D9%8A%D8%A9-%28-%D8%AE%D8%A7%D8%AA%D9%85%29

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