Un racconto di Zakariyya Tamer

Tratto da Zakariyya Tamer, Il tuono, Cicorivolta Edizioni, 2012, traduzione di F. Pistono

  Il sorriso di Zakariyya Tamer

  Traduzione di Federica Pistono

Si destò all’alba, abbandonò la sua stanzetta, si diresse verso una piazza in cui erano stati innalzati pali distanziati. Si appoggiò a uno di questi, dicendo con voce dura:

  «Non sono un vigliacco. Non voglio che i miei occhi siano bendati. Voglio assistere a ciò che accadrà».

 Non aveva ancora finito di parlare, quando i suoi occhi furono bendati con un pezzo di stoffa nera, poi udì passi pesanti che facevano tremare il suolo. Rabbrividì e corse nella casa in cui era nato. Entrò, terrorizzato e affannato, e gridò:

«Mamma…mamma!»

Nessuno rispose, così si disse: «Forse sta dormendo».  

Si diresse nella stanza in cui sua madre dormiva. Trovò la porta aperta, scorse sua madre nuda con un uomo sconosciuto. Trasalì, gemette, cercò di indietreggiare e nascondersi ma non ci riuscì, e rimase raggelato al suo posto.

D’un tratto sua madre si accorse di lui:

«Vergognati, smetti di fissarmi come un idiota», gli disse con voce stridula e tagliente, «Stai forse guardando un film? Coraggio, va’ a giocare nel quartiere e non tornare a casa finché non ti chiamerò io». 

Lasciò la casa, corse verso la piazza in cui erano stati piantati i pali di legno distanziati, si legò a uno di essi, dicendo in tono implorante:

«Non voglio che i miei occhi siano bendati. Voglio vedere il modo in cui mi suiciderò».

Non aveva ancora finito di parlare, quando i suoi occhi vennero bendati con un pezzo di stoffa nera, poi udì una voce severa impartire un ordine, seguito da un sibilo di pallottole, che si conficcarono nel suo corpo, aprendovi fori sanguinosi.

Sorrise ironico, ma, ben presto, un proiettile gli penetrò nella testa, cancellando quel sorriso.

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