L’omosessualità e il romanzo arabo: il trionfo dello scherno

Fonte: articolo di Arablit

Traduzione dall’inglese a cura di Antonino d’Esposito

Foto courtesy of Arablit

Quando il romanzo d’esordio del blogger Fadi Zaghmout, La sposa di Amman, uscì in arabo nel 2012 fu un toccasana: non tanto per il romanzo in sé, quanto per come Zaghmout aveva saputo condurlo.

Sul suo blog, Nadia Muhanna, scrive di un’intervista di Zaghmout alla TV giordana, fatta diversi mesi dopo l’uscita del libro. L’intervistatore definì il personaggio omosessuale del romanzo  come shaz, un termine offensivo. Zaghmout lo corresse, usando semplicemente mithly, omosessuale in arabo. A fine intervista, scrive Muhanna, il presentatore aveva iniziato ad usare un linguaggio LGBT-friendly.

Il frenetico romanzo di Zaghmout, tradotto in italiano da Federica Pistono, appena uscito per MReditori, è tanto un progetto sociale quanto letterario, una spinta moderata verso la liberazione sessuale e di genere. Leggendolo, si ha la sensazione che la preoccupazione principale di Zaghmout non sia quella di creare un grande romanzo giordano, quanto quella di mostrare il valore della vita delle donne e degli omosessuali.

Spesso, si dice che ci siano tre tabù radicati nella letteratura araba: sesso, politica e religione (la prerogativa dello scrittore appare allora molto ridotta). Chiaramente, nel romanzo arabo tutt’e tre vengono vivacemente rappresentati e criticati e, sebbene l’erotismo non sia così spinto da competere con Ibn al-Hajjaj, ce n’è sicuramente abbastanza per contrariare più di un lettore. Ma poi, quanti romanzi “distruttori di tabù” dobbiamo leggere prima di interrogarci sulla forza stessa dei tabù?

L’omosessualità femminile, affrontata con una certa neutralità in romanzi siriani come Stadi della passione di Nihad Sirees e Il profumo della cannella di Samar Yazbek, o in romanzi sauditi come Gli altri di Siba Al-Herz e Dove i colombi non volano di Yousef Al-Mohaimeed (di questi, in italiano è disponibile solo il romanzo della Yazbek, uscito per Castelvecchi), non pone alle convenzioni sociali la stessa sfida dell’omosessualità maschile. Inoltre, Nihad Sirees la considera ampiamente accettata, tant’è che l’autore ha dichiarato pubblicamente che Stadi della passione gli aveva procurato meno problemi dei suoi scritti antiregime.

Tuttavia, la normalizzazione delle relazioni omosessuali maschili sono tutta un’altra storia. Non c’è bisogno di appellarsi ai tabù per riconoscere che le rappresentazioni positive, in questo caso, sono molto rare. Gli autori omosessuali che scrivono della propria esperienza, come Abdallah Taia, scrittore marocchino d’espressione francese, sono rimasti a lungo sconosciuti al pubblico arabo. Caso a parte è quello di Tawfiq al-Hakim che nella sua raccolta La rivolta dei giovani (1984) menziona positivamente l’omosessualità come una cosa che “i giovani fanno”.

Hoda Barakat, finalista del Man Booker Prize International 2015, in un’intervista del 2004 con Brian Whitaker ha dichiarato: “Nel mio primo romanzo, La pietra del riso (1990), il protagonista omosessuale non ha niente di scioccante perché vive un vero sentimento amoroso. Lungi dall’essere di coloratura, rappresenta un elemento che non si può rifiutare – non si può far altro che accettarlo – perché egli soffre, è davvero innamorato e, per evocare l’intensità del suo amore, della sofferenza e della bellezza del suo amante, ho utilizzato un passaggio del Corano. E nessuno ne è rimasto scandalizzato. Ci sono arrivata passo dopo passo, partendo dal sentimento e non in modo sensuale o provocante. I lettori lo accettano e provano quello che provo io. Rispetto gli omosessuali con tutta me stessa, e non lo dico per darmi un tono. Tra l’altro, non sono neanche stata attaccata perché, da cristiana, ho attinto ad immagini coraniche per scrivere di omosessuali.”

Nel mondo della letteratura, la censura è sicuramente meno forte che nel cinema. In Egitto, gli omosessuali sono oggetto di una persecuzione costante e soltanto in Segreti di famiglia (2013) di Hani Fawzy è apparso il primo personaggio apertamente omosessuale del grande schermo. Stando a una critica pubblicata su Mada Misr, il film “non attacca frontalmente [l’omosessualità maschile], la prende direttamente a bastonate.” Il messaggio finale della pellicola è che l’omosessualità è una malattia e il personaggio deve fare il possibile per superarla. “Essere omosessuale in Egitto – conclude l’autore della critica senza mezze misure – è già una sfida di per sé, non c’era bisogno di questo cazzo di film con tutti i suoi vecchi cliché, la sporca disinformazione e i suoi scarsi attori.”

In altre parole, al-hamdu li-llah (grazie a Dio) per la letteratura!

Nel romanzo Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città (uscito in italiano per Bompiani nel 2018, traduzione di Maria Avino), selezionato per il Prize for Arabic Fiction (IPAF), Khaled Khalifa mette in scena il personaggio omosessuale di Nizar, ma preferisce tenersi lontano dalle critiche: “Una lettura morale del romanzo sarebbe la scelta peggiore, ha dichiarato lo scrittore in un’intervista con gli organizzatori del premio. E la scrittura moralizzatrice è la peggiore delle scritture. La moralità è una questione che riguarda la religione e i predicatori. Nizar è il solo personaggio in pace con se stesso. Dobbiamo riconoscere che storicamente gli omosessuali esistono. Oggi, sono sempre più accettati nei paesi arabi.”

Tra le uscite recenti, il ritratto più coinvolgente di un omosessuale nella letteratura araba è forse quello fatto in Ali e sua madre russa (2009) di Alexandra Chreiteh, romanziera libanese dallo sguardo tagliente e dallo stile super contemporaneo. Il libro è stato tradotto per ora in inglese (2015) e francese (2022). Ali e sua madre russa ruota intorno a due personaggi: Ali, l’omosessuale del titolo, e la narratrice eterosessuale, che non si considera omofoba perché – si sa – ha degli amici gay. L’umorismo e la perspicacia caratteristici di Alexandra Chreiteh, particolarmente interessata ai giovani di Beirut, risaltano all’interno della scrittura. L’omosessuale ucraino-libanese, in preda al panico dopo aver scoperto che ha un antenato ebreo, è ritratto gloriosamente autodistruttivo ed esagerato.

Alexandra Chreiteh non si accontenta di dipingere un omosessuale a tutto tondo; no, si prende gioco dei due protagonisti come ci si prenderebbe gioco di se stessi. Un gioiellino assolutamente da non perdere!

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: