Fame di Muhammad al-Busati

Recensione di Federica Pistono

L’AUTORE:

Muhammad al-Busati nasce nel 1938 a Gamalia, nella regione del Delta del Nilo. Nel 1960 si laurea al Cairo in Economia e commercio e, successivamente, viene assunto come funzionario nell’amministrazione statale.

Negli anni ’60 comincia la sua attività di scrittore, pubblicando raccolte di racconti brevi in riviste come al-Masa’, al-Katib, al- Majalla. In questi anni, al-Busati partecipa al movimento letterario egiziano che fa capo alla rivista letteraria Gallery 68, punto di incontro di una generazione di scrittori e intellettuali egiziani che, dopo aver condiviso l’entusiasmo, negli anni ‘50, per la Rivoluzione degli Ufficiali Liberi, sono ora accomunati dalla volontà di un rinnovamento sociale e da una critica severa alle limitazioni delle libertà civili imposte dal regime nasseriano.

Nel 1976 scrive il primo di molti romanzi.

I racconti e i romanzi di al-Busati sono generalmente ambientati nelle aree rurali egiziane, e l’autore è soprattutto interessato a descrivere la vita e i problemi dei ceti sociali più poveri ed emarginati della società rurale egiziana. Unica eccezione, il romanzo Altre notti, ambientato al Cairo.

Nel 2001, al-Busati consegue il premio “Sultan Aways” di Dubai, e, nel 2009, il suo romanzo Fame viene selezionato nella short list dell’Arabic Booker Prize.

 

Titolo: Fame

Autore: Muhammad al-Busati

Traduttore: Bianca Longhi

Casa editrice: E/O

Genere: Romanzo sociologico

Pagine: 191

Anno di pubblicazione: 2013

Prezzo: € 14,00

Tempo medio di lettura: 2 giorni

La facciata della casa è di mattoni rossi. La parte inferiore si è gonfiata per l’umidità e alcune pietre sono venute via. Le grosse crepe sono state riempite di cemento. La porta è di legno spesso. Sul muro, al di sopra di essa, una scritta bianca tracciata col pennello: “Entrate in pace”.

(…) L’unica stanza è coperta da un tetto di legno. Il patio, a metà scoperto, lascia entrare la luce del giorno e della notte.

Tema centrale del breve romanzo Fame, di Muhammad al-Busati, è la vita di una famiglia egiziana in un villaggio rurale, in condizioni di estrema povertà ed emarginazione sociale.

L’azione si svolge ai nostri giorni in un paesino egiziano senza nome e senza tempo, dominato dalla tradizione e dalla potenza del denaro, dove non arriva l’eco degli avvenimenti contemporanei.

Al centro del villaggio sorge la casa del notabile che attira i diseredati. Fin dalle prime righe del romanzo, si impone il tema centrale dell’opera, la fame, con i suoi effetti fisici e psicologici sui protagonisti. Quando il pane viene a mancare, quando le vicine si rifiutano di prestarne, la famiglia va a letto con la pancia vuota, divorata dai crampi.

In tre sequenze successive, dedicate rispettivamente al marito, alla moglie e al figlio, al-Busati tratteggia, con una punta di umorismo nero, l’esistenza di questa famiglia misera, che manca di tutto, dal cibo alla considerazione sociale, ma che riesce, comunque, a conservare integra la propria dignità.

Il capofamiglia, Zaghlul, lavora due giorni su dieci, passando il tempo a rendere servigi agli altri senza chiedere nulla in cambio. Dotato di una mente aperta e curiosa, ascolta attentamente le conversazioni dei clienti dei caffè in cui, occasionalmente, lavora. I discorsi di un gruppo di studenti in vacanza, in particolare, lo inducono ad interrogarsi su tematiche quali la volontà divina e la condizione umana, e a parlarne con lo Shaykh più sapiente e considerato del villaggio. Questi, però, non comprendendo l’ingenuità e la sincerità dell’interlocutore, giunge a insultarlo e perfino a picchiarlo.

Un colpo di fortuna si presenta quando un ricco notabile, anziano e malato, offre a Zaghlul un buon lavoro, ma la morte dell’uomo precipita nuovamente la famiglia nella condizione precedente di miseria.

La moglie, Sakina, vive nella continua preoccupazione di procurare il pane ai figli. Sogna di lavorare nella Casa Grande, dove vive nel lusso una ricca coppia di anziani coniugi, servita da due domestiche. Sakina riesce nell’intento dopo la morte improvvisa della padrona di casa. Ma anche questo periodo di benessere termina ben presto, quando il marito della donna, poco tempo dopo, muore a sua volta.

Zaher, infine, il figlio dodicenne della coppia, si attira le simpatie di un fornaio che gli lascia portare a casa il pane di scarto, invendibile perché bruciacchiato. Un ragazzino benestante della sua età offre a Zaher del cibo all’insaputa dei familiari. Ma il fornaio lascia il villaggio e il padre dell’amico proibisce al figlio di frequentare Zaher, in quanto appartenente a una famiglia miserabile.

Le ambizioni e i tentativi dei protagonisti di uscire dalla condizione di povertà e di inferiorità sociale, finiscono, dunque, tutti frustrati.

Al-Busati è da sempre interessato a illustrare la vita dei ceti più poveri ed emarginati della società egiziana, specialmente quella rurale. Erede del realismo di Mahfuz, i suoi scritti riflettono gli influssi di autori come Cechov, Gorki, Hemingway e Maupassant.

L’autore non racconta, in questo libro, una vera e propria storia. Nel romanzo affiorano, piuttosto, stati d’animo, punti di vista, esperienze di vita che danno alla trama corpo e spessore “dall’interno”.

L’intento è quello di ricostruire un’atmosfera, una mentalità quasi feudale fatta di emarginazione sociale, frustrazioni e tensioni.

Una visione che riflette la società egiziana rurale, gerarchizzata, immobile nei secoli, divisa tra ricchi e poveri da “una linea tanto invisibile quanto invalicabile”. Una linea di confine che i disperati oltrepassano a proprio rischio e pericolo. Ma questi reietti, deboli e vagabondi, dipinti da al-Busati, hanno una caratteristica: non perdono mai, in nessuna circostanza, la loro dignità e umanità. Soffrono in silenzio, ma non accettano né la pietà né l’umiliazione.

Meritevole di attenzione è sicuramente l’interesse che l’autore dedica alla condizione dei ricchi anziani presentati nel romanzo. Entrambi, pur appartenendo al ceto sociale dei notabili, soffrono le miserie e l’abbandono di una vecchiaia solitaria e disperata: il primo, sposato ma trascurato dalla moglie fino al disprezzo, è deriso da una domestica maligna; il secondo, vedovo da poco, vede il fantasma della moglie aggirarsi nella sua stanza, e muore nella convinzione che lei sia venuta a prenderlo. Paradossalmente, è proprio Zaghlul che riesce a donare ai due anziani disperati qualche attimo di serenità.

Lo stile è asciutto, stringato, essenziale e, al tempo stesso raffinato.

Le descrizioni sono brevi, secche, efficaci. I dialoghi presentano una struttura semplice, un lessico elementare, come si addice ai personaggi che parlano.

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